Giovedì 23 ottobre 1975, nella sua casa milanese, al terzo piano di via Bigli 15, la Gina, la fedele governante, gli si avvicinò premurosa per domandargli come stava. Ottenne una specie di borbottio per risposta, sentiva soltanto un po’ di malessere, tutto qui, non c’era da preoccuparsi, si stancava facilmente, non aveva più tante energie. Ma dolori non ne sentiva affatto o almeno solo qualche dolorino di cui non valeva la pena di parlare. Con qualche medicina avrebbe ritrovato tutte le forze. Seduto in poltrona, tirò una boccata di fumo e sorrise ai due amici che gli facevano compagnia, benché in modo diverso da un tempo. Quasi distaccato, come se i pensieri corressero in un altro luogo, chissà dove.
Regnava un silenzio strano, anche i due ospiti si contenevano, non l’avevano mai visto così pallido. Ogni parola poteva urtare, meglio lasciare cadere i segni di affetto nel muto riposo della casa. Come se nessuno la abitasse. Del resto, le pareti erano ancora vuote: i quadri non erano stati ancora riappesi dopo l’estate.
La Gina, seria in viso, non gli toglieva gli occhi di dosso, ma a un tratto tornò in cucina. Suonò l’ora da qualche campanile, senza slancio. Le 13. Appena dopo, il telefono. La Gina entrò nel salotto senza tradire alcuna emozione.
“Chiamano dall’ambasciata di Svezia”.
Eugenio Montale si alzò ansimando dalla poltrona, spense la sigaretta, con un po’ di fatica si appoggiò al braccio della Gina. Raggiunse la piccola anticamera, appena fuori dalla cucina, tra il frigorifero e la porta del bagno. Con una mano si appoggiò alla maniglia con l’altra prese la cornetta. Si sentì rivolgere una domanda in francese “Oui, monsieur… Je suis très heureux de faire votre connaissance”.
Dall’altra parte del filo l’ambasciatore gli lesse la motivazione del Premio, Eugenio in imbarazzo snocciolò oui e mercì a iosa. Dopo l’ultimo mercì, riattaccò. La Gina lo baciò sui capelli.
“Andiamo a tavola?” in cucina erano pronti il riso all’olio, le polpette e l’insalata.
“Fumo ancora una sigaretta coi miei due ospiti. L’ambasciatore mi ha raccontato che scrive poesie anche lui” tornò in salotto e sedette di nuovo in poltrona “dovrei dire cose solenni immagino. Mi viene invece un dubbio: nella vita trionfano gli imbecilli. Lo sono anch’io?”
Il telefono squillò insistentemente. Alla radio stavano dando la notizia. Eugenio era scosso, la mano tremò vistosamente nell’accendere la sigaretta. L’emozione e il trambusto per qualche giorno ruppero il silenzio di quelle stanze dove si era addensata, come pulviscolo, la sua lucida solitudine.
Fonti: Montale, biografia di un poeta Giulio Nascimbeni.
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1975.