L’evento traumatico che dà inizio alla storia di Claudia è il salvataggio di suo padre da parte di sua madre.
Il gesto incontrollato, estremo, di un ragazzo sordo è il filo della storia che si snoda attraverso le vicende familiari dell’autrice, che svela, mettendosi a nudo, un mondo indecifrabile, quello dei sordi che non imparano il linguaggio dei segni. Già, perché anche la madre di Claudia è sorda, e si è sempre rifiutata di comunicare con i segni, preferendo leggere il labiale e pestando furiosamente i piedi a terra o emettendo suoni sforzati e gutturali, quelli di un animale disperato. Il loro incontro ha qualcosa di magico, quasi di inevitabile, quando lui, il salvato, va ad aspettarla fuori dalla scuola speciale per sordomuti sulla Nomentana.
Non ci sono altre storie che quelle familiari, sembra dire questo libro, che sfugge comunque ad ogni classificazione. Ogni pagina è una scoperta per il lettore. Perché le storie dei nonni e dei genitori di Claudia, delle loro peregrinazioni tra l’Italia e gli USA segnano il passo delle emozioni che suscitano.
C’è una violenza evidente nello sdradicamento di Claudia dal sobborgo di Brooklyn dove è nata, e il mondo feroce della Basilicata, “in un paese dove c’erano più pecore che persone”, quando la madre, dopo la separazione dal padre, vi si trasferisce con lei e suo fratello maggiore. C’è una ferocia spietata nel mondo degli adulti che indicano Claudia come “la figlia della muta”, segnandola a dito, e passando ad elencare tutte le sue stranezze. Le sue fughe a leggere sul tetto di casa, la sua solitudine esibita come una corazza, con la stessa caparbietà dei reduci di guerra che mostrano le cicatrici in controluce, sono etichettate come sintomi, quasi contagiosi, di una stranezza, perdonabile solo per la disabilità dei genitori. Quasi come se la disabilità avesse una derivazione ereditaria di differenza da ciò che è normale.
I disabili – qualsiasi parola per definirli è insufficiente, inadeguata – sono una maggioranza nascosta: nonostante le macchine e le protesi intente a provare che la morte non esiste, quasi tutti con il tempo perderemo un super potere, che sia la vista, un braccio o la memoria. Diventiamo tutti disabili prima o poi.
La disabilità dei genitori è parte del percorso vitale della scrittrice, ma non è il più importante. Quello che si sente, prepotente, entusiasta, è il bisogno di Claudia di sentire le parole, di metterle in fila, quasi come una sorta di offerta votiva a chi non può usarle e di soggiogare il loro potere misterioso.
L’infanzia di Claudia è fatta di tramonti lucani che espettorano sangue, di pomeriggi domenicali a Coney Island e a fotografie fatte con le cuginette dalle treccine e i denti accavallati, nella luce accecante, mentre i parenti mescolano abilmente italiano e inglese, in un impasto comprensibile solo a chi è toccato in sorte o per scelta di essere parte di più posti e di non avere mai una stabilità.
La straniera è chi sente in un mondo di assenza di suoni, la straniera è la ragazza interrotta che piange con i polsi tagliati sulle scale di un condominio americano, o la donna che ha perso il figlio in Vietnam e gira per il quartiere nel suo delirio allucinato chiedendo bottiglie di plastica e attenzione.
Gli stranieri ormai sono tutti gli expat dopo la brexit, che sono decisi a restare in un territorio che, ormai, forse confina con la temporaneità della permanenza. Un luogo dove sei tollerato, non davvero accettato.
Il legame profondo tra simili è oltre i legami di sangue, che per Claudia sono ferini e resi necessari dalla distanza, quando poggiato sulla pelle, appare il desiderio verso un altro corpo.
Un giorno ho diciassette anni e mi innamoro. Sto passeggiando nei corridoi della mia scuola, un liceo senza nome costruito in un enorme parcheggio, e vedo un ragazzo che so che per me sarà importante. È una decisone implacabile, fatale, che mi cambierà la vita e mi renderà diversamente abile in tante cose. “Ciao straniera, diceva Dylan McKay a Brenda Walsh e io ho portato quel messaggio in dote con me, in tutta la sua pigra traduzione; il mio modo di innamorarmi si è fatto di lontananza e ho provato di tutto solo per sentirmelo dire, un giorno, fuori dal finestrino abbassato di una macchina.
L’amore è una disgrazia, una colla disperata che ti si attacca al corpo prima che all’anima, e cambia per sempre il tuo rapporto con il mondo. Un amico dice a Claudia che d’amore si può impazzire, e lei rimane stranita da questa possibilità così imprudente e così naturale.
Seguiamo il linguaggio netto di una scrittura bella, densa, fluida, che ci racconta la storia della sua vita, così come accade, mentre si dipana come un nastro chiaro davanti a lei, e dietro rimangono tracce di briciole per tornare a casa.
Ovunque sia quella casa.