La prima cosa che capita

Lasciarsi per un bigliettino con su scritto "Ricordati il latte", si può

“Ricordati il latte” scritto sul blocchetto lasciato sul tavolo in cucina, sembra ieri che scriveva:
“Ti amo”
Ora il latte ha preso il posto dell’amore.
Mi sento vuota come il cartone del latte, vuota come quelle cazzo di buste della spesa che lei non svuota mai, vuota come il porta carta igienica in cui lei si dimentica sempre di sostituire il rotolo e io mi ritrovo sempre sul cesso senza carta igienica.
Strappo il foglio, ne faccio una pallina piccola e la getto via.
Possibile sia tutto qui? Ti innamori, fai sesso che poi diventa amore, si va a vivere insieme e poi
“Ricordati il latte?”
Lei mi scrive di ricordarmi di comprare il cazzo di latte.
Ma vaffanculo tu e il latte.
È una storia finita quella tra me e Marta, è da tempo che ci penso e ci penso di più quando facciamo l’amore, prevedendo ogni sua mossa e sperando sempre lei faccia qualcosa di diverso e invece sembra un attore che recita l’ennesima replica di una commedia scontata.
Non è solo il sesso, è l’insieme delle cose che facciamo che si susseguono ordinate e regolari come i miei orgasmi a chiamata.
Il bacio della mattina, il messaggio di mezza mattinata, il buon pranzo che non può mancare,
“Amore che fai?” scritto a un ora a caso il pomeriggio e poi la cena insieme, entrambe impegnate ancora a digerire la giornata mentre riempiamo lo stomaco in silenzio.
Poi se è quel giorno del mese in cui non siamo troppo stanche, ci scappa anche una scopata e a me scappano sempre gli stessi noiosi orgasmi.
“Marta io me ne vado” scrivo sul blocchetto, poggiandogli accanto il cartone del latte vuoto. Faccio le valigie e la lascio.
Torno a vivere da sola, torno nell’appartamento vuoto in cui ho vissuto per tanti anni, finché non ho conosciuto Marta e sono andata a vivere con lei.
I primi giorni sono difficili, telefonate, spiegazioni e lacrime. Io nascosta dietro i miei:
“Non ci amavamo più”
Marta dietro ai suoi:
“Ti amo ancora.”
Alla fine le rinfaccio anche il blocchetto con su scritto di ricordarmi il latte e le dico che mi eccitava di più fare la lavatrice che fare l’amore con lei. Non volevo, ma poi quando si discute le cose prendono una piega inaspettata e ci si ritrova a dire più di quello che in realtà vorremmo. Marta adesso mi odia e sta male, io non mi odio e non sto poi così male.
“Cazzo l’hai lasciata?” dice Carla
“Sì, non ne potevo più” rispondo
“Ma cos’è successo?”
“Mi ha scritto di ricordarmi di comprare il latte e invece io mi sono ricordata che tutto quello che stavo avendo non era quello che volevo”
“Quindi l’hai lasciata per il latte?”
“No, l’ho lasciata perché non andava più da tempo, ma le ho detto della storia del latte”
“Quindi lei penserà che l’hai lasciata per il latte.”
Carla a volte sembra non voler capire, eppure mi conosce da anni.
E ora sono di nuovo single.
Cose da non fare quando sei una lesbica single:
andare nei locali per lesbiche, sono tristi e pieni di donne disperate;
dire a tutte le amiche lesbiche che io e Marta ci siamo lasciate, la notizia poi vola e in un attimo ti ritrovi il cellulare pieni di messaggi di amiche di amiche lesbiche che ti invitano a cena;
fare cene con coppie di amici perché all’inizio sei felice, ma poi appena tutti se ne vanno ti senti sola e ti fai mille domande sul perché le tue storie non funzionino mai;
telefonare a mamma e dirle che hai lasciato Marta che lei adorava.
Ovviamente mi ha telefonato mamma che ha saputo da Carla che ho lasciato Marta, poi Carla si è presentata con due coppie di amici e sono rimasti a cena da me e mentre il mio cellulare continuava a riceve messaggi di amiche di amiche, io mi sono lasciata convincere da Carla ad andare in un locale lesbico subito dopo cena.
Rimorchio subito una ragazza dall’età indefinita, mentre Carla è distratta e parla con degli amici.
“Ciao” mi dice.
“Ciao” rispondo e sulla o di ciao è già seduta vicino a me.
“Come ti chiami?” chiede.
“Emma e tu?”
“Viola.”
Io non so proprio che dire, sono arrugginita è vero, ma io questa non so chi sia. Ormai però è qui davanti a me
“Che fai?” le chiedo cercando di allargare il discorso.
“Ti guardo” risponde.
Se continua così andiamo avanti a monosillabi per ore e infatti continua così per un po’, poi lei si ferma, mi fissa, mi prende una mano e dice:
“Vieni” e mi porta in bagno.
“Cazzo ho quarant’anni in bagno no” penso, ma lei è più veloce e una volta in bagno mi si avventa addosso. Mi bacia con foga, troppa foga, ma sembra che al mio corpo piaccia e allora lascio che sia e mi ritrovo senza mutande con la testa di una sconosciuta tra le gambe che forse è un po’ confusa perché:
“Cazzo ma l’ha mai leccata?” mi domando mentre lo fa e mi ricordo che dovrei almeno fingere piacere e invece mi pento di non essere rimasta a casa a fare una lavatrice e mentre penso a Viola e alla sua lingua tra le mie gambe mi viene in mente Marta e che forse ho sbagliato tutto, se avessi comprato quel cazzo di latte e mi fossi accontentata almeno avrei avuto un orgasmo, ma poi all’improvviso l’orgasmo arriva veloce e violento e mi lascia a bocca aperta e forse anche Viola è ancora a bocca aperta, ma non me ne frega niente.
Mi sento bene e anche se Viola non so chi sia, io so esattamente chi sono e quello che voglio e allora restituisco il favore alla sconosciuta. Assaggio il sapore della sua carne giovane, la sfioro e mi sembra di conoscerla, lascio che le mie mani seguano il ritmo del suo respiro e aspetto quando lei desidera che la trovi e la trovo ogni volta che non se lo aspetta. Ascolto ogni movimento del suo corpo e capisco prima di sentire qualsiasi suono. Viola viene quasi subito non dandomi neanche la soddisfazione di giocare ancora un po’ con lei, ma è giovane e glielo posso concedere.
“Grazie” mi dice.
“Grazie di cosa?” chiedo.
Non risponde. Si aggiusta davanti allo specchio ed esce dal bagno.
Rimango ferma, ancora appoggiata al muro.
Uscire da una storia di dieci anni, entrare dopo pochi giorni in un bagno e farsi una scopata non è quello a cui punto, ma d’altronde fino ad oggi ho sbagliato mira e colpito tutti bersagli che si sono rivelati sbagliati.
Sono io ad essere sbagliata? Non so neppure cosa significhi essere giuste.
Ma poi ripenso alle mie storie storte, a tutte le cadute e ai “non fa male” che mi sono detta e invece faceva malissimo. A tutti i:
“Quando ti sistemerai con una brava ragazza?” di mamma
e a tutti i:
“Questa mi sembra un’altra stronza” di Carla.
Ma anche a tutti i miei:
“Ci provo di nuovo, in fondo cos’ho da perdere?” e invece ho perso tante cose a cui tenevo e ne ho troppe che non vorrei, come:
la rabbia, che ho tenuto dentro per tanto tempo e che mi travolge quando meno me lo aspetto;
l’istinto ingabbiato, che adesso si divincola e ho voglia di farmi la barista, l’amica di Carla e pure quella stronza della cassiera del supermercato che mi mette fretta quando imbusto le cose;
la certezza che essere donna significhi comportarsi in un certo modo, e invece andate a fanculo tutti, io voglio essere me e non una di quelle donne precotte e pronte in cinque minuti sulla vostra tavola;
la rassegnazione, che mi fa cedere ogni volta perché tanto non ho speranza e invece poi una mi prende mi porta al cesso, mi scopa e io mi sento bella anche a quarant’anni.
E allora mi guardo allo specchio, mi aggiusto i capelli e sorrido perché quella che sto guardando è quella stronza che mi rende la vita un inferno, ma poi è la stessa che mi regala una scopata inaspettata e che chiude una storia per un cazzo di litro di latte.

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