Giacche rosse, bottoni d’oro che riflettono il sole, il trombone ha sbagliato spartito, la banda stona e noi bambini ridiamo.
Un botto secco, in anticipo sul tempo, il santo vacilla, noi bambini vorremmo cadesse, come cadiamo noi che abbiamo tutti ginocchia lacerate, che togliamo le croste e ci sembrano corazze di tartarughe sottratte alla nuova pelle liscia e rosa: tutto si può riparare, non è vero? No, che non è vero. Un secondo botto, vuoi vedere che stavolta San Rocco cade, i santi non sembrano pronti per quello che gli capita dopo la morte, noi bambini ridiamo, ma no, non cade, è che il terzo portatore è troppo basso e così anche un santo finisce per zoppicare.
Noi – bambini e bambine – siamo ancora uguali, tutti ridiamo, gridiamo, sputiamo, tiriamo con la cerbottana; i maschi però ci sollevano la gonna, a me non dispiace; i maschi ci sfiorano i capelli e si portano via i nastri, i loro trofei: sento come un brivido dentro e mi scappa da ridere ma faccio finta di arrabbiarmi.
I plié, la sbarra, le scarpe con la punta di gesso: mio Dio, quello è l’inverno! Adesso siamo scalzi, questa è l’estate, e noi bambini corriamo liberi per le strade del paese; i grandi ci sorvegliano, ci vorrebbero trattenere, ma Lucio, Lucio lo sa come fare, dove ci si deve nascondere: i grandi ci chiamano e noi rimaniamo accovacciati per terra senza rispondere, tratteniamo il fiato con la mano davanti alla bocca; ecco, Lucio ci fa segno: via libera! La corsa riprende, la banda tace, gli storpi invocano il Santo ma si sente solo il rumore delle macchine che tostano noccioline.
Le ragazze da marito non sanno camminare sui tacchi, arrivano con i sandali in mano e noi bambini ridiamo, ridiamo, ridiamo. Io sì che so camminare sui tacchi: quando nessuno vede rubo le scarpe di mia madre e mi metto anche il rossetto.
Fa caldo e siamo sudati, vogliamo un gelato: niente da fare, ma forse Lucio lo sa come fare, per il gelato e le noccioline, e magari ci rimedia pure lo scupidù. Lucio ogni tanto sparisce, non dice niente, parla poco e pure male; è per via dei denti, come quelli di certi pesci, ma noi ci fidiamo lo stesso, aspettiamo un suo segnale.
Gemma, quella che vende la lana, sale sulla cassa armonica, ha i capelli a matassa e la gobba e pure il piede da cavallo, noi bambini ridiamo a più non posso e mia madre mi allenta una sberla: non si ride delle disgrazie altrui! Vogliamo i soldi per i bruscolini: niente da fare e niente da fare per la pesca miracolosa. Silenzio, Gemma canta, Gemma non sa cantare, sale l’odore dello zucchero filato e Lucio lo sa come fare, Lucio è il nostro capo: il naso d’Aquila e i denti forse un po’ storti, ma ci sa fare, e questo mi piace: sparisce e torna con i gelati, le noccioline, e tutto il resto; sputiamo le bucce dei bruscolini verso Gemma che sembra una brutta bambolina abbandonata sulla torta nuziale: il marito ha scoperto il piede da cavallo e se n’è scappato via; ridiamo e mia madre m’allenta un’altra sberla: non si sputa! E dove hai preso i soldi?
Ecco Lucio che porta un mangianastri: andiamo al cimitero a ballare il twist, balliamo e ridiamo, sento le sue mani addosso, mi piace e ci nascondiamo; ci guardiamo dritti negli occhi e abbiamo smesso di ridere, ci respiriamo addosso, poi un tuffo al cuore, la voce di mio padre, mi tira per i capelli: «ora facciamo i conti, svergognata.» La mano di mio padre, la testa di Lucio che gira, buca la notte col naso, i lunghi capelli sporchi, l’odore arriva violento, Lucio cade, si rialza e scompare. Lucio, niente da fare, torno verso il paese e mi ricongiungo dietro alla lenta processione: è così che si sente una peccatrice? Soffermo il mio sguardo sui colli rossi e sui talloni agonizzanti delle donne da marito. E cerco Lucio con gli occhi, chiedo a mia madre i soldi per una collanina: niente da fare, «non ti muovere da qui, poi facciamo i conti, svergognata!»
Lucio non c’è ma nessuno lo cerca, lui non è di nessuno; Gemma a bocca aperta, l’acuto non esce, noi bambini ridiamo, però adesso anche i grandi ridono, finalmente. Dov’è Lucio? Lucio è alle giostre, pure noi vogliamo andare alle giostre, tiro la tasca di mia madre: niente da fare, alle giostre ci sono gli Zingari e gli Zingari rubano i bambini. Lucio non torna, forse l’hanno rubato gli zingari? No, l’hanno visto sull’ottovolante: Lucio che vola! Che forza, Lucio.
Non si sente più il ronzio delle tostatrici, finiti i fuochi, tornano le stelle e le cicale, le ragazze scendono dai tacchi, i musicisti allentano i colletti, noi bambini vogliamo aspettare Lucio, ma niente da fare, Lucio non si vede.
Lucio l’hanno trovato due giorni dopo, rannicchiato sul greto del fiume, i pantaloni abbassati, accanto la sua fionda e bucce di noccioline.