Padre Santini detestava la dermatite. La perpetua aveva le mani nodose e ricoperte di dermatite. “Dermatite da contatto” diceva lei, per via dei guanti di lattice che usava mentre puliva in chiesa e nella casa canonica. La suora Francesca che assisteva la messa aveva una dermatite rosacea invece, di “eziologia sconosciuta,” diceva lei. La Signora Cimbaldi del coro non aveva nessuna dermatite ma è come se ce l’avesse: le sue mani gli facevano schifo perché erano piene di grinze come la pelle del pollo fritto con le dita gialle dal fumo e le unghie mangiucchiate. Padre Santini era ben consapevole che questa sua repulsione era una crepa nella sua fede già dai tempi del seminario. Non solo non era riuscito a vincerla, ma negli anni era peggiorata.
“Se mi fossero venute le stimmate, mi sarei fatto una plastica alle mani,” pensò Padre Santini. “Sicuro!”
Ma sapeva bene che il problema non si sarebbe mai potuto porre. Il Signore non l’avrebbe mai scelto come esempio di fede e sacrificio per Lui. Né lui voleva essere scelto dal Signore. Il triste dubbio ormai si era fatto certezza.
“È questa la reliquia di cui mi hai parlato, Alessandro?”
Padre Santini rabbrividì guardando le mani della Signora Gesualda mentre accarezzava la reliquia sul bancone del negozio. Aveva delle mani delicate ed eleganti. Le lunghe dite avevano delle falangi diritte e ben proporzionate tra di loro con l’attaccatura delle unghie pulite nelle loro dolci curve emisferiche. Le unghie erano degli piccoli opali bianchi incastonati su appendice bianco e privi di qualsiasi macchia. Padre Santini trattene il fiato.
“Sembra un pezzo di osso, Alessandro, forse la falange di un dito?”
Padre Santini tornò in sé e cercò di ricomporsi.
“Sì, Signora Gesualda, è proprio così. È un pezzo della falange distale, l’ultima falange, del dito indice di un uomo.”
“Ahhh, avevo visto bene …”
“Crediamo sia un pezzo della falange dell’indice di San Tommaso, quello che sollevò durante la cena del Pentecoste, e che il Signore fece mettere nella Sua ferita come prova.
“Ohhhhhh…” La Signora Gesualda posò immediatamente ma con delicatezza il frammento di osso sul pezzo di cotone sottostante.
“Allora riuscirete a costruire un reliquiario degno?” chiese Padre Santini. “Non ho fretta.” Aggiunse.
“Ma Alessandro, certamente! Sarei onorata.” e appoggiando la sua mano su quella di Padre Santini continuò, “Facciamo così …”
Padre Santini aveva finito la messa da tempo. Ma invece di tornare nella casa canonica stava seduto in sacrestia guardando la copia del dipinto incorniciato sulla parete, l’Incredulità di San Tommaso di Caravaggio, con quel dito indice infilato dritto nella ferita del fianco del Signore. Lo vedeva tutti i giorni. Ecco come gli era venuto in mente. Guardava di nuovo il quadro e il corpo redivivo del nostro Signore. Abbassò la testa.
“No, mio Signore, risparmiami. Una pelle martoriata mi fa rabbrividire. Niente stimmate e nessun segno di fede. Non funzionerebbe ormai. Invece di inginocchiarmi davanti a Lei, correrei in farmacia per un tubo di Gentalyn Beta.”
Poi tirò fuori il pacchetto dalla tasca della giacca e lo aprì. Girò e rigirò il frammento di osso tra le mani. “La reliquia andava sistemata”, pensò con ironia… Ma nessuno in realtà sapeva di questa ‘reliquia’. Non era neanche una reliquia. Il pezzo di osso gli era rimasto nel piatto dopo avere spolpato la coscia di pollo ieri sera. Lo aveva osservato e in un baleno aveva inventato la storia di sana pianta. Gli serviva solo una scusa, un pretesto per starle vicino più a lungo. La Signora Gesualda era così disponibile nel confronto di ‘Alessandro’… così lo chiamava ormai da un mesetto. Guardava di nuovo la reliquia. “Oh Signore, non ha neanche niente a che fare con te, quest’oggetto. Non è un sacrilegio. Vero? Le ho detto solo che bisogna sistemare questa reliquia. E lei ha preso le mie mani nelle sue. Non ha neanche realmente guardato la reliquia.”
“Sono già in ritardo,” pensò Padre Santini, mentre chiudeva le ante dei grandi armadi della sacrestia. “La Signora Gesualda mi ha detto di passare dal negozio alle 13:30, al momento della chiusura. Eravamo d’accordo che avremmo studiato la reliquia insieme, presi le giuste misure.”
Alessandro Santini guardò di nuovo la reliquia. Non era certo una reliquia, ma per lui era un oggetto miracoloso, di un valore inestimabile.