Il viola è un colore che non mi dona per niente. Ho sempre detestato il tulle sintetico. Mi pizzica terribilmente. E le imbottiture? Non le posso vedere. Non possono usare le fibre naturali? In seta o al limite in viscosa, se proprio hanno il braccino corto. E tu non fare il tonto! Guarda come mi hai conciata! Detesto questo ridicolo vestito pied de poul stile Chanel. Sei stato tu a insistere perché lo comprassi. Alla fine ti ho accontentato e non l’ho mai messo! Glielo hai dato per farmi un dispetto? E i capelli cotonati? Ma dico io, quando mai li ho portati così! Come se non bastasse mi hanno truccato da vecchia con chili di fard e un rossetto lucido!
E la foto! Ce n’erano almeno una dozzina in cui ero venuta benissimo, ma giusto questa hai scelto, dove ho un sorriso moscio e non si capisce bene chi guardo. In realtà guardavo te e in quel momento ti avrei sbranato. Avevamo appena finito di litigare. Eravamo “Ai tre scalini” e anche lì hai rotto, perché mi hai obbligato a prendere il risotto per smezzarlo con te. E io ho dovuto rinunciare agli spaghetti alle vongole per colpa tua.
Mi hanno piazzato qua, vicino a un vecchio incartapecorito, con il vestito che sa di naftalina. Mi sa
che è ancora quello del matrimonio. Noi due abbiamo ben poco da spartire. Ci ignoriamo. Avete presente
quando si finisce in ascensore con uno sconosciuto?
Ecco, è la stessa cosa.
Stamattina avrei voluto imprecare contro quelle signore tutte mascherate come ai tempi del Covid. Mi
irritano la pelle i guanti di gomma! Mi hanno strofinato come se dovessero grattare via le setole di un maiale. Con quel bagnoschiuma dozzinale che sa di cloro! Ho la pelle delicata, mi sono sempre lavata con prodotti naturali e privi di siliconi. Ho cercato di farglielo capire in tutti i modi, ma hanno fatto finta di niente. O forse non hanno capito veramente, in fondo non sono di qua.
Le donne di qua non vogliono mica fare questo mestiere.
Che bisogno c’era poi di ficcarmi un tampone nel sedere e un pannolone, come se fossi una vecchia
incontinente? Quando ti infilano come una sardina (per carità tappezzata di cuscini e di tulle sintetico!) in questa cassa di legno pare che tu non abbia più voce in capitolo. Ti tocca aspettare un po’, poi trovi il modo di farti sentire. È che adesso (dicono quelli che ci sono già passati) sei in una specie di Limbo, ma dopo un po’ incominci a far arrivare la tua voce. Loro, però, sono talmente assenti, intrappolati nelle loro stupide vite, talmente sordi che non la sentono. Non si rendono mica conto! Non sanno, povere creature, che li vediamo e li sentiamo. Abbiamo la vista del falco e un radar incorporato alle orecchie. Li osserviamo dall’alto e gli piombiamo addosso. Ci insinuiamo nei loro pensieri e nelle loro vite. Li
distraiamo, gli facciamo fare delle gaffe, gli nascondiamo le cose, infettiamo i loro sogni. Abbiamo nelle nostre mani il loro destino. Ma loro fingono di non saperlo.
Toh! Ecco che hanno riaperto la porta. Finalmente mi hanno tolto da quel maledetto frigorifero (ma dico io ho già abbastanza freddo, mi devono pure mettere in freezer?) e mi hanno piazzato di nuovo vicino alla vecchia mummia che puzza di naftalina.
Orario visite. Ecco che arrivano i parenti con quell’aria mesta. Eccoti in prima fila, con quel vestito grigio che, giusto una settimana fa, ho ritirato dal lavasecco. Ti chini e mi dai un bacio. Diciamo la verità, fai finta, perché ti schifa. È inutile che frigni, chi ti crede! Conosco tutti i tuoi altarini! Hai ancora addosso quel profumo stomachevole, “Poison”. Mi pizzica il naso a tal punto che quasi starnutisco. Ed eccola dietro di te! Madame Poison. Mi sa che si è messa l’intera boccetta per l’occasione. L’amica del cuore, con quell’aria afflitta! Vedrai mia cara… vedrai adesso! Pensavi per caso che non me ne fossi accorta? Di avere un’amica troia? Certo che lo sapevo, ma ho fatto finta di niente. Mi conveniva alla fine. Lo scoprirai un po’ alla volta da sola! Ti lascio il gusto della sorpresa. Adesso è tutto tuo!
Credi che non mi sia accorta dello sguardo da gattamorta con cui lo hai guardato? Credi che sia cieca?
Ipocrita, taccagno, pidocchioso. Sempre con il fiato sul collo. Sempre lì a controllare. Del resto la stronzaggine è direttamente proporzionale alle misure. Se dovessi dare una taglia al tuo cuore, direi che è un extra small.
«Non puoi stare più attenta, tesoro!» «Ma ti serviva proprio tesoro!» «Hai le mani bucate tesoro!»
Bla… bla… bla! Ci infilavi sempre quel Tesoro. Tesoro qua, Tesoro là, e intanto sempre lì a gufare.
Più indietro, defilato, c’è Andrea. La testa bassa e le spalle incassate. Pensare che solo tre giorni fa avevamo fatto quel capitombolo giù dal letto, a causa di quella posizione acrobatica, e mi ero presa una bella botta in testa su uno spigolo. Pare proprio che non se ne renda conto ancora. È rimasto scioccato, povero Andrea! Non c’entra la botta! È un difetto genetico il mio. L’ictus avrebbe potuto venirmi in qualsiasi momento. Sono nata difettata. Stai sereno! Doveva finire così a quarantatré anni. Stava scritto da qualche parte. Esiste, che tu ci creda o no, il destino.
Andrea, guardami! Ma quanto ci siamo divertiti noi due! Quanto ci abbiamo riso, dopo, per quel capitombolo! Certo, anche per lo yoga tantrico e il sesso acrobatico ci vuole un po’ di allenamento, e in fondo noi eravamo principianti.
Ti ripeto che la botta non c’entra niente. Te l’ho detto che sono nata difettata. Non è colpa tua se hai perso l’equilibrio. Se hai mollato all’improvviso la presa. Doveva finire così.
Adesso mi ascolti! Dimenticami. È una fatica inutile star lì a ricordare. Io non ci guadagno niente. Vai a casa e cambia le lenzuola. Ci sono ancora i miei capelli sul cuscino e il letto è impregnato del mio odore. Lava il bidet che ha ancora i miei peli. Butta l’accappatoio in lavatrice. Dagli una rinfrescata alla casa. Spalanca le finestre. E ricordati di dare da mangiare a Tilde. Ti sei quasi dimenticato di lei in questi giorni, poverina!
Accarezzala che ti fa le fusa.
Ti stringi nelle spalle come se avessi freddo. Ti avvicini con un’aria smarrita, ti chini e mi dai un bacio sulla fronte. Mi arriva sulla pelle il calore umido di una lacrima. Scivola giù piano piano sulla guancia e poi si posa sulle labbra.