Silenzi

La verità non può più essere taciuta. Le dita urlano, con la precisione dolorosa di lance.

Se un udente, per esempio io, fosse stato lì avrebbe potuto sentire il rumore della chiave nella toppa, la porta aprirsi e poi richiudersi, lui invece dalla cucina avvertì solo un leggero movimento d’aria e il profumo di lei.

Era tardi, aveva cucinato per due e stava decidendo di mettersi a tavola da solo quando la vide comparire nel vano della porta.

Accennarono appena un saluto, poi lei proseguì verso la stanza da letto.

Portava gli stessi vestiti con cui era uscita la mattina.

Si cambiò, mandò un paio di messaggi e passò in bagno prima di andare in cucina dove la cena era in tavola da un po’, a giudicare dall’insalata appassita.

Si sedettero come al solito uno di fronte all’altra.

Lei con un accenno di sorriso, pochi gesti delle dita e un suono che le nasceva dal fondo della gola, provò a scusarsi del ritardo; lui alzò una mano, scosse leggermente la testa e versò il vino per entrambi. Preferiva niente a una nuova mediocre bugia.

Sentì forte l’odore di sigaretta sui capelli di lei, contrastava con quello di frutta e cannella della macedonia.

Ognuno servì per sé quel che voleva e la cena si concluse in fretta. Non c’era nessun motivo per rimanere lì, in un altro tempo avrebbero sparecchiato insieme e si sarebbero trasferiti in salotto a bere qualcosa, ma ora no, nessuno dei due ne aveva voglia.

Lei, il gomito sulla tavola, la guancia poggiata sul pugno chiuso, si mordicchiava le unghie dell’altra mano. Lui, le mani abbandonate sulle gambe, la guardava.

Sarebbe potuta finire così anche questa volta.

Invece all’improvviso io avrei potuto sentire la mano di lui sbattere sul tavolo di legno e i bicchieri tintinnare, lei vide quel gesto esasperato ed ebbe un sussulto.

Le dita urlanti di lui scattavano veloci nell’aria e dalla bocca uscivano suoni che emergevano da parti profonde.

Lei, superato lo sbigottimento, si protese in avanti e rispose con suoni altrettanto rabbiosi.

Si parlavano contro, senza aspettare i gesti, le parole dell’altro che parole non erano ma lance, frecce avvelenate.

Le loro mani tracciavano segni ostili, così come ostili erano i suoni, si sputavano addosso vecchi pensieri lasciati a marcire.

Poi lei si alzò, gli voltò le spalle e piena di collera prese la macedonia, gettò l’intera ciotola nella spazzatura e uscì dalla stanza portandosi via l’odore di fumo.

Ora anche io avrei potuto sentire il silenzio.

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