Ubik, Philip K. Dick

Joe Chip è la quintessenza della trascuratezza umana, il valor medio di tutti i difetti

Chiunque aspiri a diventare uno scrittore deve fare i conti con i protagonisti dei propri romanzi o racconti; spruzzare loro addosso, neanche avesse in mano una bomboletta spray, tanto di quel fluido energetico da farli procedere in autonomia, al di là di intenzioni volontarie o piani concepiti a tavolino, in modo che persistano eternamente in quella che potremmo chiamare una semi-vita narrativa. Affinché questo proposito si tramuti in parola scritta è importante che un protagonista dimostri le sue potenzialità sin dalla prima pagina in cui è chiamato a esistere; se l’autore intende scagliarlo come una freccia affinché raggiunga il finale della storia senza afflosciarsi sul terreno è necessario che quando appare per la prima volta la cordicella dell’arco sia tesa al massimo; che qualunque sia il valore esistenziale di cui il protagonista si fa portatore, questo si presenti attestato subito nel suo massimo valore, positivo o negativo che sia, in modo che abbia il tempo di raggiungere la polarità opposta al procedere della trama.

Chi non ha mai fatto sconti quando si tratta di introdurre un protagonista è Philip K. Dick, un autore che viene catalogato nel genere della fantascienza ma che ha sempre usato la fantascienza per trasporre in futuri poco rassicuranti le contraddizioni e le idiosincrasie dell’epoca a lui contemporanea – anzi, quelle che ricorrono in qualsiasi epoca, anche la nostra – incarnandole in personaggi fuori dalle righe, talmente allergici ai condizionamenti del sistema da optare per l’autolesionismo. Non fa eccezione alla regola Joe Chip, il protagonista di Ubik, romanzo che Dick pubblicò nel 1969 e viene giustamente considerato uno dei capolavori della sua produzione.

In un mondo dove le regole del business sono aggirate da telepati e precognitivi – i primi in grado di leggere il pensiero, i secondi capaci di prevedere il futuro – Joe Chip è la quintessenza della trascuratezza umana, il valor medio di tutti i difetti. Eppure, in virtù della sua competenza di esaminatore, ossia di tecnico capace di valutare i poteri parapsichici della gente, viene coccolato dal suo capo, Glen Runciter, che lo considera uno dei pochi dipendenti affidabili. A tal punto da incaricarlo di formare una squadra di anti-telepati e anti-precog per sgominare gli psico-terroristi di Hollis, suo principale concorrente. Ma la missione si rivela un tranello, Runciter muore in battaglia e Joe Chip si ritrova improvvisamente al timone della baracca. «Questo per me è un nuovo inizio. Un nuovo capitolo nella mia vita» ammette, conscio delle opportunità di rivalsa che la morte del capo gli offre. «Io voglio sfondare». Ma i sogni di gloria si spengono quando Joe Chip riconosce la calligrafia di Runciter nella scritta a pennarello rosso che trova vergata sul muro di un bagno: IO SONO VIVO, VOI SIETE MORTI. Grazie a uno dei ricorrenti voltafaccia narrativi di Philip K. Dick, veniamo a scoprire che Runciter è stato l’unico superstite della missione e le apparenti peripezie di Joe Chip e del resto della squadra non sono altro che i residui mentali di un gruppo di cadaveri mantenuti in semi-vita dentro celle frigorifere.

Godiamoci allora l’ingresso in scena di Joe Chip, un personaggio che annaspa in una mediocrità senza speranza, dal quale non ci aspettiamo botte d’orgoglio, ma che poi, nel suo strenuo tentativo di rimanere aggrappato alla vita, o quanto meno alla semi-vita, ci sorprenderà fino al punto di commuoverci.

Buona Lettura!

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Mario Abbati

Mario Abbati è nato a Roma nel 1966, laureato in Ingegneria Elettronica e in Filosofia. Come scrittore ha pubblicato saggi, romanzi e raccolte di racconti. Studioso dei Tarocchi, da anni si interessa delle applicazioni di questo strumento alla narrativa. È docente di scrittura creativa presso la scuola di scrittura Genius.

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