Nascondino

Ciao, Kr14f9. Piacere di conoscerti. Adesso giochiamo un po’

Hai mai pensato a quanti personaggi pazzeschi incroci ogni giorno? Livia Sauser, alter ego della nostra tutor Sabrina Silvestri, va in giro nello spazio e nel tempo, alla ricerca di storie nascoste, e se ne riempie le tasche. Avrai a disposizione un’intera collezione di personaggi: non hai più scuse, prendine quanti ne vuoi e continua a scrivere!

 

Giuro che ero più contenta se rimanevo a casa.

Tipo Non vedo, non sento, non parlo. Tipo Non so niente, niente ci posso fare.

Mica potevo salvare nessuno, no? Cosa aggiungevo io alla ’rravogghja che stava sulla spiaggia?

Però Cenzino, quando è venuto a dirmi Io vado, pure a me mi ha convinta. Tutto quello che fa, lo fa con quell’occhio allumato che mi tira pure a me nelle cose sue. Fino a pescare m’ha tirata appresso a lui, a me che manco mi piace andare a mare ma con lui diventa bello pure quello.

E mo uguale: Io vado, ha detto, e sono andata appresso a lui. Però i morti non li volevo vedere. Le salme, così si chiamano a parole tecniche. Le salme non le volevo vedere. Che ne so di come si pescano, manco una cernietta so pigliare. Signorina, mi fa uno sulla spiaggia, qua siamo già tanti. Forse hanno bisogno dentro per pulire, dice. Magari l’odore è forte ma poi il naso si abitua, dice.

E vabbè, quello lo so fare, io a casa pulisco tutti i giorni, no? Un poco di Chantecler e passa pure l’odore.

 

La prima cosa è togliere tutta la sabbia. Dalla bocca, dal naso, dalle orecchie, pure dagli occhi. I granelli li sento uno per uno sotto le dita, con tutti i guanti.

Ci parlo, parlo con tutti loro, gli dico la stessa cosa.

Scusa, dico.

Se ti faccio male dammi una tozzoliata, dico.

Al primo che mi arriva racconto che qua si mangia il pane più buono del mondo, che con le sarde e i pummadori sicchi sono la morte loro. Glielo dico mentre gli scavo nella bocca per toglierci tutta la sabbia, scavo e scavo, non finisce mai.

L’ultima cosa che sentirai sarà il sapore delle sarde, dico.

Non lo sapevo che una salma presa dal mare odora così tanto di formaggio guasto. Provo a rifare il naso mio e la bocca loro pensando a cose buone.

Parlo delle scilatelle col ragù. Delle cuzzupe con l’uovo. Dei crustuli col miele. A un certo punto finiranno le cose da mangiare che conosco, o magari finisce prima la mia voglia di dire cretinate per riempire il vuoto di tante bocche che non parlano, tante mani che non mi tozzoleano manco quando apposta provo un poco a fargli male, e poi mi dispiace e chiedo scusa.

Le salme me le porta Cenzino. Lavora zitto, a testa bassa. Ma all’intrasatta affaccia solo la testa, aspetta un attimo prima di entrare. Livia, mi dice, vedi che la prossima è picciuliddra. Mi sistemo i guanti mentre si avvicina. Lo sento che arriva ma non posso, non posso smettere di guardarmi le dita azzurre di lattice.

Me la posa davanti.

Non vedo non sento non so non conosco. Non parlo.

Ha le guance tonde, di gomma grigia, e chi lo sa quanto arrusicavano quando rideva e che cosa la faceva ridere.

A me mi faceva ridere assai nascondino quando ero piccola, e allora ce lo dico, Adesso facciamo un gioco. La tua lingua s’annascunne in mezzo alla sabbia che c’hai nella bocca, io te la ritrovo ma faccio piano, non senti dolore, e se invece ti faccio male ho perso e pago pegno.

Non ha una scarpa, l’unico taglietto lo tiene sotto il piede nudo: levo la sabbia pure da là, che magari le brucia, che ne so.

Come si fa a scavare con le mani dentro a una creatura così. Un quintale ce ne levo di sabbia, una tonnellata. Cento tonnellate ci levo, e me le sento tutte addosso, nella pancia, nella bocca mia. Non respiro.

Tra poco t’annascunno pure a te ma tu non avere paura, è un gioco, dico.

Facciamo che ti invento prima il nome, pure quello fa gli scherzi e non lo trovo.

Ti abbiamo trovata qua, a Crotone: KR.

Prima di te abbiamo fatto questo gioco con tredici persone: tu sei la 14.

Sei una splendida bambina: f.

Non so quanti anni hai ma secondo me sono meno di dieci: facciamo 9.

Ciao, Kr14f9. Piacere di conoscerti. Adesso giochiamo un po’. Ti nascondi e ti ritrovo, così, con questo bel lenzuolino bianco.

Cucù, tetté.

Esco a pigghiare un poco d’aria. Sul rumore del mare rotolano voci, voci che urlano, voci che piangono. E io muta, le mie parole le ho lasciate tutte sul tavolo delle pulizie, vicino ai guanti azzurri, là dentro, dove parlo a orecchie che sono diventate di formaggio grigio, buchi di gomma pieni di sabbia, non lo so manco più cosa sono. Il cielo è così bello, non si capisce se la luce viene dal sole o dall’acqua, quell’acqua che ancora si permette di brillare anche così, anche rotta da braccia vive che tengono strette braccia morte e le trascinano a riva. Questa bellezza che sovrasta l’Apocalisse è la peggiore delle jastemme.

Mi tolgo stivali e calzini, mi arrotolo i pantaloni fino alle ginocchia. Sai mai che trovo la scarpa della picciuliddra, magari sta galleggiando proprio qua vicino. Entro in acqua di corsa, fino ai polpacci. Questo mare di febbraio mi brucia la pelle e le ossa con miliardi di aghi, un dolore che mi arriva dritto al cervello. Sono pochi secondi, addosso sono ore, anni, i piedi si addormentano, non capisco più se tocco ancora il fondo o galleggio, devo guardare in basso per essere sicura che sto ancora camminando. Torno sulla spiaggia a fatica. Pochi minuti sono rimasta, mi sono bastati. Mi siedo sulla sabbia umida, e quando il sangue mi torna di nuovo fino ai piedi viene da urlare anche a me, la mia voce è una goccia di dolore che schizza impazzita e si perde in questa colatura da fine del mondo.

Kr14f9, ascoltami bene. Tra poco ti nascondono in una scatola bianca, bella, di legno. Giocano anche loro, quelli che ti portano lì dentro. Poi ti accompagnano vicina ad altre scatole, ma è sempre per giocare, e io pure in mezzo a quelle ti ritrovo e ti porto una bella cosa. Che ti piace? Una scarpa uguale a quella che hai perso? Una scatola di colori? Un cappotto nuovo? Una bambola coi capelli scuri come i tuoi?

E poi ti sposteranno ancora, ti porteranno lontana. Ma vedi che terrò ogni giorno un fiore in tasca per te, e posandolo in un posto bello avrò un pensiero che ti troverà sempre, dove stai stai. Il nostro gioco dura finché sono viva io.

 

Questo è uno dei 72 incontri che ci sono stati negati il 26 febbraio; sono solo una parte delle persone che abbiamo perso sul fondo del mare. Dedico questo mancato incontro a chi ha usato il proprio diritto di voto per sdoganare indifferenza e disumanità, per rendere possibili le ore di ostruzionismo alle manovre che avrebbero impedito una strage.

Per non dimenticare: https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/annalisa-camilli/2023/03/03/naufragio-crotone-morti

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Sabrina Silvestri

Docente della scuola Genius, ha conseguito un Master in Medical Humanities e uno in Mestieri della scrittura; gioca con le storie e le parole in ogni ambito professionale, da quello editoriale - dopo il Master in Mestieri della scrittura ha continuato a collaborare come consulente per Bompiani, che l'aveva selezionata per il tirocinio formativo - a quello artistico. Lavora come clown socio-sanitario e conduce laboratori teatrali per bambini. Ha pubblicato racconti per le riviste letterarie "Fritz" e "Mosse di seppia".

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