Joyce meets Proust

James Joyce incontra Marcel Proust anche conosciuto come l’idolo di Parigi.

“Non dovrei mai accettare certi inviti”, borbottò James Joyce mentre cercava in bagno qualcosa che gli facesse passare il feroce mal di testa che lo affliggeva ma aveva trovato solo un paio di compresse di quelle che gli erano vietate per via della sua ulcera. Le ributtò nel cassetto e si andò a sdraiare sul divano, senza neanche avere la forza di prepararsi un thè.

Quando era arrivato l’invito per la festa a casa di Stravinsky era rimasto un po’ sorpreso, poi aveva pensato che avrebbe dovuto noleggiare almeno uno smoking, cosa che non aveva fatto per mancanza di denaro. Così la sera della festa lo aveva colto impreparato, ma lui si era fatto coraggio con qualche whisky e si era presentato a casa Stravinsky tremendamente in ritardo, con una giacchetta nera sgualcita e completamente sbronzo.

Ricordava solo gli sguardi di disapprovazione di gentiluomini inguantati e signore in tenue de soirée, poi qualcuno gli aveva rivolto la parola, gli era sembrato che fosse Djagilev, quello dei Balletti russi, ma non ne era sicuro.

Si era rintanato in un angolo e aveva continuato a bere da solo, cosa che non gli piaceva affatto.

Ci vuole sempre un compagno di bevute, uno come Hemingway, per esempio. Ernst era stato il migliore, sì, sempre pronto alla battuta e a tirarlo fuori dalle risse da bar in cui lui andava sempre a ficcarsi.

Una donna dal naso pronunciato e una lunga piuma in fronte lo stava fissando: Joyce aveva cominciato a sentirsi a disagio, soprattutto per la giacchetta lisa sui gomiti, e anche per il ritardo, sì, era stato maleducato, gli succedeva spesso quando beveva un po’.

Aveva cercato rifugio dietro la chioma di una pianta che ornava lo scalone di marmo e dal suo nascondiglio aveva colto un movimento improvviso nella sala, era arrivato qualcuno e sembrava che tutti volessero salutarlo o farsi notare da lui.

Joyce aveva stretto gli occhi per mettere a fuoco; Stravinsky stringeva la mano a un tizio inguainato in un frac dal taglio impeccabile, capelli impomatati con cura e un’orchidea bianca all’occhiello.

Joyce lo aveva riconosciuto dagli occhi, grandi e scuri.

Marcel Proust, l’idolo di Parigi, si era presentato con tre ore di ritardo, e tutti lì, a fargli l’inchino e a baciargli l’anello.

Qualcuno lo aveva scovato da dietro la pianta e lo aveva presentato allo scrittore più in voga del momento.

Joyce e Proust si erano guardati e non si erano piaciuti.

Il francese saprà come vestirsi, ma è più maleducato di me!, ridacchiò Joyce mentre si stiracchiava sul divano. Il mal di testa era quasi passato.

Bibliografia:

James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane, Rizzoli;

James Joyce, I morti, Marsilio.

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