Conversación en tres tiempos
Al niño que se fue le diría en voz baja:
esa rabia se puede dibujar,
los muñecos que robes harán ruido,
un hemisferio tuyo va a ser huérfano.
Al joven que ya dejo le diría:
no creas que en el tiempo hay un mensaje,
correr es impuntual,
elijamos camisas de colores absurdos.
Al viejo que seré le pediría
que me recuerde así, arrugando papeles
para tantear su cara,
que por favor me cuente si va a venir despacio.
[Conversazione in tre tempi /// Al bambino ormai andato io direi a voce bassa: / si potrà disegnare questa rabbia, / farà rumore il pupazzo rubato, / diverrà orfano un tuo emisfero. // Al giovane che lascio io direi: / non credere che il tempo abbia un messaggio, / correre è impreciso, / scegliamo le camicie dai colori più assurdi. // Al vecchio che sarò chiederei / che così mi ricordi, mentre accartoccio fogli / per sentire il suo viso, / che di grazia mi dica se arriverà piano. – da Vivìr de oìdo / Vivere a orecchio], Ensemble 2020, traduzione di Matteo Lefèvre.
Per prendere degnamente congedo dal 2021 ho pensato rendervi partecipi di un incrocio fortunato avvenuto lo scorso 4 dicembre nel corso di Più Libri Più Liberi, “fieretta” dell’editoria tornata a splendere: l’incrocio, favorito dall’amica Patrizia Pieri, fotografa-scrittrice, e dall’editore Ensemble, con un poeta che fa della transitorietà e della plurivocalità prospettica il proprio habitus poetico, sia in senso espressivo che (ancor più) concettuale, regalandoci una visione del mondo, uno sguardo sulle cose, una apertura d’orizzonte mentale.
Il poeta è Andrés Neuman, con una sola N: ho fantasticato che la seconda N si sia persa per strada.
Il cognome tedesco del nostro poeta Andrès, nato a Buenos Aires e spostatosi presto in Spagna (lo apprendiamo tra le righe di questa sua galoppante e intensa e diramante raccolta poetica, Vivìr de oìdo / Vivere a orecchio, è l’eredità yiddish della sua gente migrata in America Latina – anche questo dettaglio dirama piste e anche da questo minuscolo segnale (la caduta di una N, dunque la presenza in assenza di una N che c’era e non c’è più), trattiene nel dettato dei versi – sempre trasformativi, generativi per natura – un senso di transito e di mobilità che contraddice alla natura in genere stabilizzante della scrittura come trascrizione e messa in sicurezza, per l’appunto, del dettato.
Flashback en Praga
Làpidas con memoria dental,
sus fauces devorando lo que expulsan.
Ese aliento
a violencia, verdad y victimismo.
La sangre del Moldava
irrigando el cerebro
de la cabeza civica.
Mi tarjeta de credito que asoma,
caliente como el pan.
Todos mis bisabuelos
huyendo de sus casas y entonando
oraciones en yiddish
que no comprenderìa.
[Lapidi con memoria dentale / le fauci a divorare ciò che espellono. / Quell’alito / di verità, violenza e vittimismo. // Della Moldava il sangue / che irriga il cervello / della cervice civica. // La mia carta di credito che spunta, / tiepida come il pane. // Tutti i bisnonni / che fuggono da casa e che intonano / orazioni in yiddish / che non comprenderei. – da Vivìr de oìdo / Vivere a orecchio, Ensemble 2020, traduzione di Matteo Lefèvre]
Del resto questa sensazione di vivacità, di brio, di movimento a stento disciplinato l’ho avuta anche intrattenendomi brevemente con Andrès Neuman allo stand dell’editore Ensemble alla Nuvola: quel ragazzo simpatico, accompagnato dalla moglie col figlio piccolo arrampicato addosso e il passeggino sospinto tra le ali di visitatori/lettori con cautela ed effetto deragliante con cui ho scambiato una curiosa conversazione in itagnolo, e lui, alla fine, da filologo di professione, nella dedica del libro mi ha scritto: “poeta compañera de (casi) palabras”. Potrà sembrare soltanto una innocente battuta, e in fondo lo è, ma sono parole che racchiudono e sprigionano un mondo intero di traffico con le parole che sempre, immancabilmente, e fallibilmente, tentano di esaurire la nostra conoscenza del mondo ma restano appunto uno strenuo tentativo per difetto e per approssimazione.
PERÒ! (ed è proprio questa la genuina poetica di Andrès Neuman, che per intero si chiama Andrès Neuman Galàn): proprio nell’inafferrabile materia mobile (davvero val la pena di dire LIQUIDA, cioè in sostanza inarrestabile) consiste la massa oceanica che, oltre ad essere il contesto ineludibile delle vite di tutti noi, per, anzi lungo, i percorsi che riusciamo a intravedere dandone conto nella scrittura ci fornisce per temporanee aggregazioni il testo o la summa dei testi. Che sono anche testimonianze. Sono appunti, e notazioni anche disordinate, prossime al caos che le produce: che non sta solo nella nostra esperienza incline a presentarsi a noi e a ingoiarci appunto in forma di frastuono e baraonda in cui noi proviamo a nuotare – sta anche nella voce che noi proviamo a dare a tutto questo. Allora il nostro sesto senso ci accompagna e ci guida in un mare magnum del quale Andrès prova, e riesce a mio parere, a far risuonare tutta la gamma sonora possibile riuscendo a lasciar intravedere le forme in cui, in costante e cangiante mutevolezza, ciò che attraversiamo ci si rivela.
El kilómetro extra
No puedo comer el espacio,
y me pesa.
Cuando miro adelante
el futuro me elude
como una lagartija.
Todo lo ocupa eso
que me queda lejano.
El kilómetro extra.
El horizonte en marcha.
[Il kilometro extra /// Non posso mangiare lo spazio, / e mi pesa. // Quando guardo in avanti / il futuro mi sfugge / come una lucertola. // Tutto è occupato da / ciò che da me è distante. // Il kilometro extra. / L’orizzonte in cammino. – Vivìr de oìdo / Vivere a orecchio, Ensemble 2020, traduzione di Matteo Lefèvre].
Non si tratta solo di smentire tutti i nostri cari e rassicuranti luoghi comuni, le abitudini che tutti ci diamo per costruirci la nostra lucente botte di ferro strutturata su altrettanti punti di riferimento, e sponde e rive e approdi più o meno facili. Si tratta di ammettere che siamo stati gettati al centro dell’oceano, nel nulla acquoreo assoluto, e solo provando a nuotare possiamo sperare di lenire il senso altrimenti soverchiante di totale inappartenenza a qualche zattera continentale. È l’idea di noi che ci portiamo dentro, che sta lì a stimolarci a tenere insieme tutto il poco che siamo. È l’unica via per non cedere alla tentazione di lasciarci cullare per un po’ facendo il morto per poi scivolare giù e andare a fondo.
Vorrei chiudere accennando a due fatti.
Il primo è che il titolo (come ci spiega anche Matteo Lefèvre, curatore del volume, traduttore dei testi di Andrès Neuman) ha perlomeno due accezioni di significato: Vivìr de oìdo vuol dire sì vivere a orecchio ma anche vivere per sentito dire. Trovo che questa duplice possibilità apra, di nuovo, una serie di strade all’immaginazione: personalmente per il primo significato ho subito pensato a Enzo Jannacci, al suo Ci vuole orecchio, e trovo corrispondente a una certa sensazione che ricaviamo dai versi di Andrès Neuman le parole di Jannacci quando dice, anzi canta, “bisogna averlo tutto anzi parecchio”, e poi “immerso dentro il secchio”, cioè il suggerimento a andare a guardare in certi punti o in certi passaggi più che in altri, fermo restando che il principale allarme e la fonte prima per la nostra intelligenza delle cose del mondo è necessariamente la sensibilità acustica, volante. È vero anche che ciò che attraversiamo finché ci stiamo dentro non riesce sempre a comunicarci stabili significati, anzi tutto si fa imprendibile e allora dobbiamo affidarci all’esperienza e alla intelligenza di altri, e provare a far nostro tutto questo in attesa che a debita distanza dal fuoco dei fatti ci arrivi la loro comprensione.
Ruìdos equivocados
Algunas cosas hacen
ruidos equivocados:
problemas de doblaje con el mundo.
De pronto un vaso tiene voz de niño,
el tenedor escarba una cabeza,
una mesa chirrìa un neumàtico.
El desorden provoca observaciòn
en la misma medida que la musica
discrepa de sus previas armonìas.
Llevo en la esplada el eco
de la puerta que acabo de cerrar,
como esa noche en que dijimos frases
que merecìan otros.
[Rumori sbagliati /// Alcune cose fanno / dei rumori sbagliati: / problemi di doppiaggio con il mondo. // Un bicchiere ha voce di bambino, / la forchetta smeriglia una cervice, / un tavolo fa stridere pneumatici. // Il disordine suscita attenzione / come succede quando la musica / diverge dalle sue armonie anteriori. // Mi porto in spalla l’eco / della porta che ho chiuso proprio ora, / come la notte in cui dicemmo frasi / che altri meritavano. – Vivìr de oìdo / Vivere a orecchio, Ensemble 2020, traduzione di Matteo Lefèvre].
Del resto nella quarta di copertina dell’edizione in lingua originale si legge: “Quando si dice che un musicista suona a orecchio ci si riferisce al fatto che la sua sintonia con la musica si deve più a un assunto di lirica e comprensione istintiva che a studio e conoscenza accademica. Vivere a orecchio comporta il calarsi similmente nella vita e nei suoi accadimenti, nella memoria e nelle sorprese che essa riserva, nella quotidianità e nelle sue fratture. I rumori che percepiamo in modo distratto e che riceviamo come segnali equivoci di tutto ciò che ci circonda; le illusioni ottiche da cui partiamo per inventare mondi e allucinazioni ben più attraenti del mondo reale…” [Cuando decimos que un músico toca de oído nos referimos a que su entendimiento de la música se debe más a un asunto de lírica y comprensión instintiva que el estudio y el conocimiento académico. Por ello, Vivir de oído hace una forma semejante de hundirse en la vida y sus incidencias, la memoria y sus sorpresas, la cotidianidad y sus rupturas. Los ruidos que escuchamos con distracción y recibimos como señales equivocadas de las cosas que nos rodean; las ilusiones ópticas a partir de los que inventamos mundos más divertidos y alucinantes que este… – traduzione mia].
Il secondo è un ringraziamento proprio a Matteo Lefèvre curatore di questa prima opera di poesia del nostro Andrès Neuman per la traduzione puntuale dei versi in cui, abbiamo notato, il dettato del poeta di partenza è stato talmente interiorizzato che Lefebvre rincorre e inanella allitterazioni (figura frequentata da Neuman) anche laddove nel testo di partenza non ce ne sono: è come se Lefèvre parlasse scrivesse ascoltasse la lingua del mondo de oìdo, a orecchio e per sentito dire, facendo propria la sensibilità per i suoni del mondo che è del poeta Neuman. Inoltre Lefèvre antepone ai testi, ripartiti in tre sezioni [Ese viento obstinado (Questo vento ostinato) / Ruido de amor (Rumore d’amore) / Perro sònico (Cane sònico)], una corposa introduzione che è anche una puntuale analisi di testi. E dire che se c’è un tasto su cui Andrès Neuman batte è l’impuntualità…
Andrès Neuman non è sconosciuto in Italia: è tradotto da noi fin dal 1999, con testi finora tutti in prosa narrativa. Questo Vivìr de oìdo è il suo primo libro di poesia: è uscito in Spagna nel 2018, e Ensemble lo ha pubblicato da noi in versione tradotta per la curatela di Matteo Lefèvre nel 2020. L’attraversamento è la nostra partita, il nostro traffico, e Andrès Neuman in allegria e con spirito di adattamento, poiché lo sa, poiché lo legge tra le righe e nell’arrancare delle parole, ce lo mostra senza infingimenti.
Penúltima derrota frente el mar del sur
Después de que los bárbaros nos hayan aplastado,
de que entraran violando los cristales,
mordiendo los candados para traficar miedo,
confiscando las puertas del padre labrador
y de la madre experta en cultivar su espalda
y de todos los hijos despeinados,
volcando nuestros lechos como botes desnudos,
arrancando las parras luminosas,
trazando con la espada la próxima frontera,
después de que los bárbaros nos hayan conquistado
tirándonos monedas en los ojos,
acampando en las bocas iletradas,
llenándonos de plomo los zapatos,
cortándonos las uñas para ahorrar en deseo,
apagando las velas tartamudas
que titilan al sur pero no alcanzan,
dictando un diccionario con palabras del norte,
empuñando su lengua de carcoma,
después de que los bárbaros, en fin,
hayan sido también nuestros mismos vecinos,
nuestra gente educada en traicionarse,
los niños partidarios del palo y del pedrusco,
los hermanos en bíblico negocio,
los abuelos capaces de exiliar a sus nietos,
los maestros huyendo de las aulas,
el panadero horneando el hambre de su prójimo,
el carpintero en manos de su propio martillo,
nadar en este mar es una acción política.
[Penultima sconfitta davanti al mare del sud /// Dopo che sono giunti tra noi i barbari / rompendo serrature all’unisono / confiscando gli occhi del padre contadino / e della madre esperta nel coltivare il dorso / e i piedi dei suoi figli spettinati, / rivoltandoci i letti come ciotole, / strappando via la vite luminosa, / tracciando con la spada la frontiera, // dopo che sono penetrati i barbari / accampandosi in bocca, / riempiendosi le scarpe di monete, / tagliandoci le dita dal lucignolo, / spegnendo le candele balbuzienti / che tremolano al sud e che non durano, / brandendo il proprio idioma / e tutto un dizionario di silenzio, // dopo che sono diventati i barbari / educati vicini che salutano, / la nostra gente avvezza al tradimento, / i bambini che impetrano le pietre, / i fratelli in biblica combutta, / i nonni sempre pronti a esiliare i nipoti, / il panettiere che inforna la fame, / il falegname in mano al suo martello, // nuotare in questo mare è un’azione politica.– Vivìr de oìdo / Vivere a orecchio, edito da Ensemble (2020), traduzione di Matteo Lefèvre].