Secondo voi quand’è che un romanzo merita attenzione?, merita di essere letto? Beh, voi pensateci, intanto vi dico la mia. Secondo me quando si verificano una serie di condizioni. Allora, anzitutto quando leggendolo avvertiamo che l’autore è a suo agio nella lingua – nello stile – che ha scelto per il suo romanzo. Poi se sentiamo che c’è rispondenza fra la vicenda raccontata e il carattere dei personaggi, cioè se c’è verosimiglianza e coerenza psicologica, soprattutto nel protagonista. Parafrasando un celebre proverbio, potremmo dire che se un certo personaggio è nato quadro non può diventare tondo nel corso della narrazione solo perché a noi serve narrativamente quel suo cambiamento; la evoluzione psicologica, morale, di un personaggio, deve essere coerente con la sua natura, con la sua storia personale, con il suo ambiente… se io sono un pavido, irresoluto, cacadubbi, per diventare un uomo temerario e decisionista dovrà succedere nella sua vita – nel racconto – qualcosa di veramente significativo che possa legittimare quel cambiamento. Altra condizione: se l’autore è “onesto” nel suo racconto, nella sua rappresentazione; ovvero se non cerca di sembrare diverso (migliore, più sapiente, più intenso, più arguto, più figo ecc.) di quel che è. Un vizio piuttosto diffuso nella nostra epoca. Questa attitudine dello scrittore al mascheramento, al travestimento, al voler sembrare qualcuno o qualcosa che non è, dà luogo a quello che oggi viene definito kitsch… qualcosa cioè che cerca di essere artistico, ma rivela la sua inautenticità. Ma chi lo decide che cosa è autentico e che cosa non lo è? Bella domanda, me la segno per un prossimo Sconsiglio. Come esercizio vi propongo questo: scrivete un elenco di romanzi che avete letto che vi sono sembrati inautentici, fasulli, insomma delle patacche. Alla prossima.
Zio Alberto
Cosetta incontra inaspettatamente un lontano parente che aveva conosciuto solo nei racconti dei suoi familiari.