LA PERA

… e di nuovo ti colpisce che tu non sia in grado di stabilirne la forma né il colore…

È da un paio giorni che sei rimasta sola. Ancora hai in testa quella lite feroce, finita con lui che ti ha detto che di te non voleva più saperne nulla e che se ne andava per sempre. Il tutto condito con un poderoso, sonoro e terribilmente doloroso vaffanculo. Hai tentato di reagire allo choc scrivendo, andando avanti con il tuo romanzo: tentato, perché ogni volta che ci hai provato non ci sei riuscita. Ti siedi di nuovo davanti al pc ma non riesci a fare altro che fissare lo schermo bianco, pensando che un word processor può diventare il tuo nemico più acerrimo. Ti guardi intorno, conosci a memoria tutto, di quella stanza. Ma a un certo punto, sullo scaffale della libreria su cui sai perfettamente che c’è una pera di metallo, una specie di portaoggetti che avevi comprato insieme con lui, non vedi più la pera che conosci così bene. Ora al suo posto c’è un oggetto indefinito dai contorni sfumati, una cosa con una forma ma anche senza, di colore acceso ma anche scialbo, quadrata ma anche circolare, metallica ma anche di legno. Ti alzi, prendi in mano l’oggetto. Ti sembra soprannaturale, pesa come la pera ma non si apre, e di nuovo ti colpisce che tu non sia in grado di stabilirne la forma né il colore, è come se i contorni fossero evanescenti. E mentre ti domandi che diamine sia successo, improvvisamente la scena del romanzo che inseguivi si materializza, chiara, limpida e cristallina. Ti getti sulla tastiera e scrivi, scrivi, scrivi. Dopo due ore ti alzi, esausta ma con dieci cartelle perfette, a prova di rilettura ad alta voce. Le mandi subito al tuo editor via email, e dopo pochi minuti arriva la risposta: ti dice che quella scena è una delle migliori che tu abbia mai scritto.

Sei scioccata, non ti capaciti, sai perfettamente in cuor tuo che quell’oggetto c’entra qualcosa. Ma vuoi una conferma. E così ti alzi di nuovo, di nuovo vai alla libreria, di nuovo prendi in mano quella “pera-non pera”, e di nuovo si compie la magia. Altre due ore di concentrazione assoluta, altre dieci cartelle perfette.

È passato un anno, da quel giorno. La “pera-non pera” ti ha aiutato a gestire l’assenza di lui, ma soprattutto ti ha aiutato a scrivere, a scrivere molto bene. Grazie alla “pera-non pera” il tuo romanzo si è dipanato rapidamente, lo hai finito in pochi mesi e ne hai iniziato un altro, che hai promesso di terminare di qui a qualche settimana. Pensi a quanto tu sia felice, specialmente oggi. Perché oggi lui è tornato, dopo molte telefonate e dopo qualche incontro fuori avete deciso di tornare a vivere insieme, e lui è arrivato un’oretta fa.

Gli hai detto che mentre sistema le sue cose ne avresti approfittato per scrivere un po’, ma ti è presa una bruttissima crisi da schermo bianco, di un’intensità che non ricordi così grande neanche nei tempi più bui, quelli prima della “pera-non pera”. Pensando di risolvere rapidamente, alzi lo sguardo verso la libreria ma hai un tuffo al cuore. Ti alzi di scatto, sperando disperatamente di sbagliarti, ma la “pera-non pera” non c’è più. Al suo posto c’è di nuovo la pera, quella di prima, il soprammobile portaoggetti.

Sei rimasta imbambolata davanti alla libreria, ma d’improvviso sussulti, lui è arrivato silenziosamente alle tue spalle e ti ha abbracciato. Senti la sua testa poggiata sulla tua schiena, le sue mani sul seno. “Dai, non è il momento”, gli dici. Lui ti ignora e ti bacia sul collo, come piace a te. Ma in quel momento ti infastidisci soltanto, non vuoi baci, vuoi capire cosa sia successo alla “pera-non pera”. Tenti di scioglierti dall’abbraccio ma lui insiste, la presa sui seni diventa più stretta e ti mordicchia il collo. Improvvisamente una rabbia cieca ti assale: la scomparsa della “pera-non pera” insieme con la stolida sicumera di lui sono un cocktail micidiale. Pensi che ci risiamo, pensi che lui è il solito egoista di merda, troppo concentrato su se stesso e sui suoi stupidi bisogni per capire i tuoi, per capire che il tuo problema è serio. Gli assesti una gomitata nelle costole, ti volti come una furia. Gli urli in faccia tutta la tua rabbia, tutte le cose che gli avresti voluto dire un anno fa, dopo il suo vaffanculo. Gli dici che non è cambiato niente, che di lui non ne vuoi sapere, e concludi intimandogli di uscire subito da casa tua.

Lui tenta di replicare, cerca di blandirti, cerca di dirti che non è come pensi, ma sei irremovibile: hai realizzato che farlo tornare a casa è stato un errore, un enorme errore.

Dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, ti chiama il tuo editor: ti dice che la casa editrice preme, il romanzo è buono ma vuole accelerare i tempi. Chiudi il telefono, e mentre stai per sederti l’occhio ti cade sullo scaffale della libreria. La pera non c’è più, è tornata la “pera-non pera”, e con lei è tornata anche l’ispirazione. Ti siedi e cominci a scrivere.

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Massimiliano Ferraris Di Celle

Nato a Roma il 9 febbraio 1959, laureato in ingegneria elettronica e ingegnere nell’animo, lavora nell’IT da quasi quarant’anni. Si è accostato alla scrittura per caso, iniziando a curare un blog. Successivamente ha frequentato corsi di scrittura creativa e ha conosciuto the Genius (Paolo Restuccia), prima che fosse creata l’omonima scuola di scrittura. Scrivere lo aiuta a combattere ma anche a conoscere meglio i mostri che ha dentro. Ha pubblicato una raccolta di racconti dal titolo “Niente è per caso” (Annales, 2014).

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