I BUDDENBROOK ‘NCOPPA A PUSILLECO (INNO A UNA MADRE)

Domenico detto Mimmo, Maria Luisa detta Marisa, un grande amore...

Domenico detto Mimmo, Maria Luisa detta Marisa, un grande amore, dieci anni di differenza tra i due. Mimmo uomo tutto d’un pezzo, alto dirigente di banca, famiglia borghese, due lauree, all’epoca prestigiose; Marisa giovane donna di famiglia con quarti di nobiltà, proprietari terrieri e di una cartiera in provincia di Caserta, come le terre della nonna.

Mimmo incorruttibile, algido, bello come il sole, elegante con i suoi abiti e scarpe su misura, ricercato, distinto, un signore si sarebbe detto un tempo. Si narra che da piccola quando mi prendeva in braccio, io muta, tremavo come una foglia per l’emozione, per la paura, per la vicinanza, non so.

Marisa educata e cresciuta al matrimonio, piena di vita, brillante, sorridente, romantica, pronta al sacrificio per la famiglia, per mantenere quello che aveva conquistato.

Mimmo parsimonioso, Marisa cresciuta negli agi della famiglia, si adatta con sacrificio alle regole imposte da Mimmo, accetta la logica della formichina a cui non era stata abituata.

La cartiera di Pratella produce carta paglia, con maestranze locali che tutto erano fuorché operai, avevano casa, terre, animali da curare e si dedicavano al lavoro in fabbrica in fondo come occupazione secondaria. La carta paglia non era più redditizia, poi uscita dal commercio per motivi sanitari, la cartiera andava in rovina.

Verso l’inizio degli anni 70 Mimmo decide di diventare imprenditore, di dedicarsi al rilancio e alla salvezza della cartiera ma non era un imprenditore, non aveva la pellaccia, in fondo dall’alto della sua posizione aveva sempre deciso chi avrebbe potuto avere crediti bancari, chi avrebbe potuto resistere alle crisi, chi avrebbe potuto sopravvivere agli alti e bassi della vita.

Mimmo si dedica anima e corpo a questa sua follia quasi senile. Coinvolge due amici, un avvocato di grido e il direttore di una multinazionale americana. Si fonda una nuova società e si parte al salvataggio della “cartiera” e alla decadenza economica della nostra famiglia.

Grazie agli aiuti della cassa del mezzogiorno la cartiera viene riconvertita e modernizzata, si produrrà un altro tipo di carta e si pensa in grande. I quasi operai non collaborano, manca un direttore tecnico capace di mettere in piedi la nuova produzione, un direttore commerciale capace di vendere, chi è capace di gestire il personale, mancano tutti i presupposti e ci vogliono tanti soldi. I tre amici hanno le loro professioni e non sono in grado di gestire il tutto.

Intanto Marisa cura i figli, la casa, grande parte del sogno della sua vita. Una bella casa, grandissima, che si arricchiva a mano a mano delle scelte d’arredo di Marisa e che Mimmo assecondava. Cura, economia, parsimonia come richiesto dal capofamiglia, l’unico che portava i soldi a casa, anche tanti, perché Marisa non aveva mai potuto insegnare per volontà del marito.

Mimmo non ha mai detto a Marisa, fin in punto di morte, quale fosse la situazione finanziaria della famiglia, non erano cose da donne. Marisa amministrava con oculatezza quello che le veniva dato e forse fino a un certo punto anche gli aiuti della sua famiglia d’origine; lei chiedeva, lui decideva.

La vita cambia, la cartiera chiama sempre più spesso, Mimmo corre, dorme lì, lavora di giorno in banca, di sera, di notte alla cartiera. Marisa sa, non sa, non deve sapere in fondo, fino in fondo. Mimmo è sempre più lontano, si cercano soldi, si ottengono prestiti, fidi, si ipotecano proprietà della famiglia, delle due sorelle di Marisa, dei due soci. I creditori bussano alla porta, Marisa viene coinvolta, mette la sua firma, la sua persona a disposizione, Mimmo non poteva, ne andava della sua posizione in banca. Lei si presta, piena di preoccupazione tenta di salvare il salvabile, piena di umiliazione chiede soldi a parenti, amici, chiede di procrastinare i pagamenti. Mimmo va in pensione, si ammala, Marisa lo cura con dedizione e amore, la cartiera va a rotoli, piena di debiti, ogni cosa è ipotecata, svenduta per placare i creditori, si trova coinvolta direttamente nonostante non sapesse nulla o quasi di quello che era veramente successo in quei dieci anni di follia del marito, trasformato in un giocatore d’azzardo di un gioco terribile e spietato con regole a lui sconosciute.

Mimmo muore consumato dalla sua malattia e dai suoi tanti dolori, Marisa si trova vedova a 57 anni, non sapendo cosa le stesse per succedere.

Improvvisamente tira fuori la sua tenacia, determinazione, forza, combattendo la delusione, il lutto e il mondo, a fronte di oltre 30 anni di dedizione assoluta in nome di un grande amore in gran parte realizzato e in parte disatteso, lei l’ha amato sempre senza condizioni.

Va in banca, nulla aveva mai saputo e potuto sapere, la liquidazione milionaria di Mimmo non esisteva più, dissolta in rivoli di tamponamenti debitori, per la sua amante, “la cartiera”. Tutto svenduto, ipotecato, la sua meravigliosa casa ipotecata a suo nome e messa all’asta, altre proprietà di famiglia perse nel nulla, litigi con le sorelle coinvolte loro malgrado e con i soci vecchi amici diventati acerrimi nemici, toccati in modo minore nei loro patrimoni.

Marisa combatte con avvocati e banche senza scrupoli che la incalzano, che vogliono tutto, anni di tribunali, soldi che scarseggiano per pagare i suoi improbabili difensori, due figli ancora giovani e inesperti che l’hanno aiutata come potevano o per quel poco che ha voluto. Lei combatte come una leonessa, cercando di salvare qualcosa, la sua dignità e quella del suo amato marito, sbeffeggiato e trattato da inetto. Napoli ne parla, la vergogna di una donna che tenta di salvare la memoria del suo uomo, di proteggere i suoi figli, di poter lasciare loro qualcosa di tangibile per la vita futura.

La casa amata passa di mano, venduta all’asta, dopo tentativi disperati di salvarla in parte o tutta. Giudici, avvocati e banche come vampiri sull’ambita preda. Scendono i mobili tanto desiderati e ben assortiti, quelli salvi solo grazie a lei con tutte le suppellettili, scendono dal sesto piano con una gru, lasciando vuota quell’enorme casa che ci aveva visto crescere e che lei pensava che sarebbe stata per tutta la vita.

Va a vivere in una casetta spoglia, fino a quando combattendo con la banca le viene riconosciuta la giusta pensione, degna del ruolo di Mimmo con tanto di copiosi arretrati. Finalmente riesce a risistemarsi in una bella casa con le sue amate cose, come lei ha sempre voluto e dove ha vissuto per trent’anni fino alla sua fine.

I due figli hanno visto passare di tutto, il suo amore per la vita, la sua forza, la sua tenacia, la sua caparbia solitudine, il suo orgoglio, la sua dignità, la sua generosità, hanno visto passare e scappare tanti soldi, tante case, tanti agi, mai hanno rimpianto quello perduto né hanno provato rancore per il loro padre. Hanno giovato di tanto amore, di tanti privilegi, le sue lotte hanno portato a scoperchiare gli imbrogli subiti, sono rientrati dei soldi, delle proprietà ma non la sua tanto amata casa della vita. Ha vissuto, dopo quegli anni terribili, una vita tranquilla, senza difficoltà economiche, con attenzione ma con il gusto di vivere, mai dimentica di quei momenti, facendosi amare da tutti.

I soldi vanno e vengono, la misura del loro valore è data dalla rappresentazione che se ne fa e noi i suoi figli abbiamo imparato ad usarli con disincanto, con distacco, senza nessun accanimento.

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