POESIA come PAUSA

Oggi scopriamo le poesie di Silvana Grasso, in genere autrice di romanzi, cioè di prosa

Mi guardava mia madre lì a terra sulla paglia del vagone blindato.

[…]                       Poi un giorno tra un mucchio di morti a

catasta c’era lei, ma chi era tra tante?

Tutte donne, tutte nude tutte magre tutte gonfie tutte madri.

Non avevano unghie non avevano occhi non avevano chiome.

Erano ossa e ferita, solo ossa e ferita. E poi madri.

Ci rimasi tre anni nel campo senz’erba

col braccio tatuato […]

Ci rimasi una vita col cuore tatuato

da una pena infinita ][…]

Questo stralcio di versi proviene da un poemetto singolare per molte ragioni rispetto al resto del corpus poetico raccolto in ME PUDET (Poesie 1994-2017) [Edizioni ETS, Pisa 2019] da Gandolfo Cascio in veste di curatore del volumetto e dell’Archivio Silvana Grasso, l’autrice dei versi.

Per darvi conto di questa palese diversità, subito affianco a questa Auschwitz 36170866 un paio d’altri esempi della poesia di Silvana Grasso, in genere autrice di romanzi, cioè di prosa:

Al tuo corpo chiedevo il calore dei fuochi

sul campo di grano al tramonto

quando, rossa, la fiamma lusinga

il pallore del cielo

Al tuo corpo chiedevo la risacca dell’onda

nelle notti di luna calante

e l’odore inviolato del melo

ombreggiato di rose

e la furia del vento invasato

tra le querce odorose

giù a valle.

Al tuo corpo chiedevo elegia e alchimia

epigrammi di sesso e di senso.

Al tuo corpo ora chiedo gli avanzi

sfuggiti all’amplesso distratto

d’un uomo che raccoglie in un canto

del letto

il suo slip stropicciato

con l’affanno del cuore sul petto.


RELICTA

Relitta cosa lo specchio alluciato

rimanda

relitto frastorno tra cumuli d’ombra

e forre spinose

neglette presenze sul muro

che il ragno ammansisce

di trame sottili

fuliggini antiche

soavi e irridenti

vagole lune escoriate

affumate

che inganno d’arsolio disegna

tra fieri sospiri

ansanti soppalchi

del fiato

Basta mettere a confronto la prima poesia che risale a pochi anni fa con queste due che sono dei primi anni di composizione (anni ’90) per notare le grandi differenze tra i due momenti compositivi in fatto di dettato e poetica, e anche in materia di posizione del poeta rispetto al proprio poetare, al valore che a questo atto Silvana Grasso poeta riconosce e attribuisce.

Il tema della poesia più recente (la prima citata) è un tema terribile, un figlio ricorda sua madre e l’orrore dei campi di sterminio, campi senza erba – senza vita, campi di morte, e qui la poesia assume un valore civile che in genere (come vediamo nelle due poesie citate dopo ma più remote) è mimetizzato, anche se non del tutto assente, a vantaggio di altri elementi: la sensualità, il corpo, una fisicità in primo piano. Sembrerebbe un gioco, che si esprime anche nel dettato, in cui schioccano sonorità e fioccano allitterazioni, sfregamenti di consonanti, tutto orientato verso una corporeità e una osservazione della materia che è un modo per ingannare un’attesa: Silvana Grasso è (stata) docente di Lettere Classiche e nei compiti in classe delle sue scolaresche componeva versi. Gandolfo Cascio ci fa notare, con una serie di osservazioni molto ben documentate, sottili, e decisamente a bersaglio, che qui il metodo mitico e le interconnessioni testuali con la tradizione, soprattutto classica, a volte evidenziate col corsivo della citazione, altre volte lasciate invisibili per la notorietà dei passi inclusi, è una sorta di respiro dei classici, il segno di una presenza degli autori greci e latini soprattutto ma non solo (Petrarca è molto presente) che fa parte del quotidiano, sorta di  rimasticazione naturale e un po’ irriverente, insomma il chewing gum che rinfresca la bocca nelle ore interminabili delle versioni.

NEFAS

E ora non chiedere

scire nefas

il frutto lascivo

del gelso

rosso e lascivo.

Lascialo al morso

del satiro vento

di Priapo

Signore dell’orto

del sozzo sileno

che insegue

la ninfa oceanina

dal sandalo d’oro.

E ora non chiedere

scire nefas

******

IMMODICE

In torma impetuosa

Gorgoni/Erinni

immoli parole

eventi del Caso.

Lo spiedo

dell’ugola trista

trafigge

calendule opache

raggianti teoremi

notturno sollazzo

dei sensi.

Vaneggio?

Un Dio mi molesta

annega la fiamma gelata

il grido del tristo

Poeta.

Una poesia come serio gioco che si fonda su due elementi figurali e retorici: la visione dei dettagli e dei rimandi tra loro, e la personificazione. Ciò basta ad animare un teatro che si riempie di voci e di immagini, e – a quel che mi pare di percepire leggendo e interpretando – raccoglie un lascito, sfrega un talismano, strofina una lampada, e subito dà vita a un corteo di fantasmi, rianimandolo davanti ai nostri occhi, come suggerisce anche Gandolfo Cascio.

Ho molto riflettuto stavolta su come siglare questo mio intervento di presentazione per due motivi: perché il poeta di turno anche stavolta fa di cognome Grasso ma si chiama Silvana ed è perlopiù nota come autrice in prosa; e poi perché nel suo caso ho deciso di mediare il mio intervento sparso come sempre tra stralci di versi della ‘nostra’ dando spazio al suo curatore d’archivio, Gandolfo Cascio, professore di Italianistica a Utrecht dove collabora con Raniero Speelman, altro studioso, stavolta olandese, di Letteratura Italiana. In quest’ultimo caso è importante sottolineare che Gandolfo Cascio, nato in Germania e vissuto in Sicilia come la Grasso, ha dovuto forzarla a dare alle stampe la propria poesia che per l’autrice è solo una pausa, un passatempo, tra un romanzo e l’altro – ed è doppiamente preziosa, questa sua opera di convincimento, perché da una parte la sequenza cronologica dei testi raccolti nell’unica pubblicazione di poesia di Silvana Grasso, ME PUDET, costituisce una sorta di diario in poesia che accompagna da presso tutta la sua prosa, dall’altro la curatela di cui Gandolfo Cascio si è fatto promotore attivo lo ha disposto a fare uno studio filologico e critico dei testi in questione, e a indicarne tutte le proprietà. Gli va riconosciuto, questo grande lavoro, per la perizia, la profondità, la qualità analitica della lettura. Che descrive un arco di sviluppo in cui si affacciano almeno due grandi cambiamenti – da un lato quei temi civili a cui accennavo all’inizio, che improvvisamente forzano la mano a una datazione cui sempre Silvana Grasso poeta si era sottratta (come segnala il poemetto PUPO NIURU IN MARE, che affronta con grande immedesimazione, fino alla personificazione anche degli elementi come la luna e il mare, il tema dei migranti) e lasciano irrompere una devastazione realistica mai toccata da Silvana Grasso prima; dall’altro una chiara rimodulazione della versificazione che per tre quarti della raccolta è tutta intessuta su formule epigrammatiche e verticali in cui apprezziamo, oltre ai fili classici, una plastica forgiatura di neologismi, molti ricalcati su altrettanti sicilianismi (simile, ricordate?, alla VIRTÙ NEOLOGALE dilagante nella lingua usata da Marilina Giaquinta, poeta anche lei di provenienza siciliana). Nei poemetti finali essa si allunga e persiste in una versificazione che tende alla prosa, cioè dal verso al rigo, e disdegna forme come l’enjambement (cioè l’iterazione di senso nel verso successivo) semplicemente perché quasi pare uscita da una cornice poetica e approdata forzosamente alla dimensione della prosa, cioè alla vittoria obtorto collo della realtà sulla fantasia, della devastazione reale sull’immaginario dell’invenzione poetica e dell’immaginazione. È molto in una poesia in cui Silvana Grasso aveva mollato gli ormeggi e, per esempio, con grande naturalezza, proceduto all’eliminazione dei segni di interpunzione, come un James Joyce in gonnella e una Molly Bloom di fatto. È come se dall’abbandono alla poesia, da una posizione reclinata, ex abrupto l’allarme e le sue sirene l’avessero ridestata dal sogno e il poeta non potesse più continuare a esser fingitore che gabella ricercate menzogne, ellenistiche frasi di merletti barocchi, ma debba svegliarsi e sgranare gli occhi sul presente senza poterne ignorare il dramma, cioè il caos cinetico. Ci spostiamo lentamente così:

… SE NON DI MIA MADRE

Di null’altro ho memoria se non di mia madre.

Del suo viso di fiore bagnato

del suo odore di grano

di spiga matura che cerca riparo

al sole di un giugno impietoso

tra l’orgia dei cardi fioriti.

Cercava riparo mia madre

all’insulto d’un’infanzia violata

allo spreco d’amore e di sogno

allo sputo d’un figlio amato e nemico.

[…]

ROSSOGUERRA

Era rosso il tramonto d’autunno

sulle frasche del bruno nocciòlo

dal frutto spolpato

la terra già arsa stremata

accucciava la pioggia leggera

nella tana di vecchie radici amorose

in eterna rinascita e morte.

Era rosso l’aquilone ventoso del bimbo

che correva impazzito nell’aria furiosa di marzo

quel tenero uccello di carta

nelle piccole mani sudate di corsa.

[…]

… per approdare qui:

NOTTURNO QUOTIDIANO

Lampàra remota, con strofa di timida luce, implora la notte accidiosa,

implora la luna, errante la luna su vecchie trazzere del cielo.

Lampàra vicina, con tremulo remo, non incanta non seduce il Vulcano

che spiega la sua ciurma di fuoco.

Luci d’alba nel mare fecondo di

morti che lo scoglio trattiene ed impicca sulla costa che fu di poeti,

sulla costa che fu d’inventori, sulla costa che fu di nocchieri. Luci

nere, i fari degli occhi, sugli zigomi pallidi per la marea, sulla

pelle sbiancata da morte.

[…]

PUPO NIURU IN MARE

[…]

Presto presto prima d’ogni luce,

prima del Sole immacolata torni la sabbia e bianca del fagotto nero.

Bruciarlo forse si può ma il corpo, ùnchio d’acqua, non prende fiamma,

non arde in vampariglia come a Natale in Piazza i tronchi del

Vulcano.

Se corre fama del niuro clandestino mortannegato a riva,

saranno giorni di magra sulla spiaggia, senza signore villeggianti

senz’anellini d’oro né bracciali.

Ruglia il barbone col petto in

fiamme. Pesa il pupo nero, pesano le sue viscere, viscere nere piene di

sale gonfie di mare.

[…]

…eppure venivamo da qui:

IL CARRETTO

Poggia il carretto

su mozziconi

di tenera pietra

su scaglie di vetro

e gramigna.

Consuma lenti tramonti

impazienti

all’ultimo pasto di sole

divora l’olio del lume

gran fiamma

poi nulla.

Racconta al sentiero

del tempo

favole lunghe

alati destrieri

che spirano

fuoco ed incenso.


ARA

La zolla

del lieve recinto

la zappa

ha violato.

Neri covoni

di fumo

allegrano notti

violette.

Dioniso

bussa alla porta

sul cardine infiamma

il fiore

del cardo.

Giustamente nelle sue Note di poetica, alla voce METRICA, Gandolfo Cascio, curatore di ME PUDET (titolo nel quale Silvana Grasso, schermendosi, ammette di non aver mai pensato di dare visibilità pubblica ai propri versi considerandoli semmai un diario di bordo a proprio personale uso), ci fa notare che Silvana Grasso [già inclusa nella prefazione al volumetto tra gli essenzialisti (cioè, come Gadda o Bassani, o Levi e Volponi e Morante o Ortese…) quegli scrittori che ripetono in versi col vantaggio della stringatezza ciò che elaborano in prosa, e definita anche latitante perché appunto della poesia fa solo pratica privata] è autrice di una poesia “barbara di tipo pascoliano”, di impianto ritmico-prosodico, ed è così, come abbiamo visto: c’è un ritmo ma non una regolarità, c’è suono ma non ordine. C’è varietà nella formulazione, e variazione continua (unica ricorrenza la tecnica dello “scalino”, cioè della parola isolata che è messa in evidenza e in posizione-chiave da cui chiude il verso prima e apre il successivo) in una sorta di avvitamento che Cascio chiama “tòrtile”: Silvana Grasso “torce” il verso, lo piega, lo forgia come un manufatto – fin quando indulge in proibitive ripetizioni, non per difetto di enunciazione ma per perfetta adesione a se stessa come voce e medium della propria poesia.

Se cercate in libreria o in rete di Silvana Grasso, troverete i suoi romanzi e studi filologici.

Se cercate di Gandolfo Cascio, scoprirete una messe di contributi critici, un gettito continuo di opere critiche, oltre che di contributi sparsi su rivista, da cui emerge la finezza di questo studioso e ambasciatore della letteratura italiana in Olanda dove, non ci crederete, seri studi sono condotti su poeti e scrittori della tradizione classica e della tradizione recente. Tra questi i ‘quaderni di poesia’ curati per l’Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi con sede ad Amsterdam, per esempio: OLTRE LA MENZOGNA – saggi sulla poesia di Elsa Morante  (contributi, tra gli altri, di Gabriella Sica, Roberto Deidier, Giorgio Agamben, Elio Pecora, Giuliana Zagra e Raniero Speelman), o VENSTERS, antologia di poesia italiana contemporanea di sole donne (tra loro Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Rosita Copioli, Daniela Marcheschi e la stessa Silvana Grasso).

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