Chiamateci come volete, cellule staminali del romanzo o spermatozoi del libro, ma sappiate che tutto quello che si scrive, si pubblica, si legge, ha origine da noi, i libri non sono altro che adattamenti di ciò che noi siamo, non si inventa niente. Siamo esseri mollicci, apparentemente laidi, ma del romanzo abbiamo tutto, la storia, i protagonisti, l’incipit e il finale, tutto, ovviamente, fuori dal tempo e dallo spazio. Svolazziamo da sempre nel nostro limbo, raccontandoci e intrecciandoci tra di noi con passione, fantasia, un pizzico di gelosia, senza mai prenderci tanto sul serio.
L’attività più delicata per noi è la ricerca degli scrittori cui affidare la nostra storia, e quel po’ di polverina magica che tutti abbiamo in serbo. Per questo possiamo contare su complicati algoritmi che vengono continuamente aggiornati in base ai risultati ottenuti. E poi, c’è il nostro intuito. Algoritmi e intuito, però, non bastano a evitare del tutto il rischio di affidarci a scrittori improvvisati o paraculi, cialtroni, presuntuosi, anche perché la nostra attività è frenetica: se non finiamo presto sulla carta deperiamo rapidamente, le storie che custodiamo si sfilacciano, e alla fine, se vogliamo conservare la dignità, ci dobbiamo suicidare. Una volta fatta la nostra scelta, ci insinuiamo nelle volute cerebrali e nelle viscere dell’autore, che sceglie per noi un’ambientazione, dà un nome e un’immagine ai personaggi, si spinge nei dettagli più o meno utili. Insomma, noi fecondiamo le sconclusionate ispirazioni di quelli che amano scrivere.
Nei casi più fortunati riusciamo a diventare qualcosa di leggibile, altrimenti finiamo nel cestino.
Quando il libro è pronto, il nostro ruolo si esaurisce, è come se ci fossimo incarnati in qualcosa di concreto che vive di vita propria, e allora torniamo, un po’ frastornati, nel limbo della letteratura, preparandoci per un nuovo progetto di vita.
Questo è quello che succede di solito.
La mia storia, invece, ha subito una svolta drammatica dalla quale sto uscendo solo ora, o almeno lo spero.
Dopo un periodo di stanchezza, di apatia, mi sentivo di nuovo in forma, tonico, compiuto, brillante, e avevo deciso perciò di prendere il volo. Dopo una lunga e faticosa ricerca, molti dubbi e giri a vuoto, avevo trovato la mia scrittrice.
Margherita era una ragazza solitaria, complicata. La sua gioia per la vita era come la sua bellezza: selvaggia, primitiva, che emergeva poco a poco, solo se avevi modo di guardarla a lungo.
Divorava romanzi, racconti, poemi, ogni cosa scritta che suscitasse le sue emozioni. Viveva in questo mondo quasi autistico immagazzinando fiumi di parole e pensieri nel profondo e capiente serbatoio della sua anima, e ne distillava frammenti di storie, di scene, di personaggi. Annotava le sue schegge di poesia senza capo né coda su dei vecchi quadernetti neri, senza altro scopo che dare sfogo alla valanga di emozioni che premevano sul suo cuore. Questi pezzettini di sé erano geniali pennellate di colore, apparentemente disarticolate e scollegate ma, lette a gruppi di dieci o venti, offrivano immagini di grande fascino, come dipinti di Mirò, di Kandinskij, misteriosi, inspiegabili eppure così attraenti.
Io mi sono innamorato dei quadernetti di Margherita, e non ho potuto fare a meno di cacciarmi dentro di lei per farmi divorare, ruminare e infine rigurgitare in forma di romanzo.
All’inizio, Margherita non riusciva a mettermi a fuoco, e anche io dentro di lei barcollavo come un ubriaco. Poi, poco a poco, l’osmosi, io ho cominciato ad accogliere i suoi fuochi d’artificio, e lei a trattenere, se pur a fatica, le sue eteree divagazioni.
Per più di un anno, abbiamo riempito insieme una montagna di quadernetti neri, stracciato la maggior parte delle pagine dopo feroci litigi e deliziose rappacificazioni, ricomposto e corretto mille volte quello che era rimasto. La lettura finale ci ha fatto volare: avevamo messo al mondo un romanzo di irresistibile fascino, pieno di poesia, di ritmo, di sorprese, di sentimenti estremi.
Esattamente quello che avevo sempre cercato, e che Margherita non era mai riuscita neanche a sognare.
Il frutto della nostra lotta, del nostro amplesso, ha trovato facilmente un editore e un enorme numero di lettori.
A questo punto sarei dovuto tornare nel mio mondo, rigenerarmi con qualche innesto e cercare un nuovo autore. E’ così che funziona da noi.
E invece sono rimasto incollato a Margherita, incapace di muovere un passo senza di lei, possedendola ed essendone totalmente posseduto.
Purtroppo, Margherita si è convinta di essere una grande scrittrice e ha iniziato subito a scrivere il suo secondo romanzo. Niente più quadernetti neri, computer, il successo non poteva aspettare.
Un disastro.
Abbiamo sofferto anni dietro questo nuovo progetto, che ci vedeva amanti e nemici. Con me dentro, Margherita non poteva scrivere altro che la stessa storia; riusciva a cambiare solo luoghi, ambientazione e nome dei personaggi, ma era sempre la stessa roba.
La casa editrice, dopo aver ricevuto la quarta revisione dello stesso noioso pappone, ci ha abbandonato al nostro destino.
Margherita, la mia Margherita, ha perso tutto, soldi, autostima, creatività e gusto della vita. Disperata, ha ripreso in mano i quadernetti neri per provare a riattizzare il sacro fuoco con le sue schegge taglienti, ma da lei non usciva più niente che non si riferisse a me e niente che avesse il ruvido fascino di una volta.
Poco a poco, anche la mia passione si è affievolita. Alla fine sono riuscito a staccarmi da lei, per tornare, sconcertato e ferito, a vagabondare nel limbo, alla ricerca di una nuova vita.
Margherita, sempre più chiusa in sé stessa, sempre più sola, dopo aver tentato più volte di togliersi la vita è finita, in una clinica psichiatrica dalla quale uscirà difficilmente.
Quanto a me, ero così sfibrato che non valevo più molto. L’unica possibilità che mi rimaneva prima del gesto estremo era lavorare sodo su di me, e ripartire da qualcosa di semplice, un racconto breve, un libro per ragazzi, magari fecondando uno scrittore da strapazzo, anche se animato solo da una tardiva passione, per poi provare a riprendere il volo, e magari innamorarmi di nuovo.