Gabriella e Valentino

Poesie di Sica per Zeichen con Emily Dickinson sempre presente tra le voci poetiche femminili scelte da Daniela Matronola

TANDEM #4

GABRIELLA SICA

(con lei anche noialtre, tutte strette, ma non ristrette, nella MillyBand, girotondo attorno a Emily Dickinson)

Provo ad abbracciarvi uno per uno

nella grigia sotterranea nube

tre volte mi avvicino a voi

miei amati miei cari amici

larghe apro le braccia

nella fitta gravosa coltre di nebbia

stringo fumo e vento

fino a che mi sveglio

Ricordando il sogno e il vento

con le mani vuote al petto.

Non altri che me abbraccio

non altro rimane di quanto è stato

se non il radioso ordito di un sogno

affollato di volti fatti d’aria.

TU IO E MONTALE A CENA è il recente e dolente libro pubblicato da Gabriella Sica con InternoPoesia :

40 poesie per 40 giorni, più 2 prose più altre 2 poesie, raccolte sotto il titolo di uno dei testi in cui il momento conviviale è indice di un rovesciamento: l’amico che in genere è ospite la ospita per una volta. Il testo qui in apertura si trova qualche pagina dopo, ed è esemplare dopotutto della scrittura poetica della Sica: in questo sogno/incubo, la perdita personale assume una dimensione allargata nel gesto dell’abbraccio cui s’intreccia un motivo virgiliano, come Enea nell’Ade che prova più volte senza successo ad abbracciare il padre Anchise così l’io del testo deve arrendersi a stringere fumo e vento, nella visione di una folla di volti fatti d’aria – sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta: il grido, avvilito verrebbe spontaneo. Gabriella Sica invece nella seconda delle due prose in coda al libro, disarmata e ragionevole scrive:

Quello che una vita è stata. Solo la morte consente la piena espressione di una vita.

E una vita perviene  al suo compimento senza lo sguardo definitivo di chi l’ha vissuta.

Questa vita del “dopo” rivive nello sguardo di un amico che a tastoni raccoglie i segni

più  forti e ricorrenti, le tracce involontarie, i moti e gli affetti e prova a fare altra poesia,

nella continuità del vivente [pag. 80]

Il libro è tutto dedicato a Valentino Zeichen, il poeta fiumano che, come ci ricorda la Sica, ha lasciato il segno restando fedele al proprio cognome, venne a Roma bambino col padre, giardiniere del parco di Villa Borghese, e ha abitato sempre nella sua baracca al Flaminio per non allontanarsi mai dalla sua nuova patria familiare romana,

LA BARACCA

È una leggenda la baracca a Roma

sta in un vicolo cieco sulla Flaminia

all’ombra di una collina di pini

nel cielo celeste alti intagliati

più sotto macchie gonfie di lecci

e mimose come in un bel quadro

la specola resiste all’assedio al tanto

ha un’economia infinitesimale

nel centro della città eterna

è una misera fragile frontiera

al confine della magnificenza

intorno parcheggi mercati studi

al sole brillano le lamiere sui tetti

in un giardinetto da poco recintato

su una logora sedia di legno

siede pensoso sul da farsi il poeta

lì coltiva una coppia di piante

un fico e una vite americana

tre steli di lillà penduli in trionfo

lì c’è una catasta di legna secca

che pare un’installazione

quando fa freddo e ha un’idea

spezza un tronchetto

lo infiamma nella fornace di Vulcano.

Sta nella sua officina il fabbro romano

crea e vende manufatti originali

di una lingua povera elementare

minima e assoluta poco melodiosa

dove il fulmine è radice e fine

inesorabile e sferzante fa nido

a un emblema a un segno.

Privo di tutto laconico operoso

fino all’ultimo respiro

non sta dove si può vivere una casa

vera lui non la vuole

quel poco cura solo il poco

esule come si sente con i suoi morti

ascolta qualche tortora che canta

mette un po’ di briciole sul davanzale

ravviva l’ingegno e il fuoco

prova qualche pianta a travasare

ma sono travasi di parole e versi

fa come suo padre il giardiniere

con gli altri suoi semi

tiene su le quattro ossa e la fornace

scolpisce un’opera concettuale

icastica della Casa del poeta

incarnata a Roma di tutta la vita.

Potrei dilungarmi e farvi notare la miriade di gemme che pippiano in questa poesia: i cieli celesti di Claudio Damiani, il forgiatore di parole e versi che richiama l’omaggio di T S Eliot a Ezra Pound detto ‘miglior fabbro’ dal poeta angloamericano, l’allusione al lato whitmaniano di Valentino Zeichen che consiste nella formazione elementare – preferisco fermarmi qui nell’analisi del testo per riportare altri versi tutti dedicati a dare conto della qualità graffiante della poesia dell’amico Zeichen:

VALENTINO AL VETRIOLO

più che a Gozzano

dopo la Scuola di Francorforte

(come burbero scriveva il Paglia

pensando al minimale

per valentinozeichen caro)

io ti somiglio al caustico Cardarelli

non so se più in dissidio con sé stesso

o con l’altro di turno

e più al bastian contrario Bernhard

sempre e per partito preso

Valentino coriaceo al vetriolo

stai nella tua area di rigore

gelida area di esodo corrusco

di esilio da persone e cose

dove giocando in contropiede

strappi reticenze e predace pezzetti

d’anima ai poeti

impertinente pensando al massimale

e come un guanto lo rovesci

in punta di fioretto

nel tuo veemente duello mentale.

Un omaggio clamoroso al caro amico in cui è nominato l’altro vertice della loro amicizia poetica e triangolare, priva di languori stendhaliani: il Paglia (Pagliarani), prefatore di  Area di rigore, raccolta d’esordio di Zeichen nel 1974. Però voglio anche mantenere la promessa fatta nello scorso contributo su Emily Dickinson e Amelia Rosselli: fornire il testo intero di J601 e la sua traduzione firmata da Gabriella Sica:

A still – Volcano – Life –
That flickered in the night –
When it was dark enough to do
Without erasing sight –

A quiet – Earthquake Style –
Too subtle to suspect
By natures this side Naples –
The North cannot detect

The Solemn – Torrid – Symbol –
The lips that never lie –
Whose hissing Corals part – and shut –
And Cities – ooze away –

________________________________

Un’immobile – Vulcano – Vita

Che baluginava nella notte –

Quando era abbastanza scuro

Perché la visione non fosse offuscata –

Una quiete – Stile Terremoto –

Troppo in braci perché la possa vedere

Chi sta  questa distanza da Napoli –

Il Nord non sa comprendere

Il Solenne – Torrido – Simbolo –

Le labbra che mai mentono –

Coralli sibilanti che si aprono – e si chiudono –

E Città – che nel fango spariscono –

Si tratta di una delle 56 poesie ritradotte da Gabriella Sica per una preziosissima rivisitazione della nostra cara Emily Dickinson raccolta in EMILY E LE ALTRE – L’Anima sceglie i suoi Compagni, libro edito da Banda Larga, marchio editoriale Cooper (Roma, settembre 2010). LE ALTRE del titolo, cioè le altre componenti della MillyBand, la brigata di sodali dickinsoniane (non tanto o solo tra loro quanto soprattutto verso lei, verso Emily, cioè ‘zia’ Milly) sono le sorelle Bronte (di cui la Dickinson era devota lettrice), Elizabeth Barrett Browning (poeta potente di cui Emily era pazza), Margherita Guidacci (di cui si è detto in TANDEM #2), Elizabeth Bishop («reticente, ellittica, obliqua», perciò quale miglior Maestra di ED, che in J1129 dice: «Tell all the truth but tell it slant / Di’ tutta la verità ma dilla obliqua»?), Cristina Campo (nata Vittoria Guerrini, discontinua e folgorante nell’avventura di traduttrice di ED e di poeta, morta più o meno alla stessa età della poeta di Amherst, Massa.)), Nadia Campana (Nadiella all’anagrafe come si legge nella tesi discussa a Bologna nel ’77, suicida a soli 30 anni), Amelia Rosselli (di cui si è detto in Tandem #3, e perfettamente in sintonia con lo Stile-Terremoto della poesia qui sopra riportata), Sylvia Plath (che proprio Amelia Rosselli, riporta la Sica, ha legato a ED in un nodo di virile femminilità, dopo aver trovato una felice corrispondenza per il termine dickinsoniano illocality in italiano: illocazione per intendere la sparpagliata dislocazione di tutte costoro, noi comprese, nello spazio-tempo che galleggia e ruota attorno a ED).

Un libro importante, questo EMILY E LE ALTRE, su cui con Gabriella Sica si è conversato a suo tempo in un’intervista in cui si fece riferimento aperto alle api operose che alla Dickinson molto piacevano e alla sua poesia sororale. Appartiene a quel suo filone di amicizia poetica che spesso la lega agli altri poeti e poi frutta esperienze letterarie epocali – come fu per la rivista Prato Pagano che Gabriella Sica ideò e realizzò tra la fine degli anni Settanta e il decennio Ottanta proprio allo scopo di individuare quella terra di confine editoriale rispetto al mainstream in cui i nuovi poeti, giovani e tutti importanti (oggi sono LA POESIA italiana contemporanea) potessero pubblicare liberamente: in un filmato di RAI Cultura presente in rete la Sica racconta come è andata. E ora su Rai Play è disponibile una serie di sei video girati col regista Gianni Barcelloni intitolata POETI DEL ’900 (Ungaretti, Montale, Saba, Caproni, Penna, Pasolini): una riproposizione che dimostra, come dice la stessa Gabriella,  il valore della poesia in momenti di difficoltà, come questo per noi: «La poesia nei tempi di crisi rivela una forza insospettabile e (riconquista) anche una necessità che s’impone da sola».

Chiudo con un breve ultimo estratto da TU IO E MONTALE A CENA, non prima d’aver ricordato un personal essay che Gabriella Sica ha pubblicato con Cooper nel 2015, CARA EUROPA CHE CI GUARDI 1915-2015, in cui un motivo sociopolitico come l’Unione Europea e la comunità dei cittadini del vecchio continente trova continue corrispondenze e motivi d’intreccio con la storia familiare e personale in eventi familiari e storici, e questo dà modo all’autrice di mettere a fuoco i temi a lei più cari sempre – l’amicizia di cui abbiamo detto, l’aggregazione degli amici attorno al desco e al poetare, la scrittura come strumento di comunanza e incontro.

SAGGETTO IN VERSI

Scriveva poesie nitide e precise

come i compiti a casa

con la calligrafia chiara

garbata da studente elementare

che sa la lingua della madre

[…]

Venivano dall’est i due poeti

salvi dagl’infami artigli della storia

celati nell’ortica

tra pubblicità e collages affilati

il tono scherzoso e familiare

salvi nei versi e nei paradossi

sapienti nella lingua del trauma

fedeli alla poesia di sbieco

inclini all’intelligente stupore

all’aforisma elusivo sradicante

al finale secco fulminante.

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