Che purtroppo la vita è abbastanza schifa in questi giorni, però ci sono stati momenti che mi hanno fatto dire cavolo, la vita è meravigliosa.
Mio nonno che mi trascina seduta sulle potature di ulivi che formano una specie di slitta, oppure quando mi spinge sull’altalena nell’orto e canta:
“Quand’era piccolina, la piccola Bianchina, in cambio di un inchino, prendeva mille lire, allora se ne andava, di corsa su al barretto, e se lo comprava un grossissimo cornetto.”
Mia nonna che prepara il budino al cioccolato tutti i giorni, solo per farmi mangiare la crosta che è la mia preferita, e alle due di notte io ho il morbillo e lei guarda i film in bianco e nero con me, e mi mette il borotalco, e mi legge per la ventesima volta il libro di Biancaneve.
In macchina con gli zii, direzione mare, e cantiamo tutti insieme Ma che musica maestro, e mio zio ci dice che per far andare la macchina in salita dobbiamo aiutare pure noi, pompare con le braccia, come se fossero ali, cantando “oh oh oh oh oh oh oh oh… ma che musica, che musica, che musica maestro, ho trovato la via giusta, per la felicità.”
La mattina su viale Garibaldi quando parcheggio sulla circonvallazione, guardo il castello e la valle della Fiora, e penso che Montalto è proprio bello, e si sente l’odore del verde e vedo la libreria e realizzo che sono passati quattro anni e ancora esiste.
Francesco che prima di addormentarsi mi dice “mamma ti amo” e mio marito che la mattina al posto della camicia si mette una t-shirt e mi sembra fighissimo, e mi prepara pure il caffè.
Quando mi accorgo che le esperienze che finiscono male sono come un setaccio, il brutto passa e quello che resta è prezioso.
Il momento in cui qualcosa (una parola, un film, una canzone o un vestito) mi fa pensare a una mia amica e sorrido, e se mi manca perché non la vedo da tanto sento come qualcosa sciogliersi tiepido.
I pranzi con gli amici, gli abbracci improvvisi (soprattutto le espressioni di affetto spontanee dei bambini), i primi mandarini, i libri che mi fanno restare sveglia, quando in un giorno freddo qualcuno mi invita a mangiare il brodo con i tortellini.
Che ancora mi diverto a giocare, e mi invento tante storie e quando accompagno a scuola Francesco dobbiamo camminare sul ciglio del marciapiede perché sotto c’è la lava e abbiamo solo 5 secondi per attraversare evitando i coccodrilli.
E quel bambino armeno di 11 anni che l’anno scorso voleva un libro ma non aveva i soldi, parlava male l’italiano ma voleva leggere un giallo di Agata Christie e una biografia di Einstein, e uno glielo abbiamo regalato noi e l’altro una cliente che era qui in libreria, e lo stesso bambino l’ho ritrovato il mese scorso al doposcuola pomeridiano e mi ha spiegato (lui a me) il teorema di Euclide, che di fatto non l’avevo mai capito bene.
Il sapore del gelato, del pane e pomodoro, e della pelle salata dopo un bagno, sapori che si confondono tra loro creando uno stato d’animo preciso, assolato.
Tutti i baci.
La voce di Bob Marley quando inizia Redemption song, quella di mio nonno Bista che cantava mentre mi spingeva l’altalena e mio babbo che mi raccontava l’Odissea.
E gli odori, l’odore del mosto e dell’olio nuovo, dei pomodori, della pizza con la cipolla, del pavimento della palestra, della sala giochi, dell’armadio di casa di Marina, del pullman per andare a scuola a Tarquinia e della varechina quando entravi in classe, il muschio umido nella macchia, il pelo di Magoo, la cera per i mobili e la segatura nel laboratorio dove restaurava il babbo, il sugo della nonna Urania e la cera di cupra della nonna Tecla, gli odori della cucina di mia mamma, sopratutto quelli di quando faceva un dolce così, senza una ricorrenza precisa, e io ero felice.