Piccoli deliziosi siparietti sulla quotidianità. Si ride, si sorride, si medita, ci si indigna, ci si commuove in questo ultimo libro di Marco Presta (Fate come se non ci fossi, Einaudi 2019). Ad ogni pagina un tasto della nostra sensibilità viene premuto e ci sentiamo vicini all’autore, anzi ci sembra di guardare proprio con i suoi occhi alle stranezze, ai paradossi, alle piccole e tragicomiche imprese della nostra vita. Il registro è quello dell’umorismo, un umorismo fine, profondo, sagace, a volte amaro, a volte esilarante, un umorismo che irrompe nelle righe come un raggio di luce improvviso e che regala allo spirito perle di indulgente distacco, che ci riappacificano col mondo. Chi conosce (e sono in tanti) il Presta autore e conduttore radiofonico del Ruggito del coniglio di Radio2 Rai, non resterà di certo stupito di queste pagine. La prontezza e la precisione delle sue battute improvvisate al microfono non può che arricchirsi e trovare maggior compimento nella pagina scritta. Ciò che invece colpisce (non dico stupisce perché già nelle battute radiofoniche ne sentiamo la presenza) sono lo spessore umano e la tensione morale di questi “siparietti”, dove la battuta fulminante, il paradosso, l’arguzia non sono che la punta di un iceberg. Sotto la superficie traspare la vastità dell’esperienza vissuta con i suoi dubbi, le sue inquietudini, i suoi compromessi e le sue ribellioni. Bello in proposito l’episodio in cui il protagonista, senza voler fare l’eroe ma con “la paura di apparire servile nei confronti del potere” e con la debolezza di passare “dall’acquiescenza all’aggressività belluina”, manda a quel paese il suo direttore, prendendosi una piccola ma sacrosanta soddisfazione. Mi piace immaginare, dietro a quella ribellione, il tifo ed il plauso di tutta quell’Italia laboriosa ed onesta, costretta giornalmente a sottomettersi all’arroganza, alla stupidità e all’incompetenza del capetto di turno. Mi piace anche immaginare l’impennata di dignità e di onestà intellettuale che ha ispirato quell’atto e che lo ha preservato da ogni successivo vero pentimento. Belle anche le riflessioni sulla mondanità di chi, avendo radici in generazioni di umili lavoratori ed essendo avvezzo a vedere le cose in profondità, guarda con imbarazzo e senso di inadeguatezza alla futile disinvoltura dei mediocri che gareggiano per brillare in società. “Sono qui per deludervi” è il suo motto, al quale risponde consolatorio l’amico: “Qui non è possibile non essere all’altezza perché non esiste un’altezza …” Le convenzioni sociali, con le loro ipocrisie e l’ossessione del politically correct vengono prese di mira nell’uso del linguaggio: “Diversamente abile una fava! Io sono un handicappato” afferma con spietata chiarezza Stefano, che ha perso l’uso delle gambe in un incidente e che preferisce una franca discriminazione verbale ad un falso abbellimento linguistico. Esilaranti sono anche le invettive contro le mode come nell’episodio in cui il protagonista, accompagnato dalla moglie “come un detenuto dal secondino”, è costretto ad acquistare un paio di pantaloni, che mostrano i calzini in tutta la loro “accecante meschinità” quando dovrebbero nasconderli “come una relazione extraconiugale”, oppure nell’episodio dello chef (nessuno ha più il “coraggio di chiamarlo cuoco”) che pontifica su tutto, dall’economia alla politica internazionale, dalla letteratura alla fisica sperimentale, oppure ancora nella storia del serial killer di giallisti di successo che l’autore immagina di scrivere per cavalcare un genere letterario vincente. Vengono messi alla berlina anche i pubblicitari che dichiarano di “condividere i valori” dei programmi radiofonici nei quali inseriscono i loro spot (“Sì, anch’io credo profondamente nell’isolamento termico …”, dice ironicamente il protagonista al rappresentante di un’azienda d’infissi in alluminio), gli scrittori di romanzi erotici e horror, i fanatici delle diete vegane (fruttariani, melariani), i critici letterari e teatrali che osannano la crudeltà nei testi, i padroni di cani grossi e feroci, e così via. Ma più di tutto l’autore mette alla berlina se stesso con i propri dubbi, le proprie inadeguatezze, le proprie intemperanze, le proprie apprensioni, come nell’episodio in cui acquista un lampadario difettoso o quello già citato in cui manda a quel paese il suo direttore o quello ancora in cui suo figlio esce per la prima volta da solo alla guida di un automobile. L’autore volge uno sguardo critico anche al proprio moralismo (“ho il senso di giustizia di uno scolaro delle elementari, che divide in maniera grossolana gli uomini in buoni e cattivi”), eppure sente di non potervi rinunciare di fronte al dilagare di modelli negativi, che vengono legittimati anche nei serial televisivi dove gli eroi non sono più coloro che difendono la legge ma i malfattori che “hanno grandi problemi personali”. Ai figli che difendono questi nuovi eroi lui risponde: – Sono dei ladri e a chi tifa per loro, beh, non presterei l’automobile … – Una tensione etica forte, genuina, priva di sfumature, che ricorda gli slanci ideali dell’adolescenza più che i precetti morali dell’infanzia, ci viene trasmessa ad ogni pagina del libro e raggiunge toni profondamente umani nelle pagine dedicate ai figli come in quella in cui viene citato Kipling in una versione aggiornata e teneramente ironica del suo If. Tenerezza e premura, circondate da un’aura di malinconia, emergono dalle pagine dedicate agli affetti familiari. Particolarmente toccanti sono quelle in cui l’autore si concede il “privilegio inebriante” di far conoscere ai propri figli le “cose belle che ancora non conoscono”, oppure quelle in cui, durante una cena di famiglia, pensa ad una foto, che tiene nel proprio studio, in cui le persone care che lo circondano sono ritratte in una cena di Natale di quarant’anni prima. Momenti di tenerezza e di malinconia questi che si affiancano a quelli di pungente ironia e di scoppiettante arguzia per condensarsi in meditazioni sulla vita, sulla morte e sull’umorismo, che è lo strumento che abbiamo per tollerarle entrambe: “La risata è una meravigliosa forma di illusione, ma è quello che ti fa sorridere a permetterti di andare avanti, nonostante tutto”.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.