La passione arriva dal balcone

In casa si fa spesso la lotta con formiche, bacarozzi, zanzare, vespe, gechi. Ma uno di questi animalacci può riservare sorprese in campo affettivo

Lo avevo chiamato Jack, viveva sul mio balcone da almeno tre mesi ed era un grosso geco che ritenni subito essere maschio, pur senza avere elementi per dirlo con certezza.
Viveva rintanato nel box della caldaia di giorno e usciva di notte lasciando vistose tracce del suo passaggio che ritrovavo con orrore sulla balaustra di travertino e a volte sul pavimento. Ne avevo trovate anche attaccate al muro e mi ero stupita di questo eccezionale fenomeno che sfidava le leggi gravitazionali.
Mi incuriosiva Jack, inspiegabilmente, nonostante la mia avversione per rettili, insetti e per qualsiasi essere vivente che non avesse fattezze umane.
Avevo fatto appositamente montare le zanzariere a tutte le finestre per evitare spiacevoli, quanto per me terrifiche, incursioni di animali di qualsiasi genere.
Lo immaginavo come un boss, il capo dei gechi, che di notte usciva e andava a sedurre e fecondare le geche del quartiere. Un maschio alpha, un geco da riproduzione.
Il nostro primo incontro avvenne una sera in cui ero uscita in balcone ad annaffiare le piante e la sua grigia testa bitorzoluta aveva fatto capolino da dietro un sottovaso. Gettai l’annaffiatoio con un grido che dovette spaventarlo, sparì dietro i vasi e io mi rintanai in casa.
Smisi di innaffiare le piante di sera e iniziai a farlo la mattina.
Passarono dei giorni senza che lo incontrassi.
Iniziai però a documentarmi in Internet su quale fosse un modo per eliminare i gechi, se esistessero trappole e esche. Ma non trovai niente.
Chiesi anche consiglio ad un giardiniere venuto a montare l’impianto di irrigazione.
“Signora i gechi portano fortuna e soldi” mi disse sorridendo e se ne andò lasciandomi in omaggio due grosse confezioni di fertilizzante per piante in vaso dall’evocativo nome “Vigor”.
Ne versai un po’ nei vasi seguendo meticolosamente le istruzioni. Le mie piante sarebbero cresciute non solo a velocità doppia ma tre volte più vigorose.
La seconda volta che lo vidi ero in balcone a stendere i panni. Mi guardavo intorno circospetta temendo assalti di grilli o falene. Lui era lì, perfettamente attaccato alla parete. La lampada del balcone sotto di lui ne proiettava la sagoma tre volte più grande sul soffitto. Rimasi per qualche istante a contemplare l’ombra gigante di quel lontano discendente dei dinosauri.
Quella sera mentre cenavo pensai che Jack fosse cresciuto, mi era sembrato molto ben pasciuto. Forse mangiava molte zanzare. O forse mi aveva ingannato la sua ombra.
La terza volta che lo incontrai fu quella che mi indusse a prendere decisioni drastiche.
Il sabato mattina era giorno di pulizie, da quando Olga era tornata nel suo paese mi dedicavo io a pulire la casa, attività che ben si sposava con la mia meticolosità.
Ritirai le lenzuola pulite dallo stendino e le appoggiai sul letto quando vidi emergere tra le pieghe della stoffa la testa di Jack che mi parve straordinariamente grande. Si guardò intorno, poi strisciando disinvoltamente tra le lenzuola si spostò sulla parete e da lì sul davanzale e poi scomparve in una grossa fessura tra l’inferriata e il muro.
L’indomani chiamai un muratore e gli feci riempire di intonaco tutte le fessure intorno alle finestre.
Poi mi trasferii per qualche settimana da mia sorella.
Nelle vacanze non ci pensai più anche se la notte di ferragosto forse per la cena troppo abbondante feci un sogno: Jack avvolto nelle lenzuola del mio letto che mi guardava ammiccante strizzando i suoi occhietti. Lo raccontai a mia sorella. Rise e disse che era ora che mi trovassi un uomo.
L’estate passò, le mie piante ben annaffiate resistettero al caldo e crebbero in modo straordinario, “Vigor” aveva funzionato. Jack non lo avevo più visto, doveva essere arrivato qualche gatto nei paraggi. Lo pensai anche perché iniziai a trovare la terra delle fioriere smossa o sparsa sul pavimento e persino qualche vaso rovesciato.
Cominciai così a documentarmi sui metodi per allontanare i gatti.

***

Era il 16 di settembre e mi svegliai con una sensazione di insolita leggerezza.
Guardai l’orologio sul comodino: le undici! Mi stupii. Non dormivo mai così tanto. Avevo addosso un bel senso di rilassatezza. Erano mesi che non riposavo così bene.
Le mie spalle e il mio collo in genere così rigidi erano morbidi e abbandonati sul cuscino, le gambe leggere e avvertivo una strana e diffusa sensazione di piacere.
Feci un respiro profondo, sorrisi, che bella dormita!
Mi voltai verso il lato del letto matrimoniale vuoto ormai da tempo, vidi che le lenzuola erano stropicciate, il cuscino non c’era, il copriletto che piegavo sempre meticolosamente era semiaccartocciato sulla sponda ai piedi del letto.
Mi sollevai a sedere e sobbalzai nel vedere sul pavimento il cuscino, i miei vestiti appallottolati, le mie scarpe buttate in un angolo, la mia biancheria intima sopra al mucchio di vestiti.
Mi guardai: ero nuda! Non ricordavo nulla. Una sensazione di stordimento mi prese alla testa. Ebbi una vertigine e per un attimo vidi la stanza girare tutto intorno a me. Mi ero ubriacata? Avevo portato un uomo in casa?
Ricordai di essere uscita con Lucia, e di avere bevuto un po’ troppo tanto che lei aveva insistito per accompagnarmi fino alla porta di casa. Avevo le gambe molli e ridevo tanto che ad un certo punto le avevo detto che stavo per farmi la pipì addosso. Appena rincasata ero corsa in bagno ed avevo trovato la finestrella aperta, me ne ero accorta perché una folata di vento improvvisa aveva sollevato la tenda. Ero stata una sciocca a non chiuderla, la zanzariera si era rotta e da quella finestra potevano entrare chissà quanti schifosi insetti, zanzare e gechi. Già… gechi.
Mi sforzai di ricordare qualche altro particolare, guardai in giro per la stanza in cerca di un indizio che rivelasse l’accaduto. Ma niente.
Poi mi alzai e mi guardai riflessa nello specchio: avevo i capelli sconvolti ma una bella faccia, la pelle e gli occhi luminosi. Mi stupii del mio aspetto. Percorsi il mio corpo con lo sguardo e notai che avevo dei segni rossi sul collo e sulle cosce e anche sulla pancia intorno all’ombelico.
Li osservai da vicino spaventata, erano escoriazioni superficiali che rivelavano l’impronta di quelli che sembravano sottili denti aguzzi. Denti? Sussultai. Sì… denti.
E poi qua e là gruppi di macchie tonde, come dei piccoli ematomi curiosamente disposti a semicerchio.
Ebbi un forte giramento di testa e mi dovetti sedere sul letto. Mi toccai la faccia: ero sveglia? Ero io?
Poi vidi tutto nero per un istante e un miliardo di stelline turbinare nell’aria, e fu allora che mi ricordai.
Mi vidi seduta sul letto e davanti a me, alto quasi fino alla mia fronte, Jack ritto sulle zampe posteriori la pancia rivolta verso di me e le zampe anteriori allargate con tutte le loro meravigliose ventose aperte.
Ed era un geco maschio. Non c’erano dubbi.
Vedevo la sua coda che si muoveva ritmicamente strisciando sul pavimento a destra e a sinistra, sentivo il suo fiato sul mio volto, e il suo odore, misto di erba e di terra. Ed era un buon odore.
Sentii avvicinarsi vibranti le sue ventose così vive che già percepivo il loro tocco. Il mio corpo sembrò liquefarsi e caddi all’indietro in un istante di pura estasi.

***

Era una domenica di fine ottobre, mi alzai con calma, fuori il sole ancora caldo annunciava una splendida estate di San Martino.
Misi su la moka, aprii le tapparelle della cucina, e guardai fuori. Nessun vaso rovesciato sul balcone, niente terra sparsa sul pavimento, nessuna traccia organica che turbasse un ordine quasi perfetto. Sospirai. Le ottobrate romane erano un momento magico, mi dispiaceva trascorrerlo da sola.
Poi guardai giù verso il giardino condominiale: il casotto degli attrezzi in disuso era un posto sicuro per il letargo invernale. Avrei aspettato la primavera.

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