Il famoso regista cercava bambini per girare il film I bambini ci guardano. Nel casting i bambini si avvicendavano accompagnati dai genitori, avevano età fra i pochi mesi e i sei anni. I genitori li avevano preparati a dovere, lavati e pettinati ben vestiti e per le bambine anche messa in piega. Li mostravano al regista con sguardi umili e supplichevoli, sfilandogli davanti affinché fossero esaminati. Lui li avvicinava a sé, li palpava per comprendere la loro espressività, dava loro qualche buffetto, poi infilava la mano destra nella parte superiore della bocca e quella sinistra nella parte inferiore, facendogli spalancare la bocca e là dentro guardava, quindi gli faceva pronunciare qualche frase e li invitava a posizionarsi o alla sua destra o alla sua sinistra.
Tutti i genitori non sapevano se li avesse collocati dalla parte dell’accettazione o del rifiuto e si guardavano reciprocamente in modo interrogativo. La famiglia G presentava questo bel bambolottone di otto mesi, il regista l’aveva esaminato ma essi non avevano capito se fosse stato promosso. Aspettarono ore per il responso, il bimbo pianse tutto il giorno e proprio per questo fu scelto. Doveva recitare la parte del piangolone. Dopo di lui il regista ne scelse un’altra decina, tutti più grandicelli. La trama del film era tutta tristezza e miseria. La famiglia G firmò entusiasta il contratto, si sentì baciata dalla fortuna una volta tanto nella vita e si strinse al petto il piccolo G.
Le riprese iniziarono di lì a breve. Il primo giorno il piccolo G fu tenuto a digiuno per l’intera giornata, così piangendo dalla fame, si calò naturalmente nella parte, un attore naturale di eccezione. La sera i genitori chiesero se avessero dovuto tenerlo a digiuno anche il giorno dopo, ma il regista rispose di no, altri sistemi di induzione alla recitazione sarebbero stati adottati.
I tre si ripresentarono sul set la mattina dopo, il regista si avvicinò a loro dicendogli che il bambino doveva piangere sulle 10,45, raccomandò puntualità e passò a dare le consegne ad altri.
Il piccolo G ronfava come mai aveva ronfato in vita sua e l’ora del pianto era vicina. I genitori contrariati e preoccupati lo scuotevano e lo chiamavano ma lui non dava udienza. Fattasi l’ora, il regista scese dalla macchina da presa con aria molto arrabbiata e si avvicinò al piccolo G dicendogli: aò, te pago mica pè dormì, sai cosa me costa una troupe? Lanciò uno sguardo feroce ai genitori. Diede un sonoro ceffone al piccolo e due fortissimi pizzicotti nella coscia. Il piccolo G iniziò a strillare e il regista corse alla macchina da presa. La scena era piuttosto lunga, il bimbo non pianse abbastanza, così il regista dovette ripetere molte volte l’operazione. Nei giorni a seguire, il copione del copione fu eseguito tante volte aggiungendo boati improvvisi che spaventavano i bambini e li facevano urlare di paura, così risultavano più naturali.
E venne anche il giorno della fine. La storia dei bambini abbandonati durante la guerra era terminata, i signori G riportarono a casa l’attore pieno di lividi e manate che la notte non dormiva più un minuto.
La famiglia G si recò poi dal regista col biglietto del conto delle ore, questi ne controllò la corrispondenza insieme alla segretaria e una volta accertato tutto, firmò e staccò l’agognato assegno. I signori G lo controllarono e lo riposero con cura nel portafoglio.
I signori G erano molto felici, il piccolo continuava a piangere, così il regista li invitò ad allontanarsi velocemente.
Quell’assegno gli risolveva molti problemi. Alcuni loro amici, vedendo che avevano cambiato vita, chiesero se avessero trovato un lavoro. Loro risposero: no, noi no, lui sì, fa l’attore.
(si infilarono in un grosso supermercato e sparirono. Qualcuno li vide alla sera pieni di sportine zeppe di roba)
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.