La pietra in fondo al mare

Il crollo del cimitero di un paesino obbliga una donna a ritornare su vicende vecchie di trent'anni.

Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. La ragazza afferra le chiavi di casa ed esce di corsa. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Le mani tremano e fa fatica a infilare le chiavi nel quadro. La macchina stenta a partire. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Al  semaforo l’automobile davanti si spegne, strombazzare di clacson. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto. Sua sorella la aspetta sulla soglia del palazzo. Non c’è bisogno di parole. Si abbracciano. Gli alberi intorno si muovono al vento come in un palpito che le pulsa in tutto il corpo. Si chiamava Flavio. L’incidente è avvenuto in un cantiere navale a Livorno. Nemmeno un’ora prima della telefonata di sua sorella, lei aveva avvertito un brivido che dalla base dello stomaco era arrivato fino alla punta delle orecchie. Era il 1991, era febbraio e Flavio era il suo fidanzato da sei anni. Non aveva mai provato e non avrebbe provato più un dolore così grande, poi, per mesi non ha provato nulla.

 

È di nuovo febbraio. È il 2021. La ragazza è diventata una donna. È sulla soglia del cimitero con un fiore giallo in mano. Ha deciso di compiere una piccola cerimonia commemorativa in solitudine. L’aria, a differenza di trent’anni prima, è ferma. Nel silenzio due o tre gabbiani passeggiano sul tetto dei loculi a picco sul mare. Una leggera vibrazione. Un battito d’ali. Gli uccelli si alzano in volo. Un boato e sotto di loro bare, urne e lapidi precipitano verso l’acqua. Uno spruzzo. Una nuvola di polvere. Di nuovo silenzio. Lei è impietrita, il fiore giallo nella sua mano si è piegato all’ingiù. Un uomo alto, magro, con sottili occhiali d’oro non riesce a staccare gli occhi dalle bare che galleggiano. Una donna con un cappotto verde ha la bocca spalancata, vicino a lei un’anziana le stringe il braccio con una mano mentre si copre il volto con l’altra. Sulla strada che costeggia la scogliera, il Parroco è al volante della sua Panda. Alla vista delle bare che galleggiano in mezzo al mare inchioda. Dietro di lui l’Ape del Verduraio non riesce a frenare. Scendono dai mezzi. Senza neppure fare caso ai danni, ai cavoli sparpagliati in terra e alle bottiglie che perdono liquido rosso, il Parroco e il Verduraio restano impalati uno di fianco all’altro. Il mare non ha un’increspatura, un velluto giallo-grigio in continuità con il cielo. Rompe il silenzio il borbottio dei diesel dei gozzi che escono dal porto, gli uomini a bordo si avvicinano alle bare, le legano e le trainano verso riva. In lontananza il suono di una sirena, poi il fragore dell’elicottero, l’arrivo della Guardia Costiera. Prima che il sole scompaia all’orizzonte, un serpente di nebbia gelida si avvicina lambendo tutta la costa. Le barche, la falesia crollata, i soccorsi, la donna con il fiore giallo, tutti sono avvolti da una coltre fittissima che si dilegua solo quando sopraggiunge il buio.

 

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