Luciano restava immobile, in piedi, davanti a lei.
Gli occhi erano due fessure feline elettrizzate, vibravano le pupille, vibrava ogni muscolo del corpo. Con le dita pinzava il tessuto dei pantaloncini, infilava le mani nelle tasche e subito le tirava fuori. La testa era un impercettibile pendolo, serrava le mascelle a ritmo irregolare, le narici si dilatavano. Non riusciva a distogliere gli occhi da lei.
Seduta nella sua carrozzina, le lunghe dita inanellate tenute in grembo, la Strega sorrideva maliziosa.
«Non parli?»
Le mani scivolarono sulle ruote, spingendole avanzò lenta e decisa. Il ragazzino arretrò di alcuni passi verso il largo ingresso del salotto.
«Perché non parli più?»
Le labbra di Luciano, sottili striscioline rosa nel viso sudato, si aprirono per richiudersi all’istante.
«Stavi giocando? Sei fradicio.»
«Correvo» rispose.
«Corri sempre tu.»
Nel sorriso e nella voce della Strega convivevano assieme lo scherno e l’affetto.
Luciano chiuse gli occhi mentre sussurrava qualcosa di incomprensibile.
«Cosa? Che hai detto?»
Lui lo ripeté con un filo di voce.
«Ah? Più forte!» esclamò la Strega avvicinandosi.
«Ti odio!»
Luciano scattò in avanti e la spinse lontano da lui. Le ruote raschiarono il parquet e la carrozzina andò a sbattere contro il basso tavolino di vetro. Continuò a spingerla via, il tavolino si spostò in diagonale, le cornici delle foto caddero sul pavimento.
«Io ti odio!» urlò.
La Strega cercò di allontanarlo, prendendo a pugni quelle spalle ormai sempre più larghe che tradivano l’uomo nascosto dietro il viso infantile.
«Mi hai mentito! Hai detto che non lo amavi per quello che ti ha fatto! Lui ti ha ridotto così! Hai detto! Hai detto che ami me!»
Gli occhi di Luciano erano laghi di lava, le lacrime sgorgavano incendiando la pelle e l’anima.
«Ma io ti ho visto! Ho visto cosa facevi mentre era nudo! Io l’ho visto! L’ho visto!»
La sedia sbatté contro il muro e le mani di Luciano veloci si chiusero sul collo della donna, le dita si fusero nella pelle bianca e liscia e cominciò a stringere con forza fino a far risaltare le vene. Lei prese a pugni le braccia che la schiacciavano contro la parete, strozzandola. Piangendo, annaspando in cerca d’aria, infilzò le unghie della mano sinistra nel braccio del ragazzino mentre con la destra sfregiava il volto abbronzato, sfigurato dalla rabbia più violenta. La Strega cercò di gridare senza riuscirci. Luciano lasciò il collo e saltò inorridito all’indietro, inciampando cadde a terra accartocciato su se stesso. Vedeva le gambe aperte della donna, scomposta, stravolta, e nel buio della veste tirata su, tra le fessure di tenebra del vestito azzurro a fiori, intravedeva le mutandine. Le lacrime fuggivano e l’odio lo incollava al suolo, le mani graffiavano il legno e le ferite pulsavano di dolore.
Veloci colpi secchi di tosse, la Strega tornò a respirare e due lacrime scesero sulle guance arrossate. I capelli biondi erano incollati sulla fronte sudata.
«Luciano, io-»
La frase si spezzò, il petto s’alzava e abbassava mentre lo sguardo vagava incerto tra i piedi del ragazzino. Prese il lembo del vestito e cominciò a coprirsi, ma le mani si bloccarono, il mento si abbassò ingoiato dal corpo. Solo il respiro, un rantolo nasale, vinse la barriera dei capelli che cadevano liberi coprendo il volto eclissato.
«Ho un cuore grande, io» disse con un filo di voce, stigma di un dolore che parlava a se stesso.
Il ragazzino tirò su col naso mentre strisciava il dorso della mano sulla bocca. Le lacrime asciutte avevano lasciato un tatuaggio visibile sul viso.
Vide le mani della donna muoversi scoprendo le cosce, sollevando il vestito fin sopra l’ombelico, mostrando i larghi fianchi nudi e la vita sottile. Il volto, resuscitato, era una fessura tra ciocche di capelli. Gli occhi avevano recuperato lo sguardo di ombra magnetico, piantandosi come aculei dentro quelli di Luciano.
«Ho un cuore grande» ripeté la Strega.
La voce era un serpente ammaliante che stordì il ragazzino piegando la sua volontà, infettandolo dall’interno. Attratto e terrorizzato, Luciano spostò lo sguardo verso le ginocchia e le gambe divaricate. Le mutandine viola mostravano una stampa al centro ma non riusciva a capire cosa fosse.
«Sei uomo tu?» domandò la Strega alzando il corto vestito al di sopra dei seni.
Luciano vide la loro pienezza rotonda sollevarsi e precipitare, tenuta appesa dalla pelle chiara. Ebbe l’impulso di allungarsi e toccarli, lì dove la chiazza dell’areola era più marcata. Sentiva un fuoco che divampava e strisciava nel basso ventre, privo del suo controllo premeva il tessuto degli slip, desiderando uscire.
Nel silenzio dei loro respiri, allungò le mani verso le ginocchia immobili. La pelle della donna non reagì al contatto. Le dita tastavano ogni poro muovendosi come formiche in esplorazione e la pupilla nera ingoiava ogni immagine.
Una in particolare si fissò nitida nella mente. La Strega, tolto il vestito, con gli occhi chiusi cominciò a sfiorarsi i seni, le dita premevano in successione i capezzoli. E le labbra si muovevano assieme al viso, sciogliendosi in una maschera di piacere. Luciano si sentì artefice di ciò che vedeva, inginocchiato, le mani sempre più vicine all’elastico delle mutandine. Le dita lo artigliarono e la stampa al centro si rivelò essere il muso stilizzato di una gatta con sopra una scritta bianca in stampatello che diceva “MIAO”. Il ragazzino osservò incuriosito il disegno ma le mani, ormai con vita propria, sfilavano via il tessuto di cotone colorato.
La Strega sollevò la gamba sinistra aiutandosi con la forza delle braccia, poggiandola sul bracciolo mentre col corpo scivolava in basso, aprendosi.
La mano della donna s’allungò verso il ragazzino, immobile, ipnotizzato dalla totale nudità.
Lei gli carezzò la testa lasciando che i capelli scorressero tra le dita, mentre premeva con dolcezza la nuca avvicinandolo a sé.
«Baciala» sussurrò.
Luciano guardò per un momento il viso accaldato di lei, segnato dalle lacrime e dal sudore. Guardò i seni e scese con la testa, accompagnato dalla stretta della donna che gli procurava un piacere mai provato.
Il naso affondò sul pube privo di peli; avvertiva la ruvidezza della ricrescita.
La lingua assaggiava senza capire il gusto, a tratti acido e pungente, che leccava via.
Lei si premeva il seno, mugolando. Il ragazzino vinse le piccole labbra e la lingua penetrò sempre più in profondità. Cominciò a muovere il bacino avanti e indietro, per istinto, mentre le mani s’aggrappavano alle cosce come un neonato, lasciando profondi solchi.
Tutto ciò di lei al di sotto delle anche era insensibile, ma per Luciano, ignaro di questo, ogni gemito nasceva solo grazie a lui, solo grazie a quella lingua che non serviva più per parlare, scoprendo ora il suo reale e ignorato utilizzo.
Prese coi denti le piccole labbra e cominciò a mordere succhiando, per poi abbandonarle e provare a esplorare ancora più a fondo, quasi volesse tornare dentro un luogo identico a quello che un tempo aveva abitato.
Aprì gli occhi, guardò in alto come un silenzioso pellegrino, vide la Strega avvolta in un’aura luminosa, i lunghi capelli sciolti sulle guance e gli occhi brillanti.
Lo guardava sorridendo.
«Il piccolo lupo ha perso i dentini di latte.»
Luciano non capì la frase, le orecchie rimbombavano di sangue, tutto il corpo rimbombava come un tamburo e il bacino sempre più affamato seguiva il ritmo. Arrivò a una nota innata, un picco invisibile di piacere che gli fece trattenere il respiro, svuotandolo in un brivido improvviso e riempiendolo di un liquido caldo.
Imbarazzato, avvicinò subito la mano al proprio ventre.
Si era fatto la pipì addosso, come un bambino.