Dopo l’ennesimo risveglio, Anna si alza dal letto, va in soggiorno e si abbandona sul divano. Lo sguardo cade sul ciondolo a forma di croce infilato in una catenina, che la sera prima ha ritrovato fra le pieghe dei cuscini. Accarezza con i polpastrelli l’argento satinato, poi lo stringe forte nel palmo fino a farsi male. Se lo mette al collo. Va a sedersi in cucina. Fissa il centrotavola pieno di frutta. Afferra un kiwi, se lo porta alle labbra che vengono solleticate dalla peluria. Lo annusa. Lo accoglie in bocca. La lingua scorre in un movimento ampio e lento contro la resistenza della buccia ruvida, che sfilaccia con i denti assaporandone l’amaro, poi incontra la superficie liscia del frutto. Le labbra lo avvolgono. Il morso è lento e profondo. Il sapore acidulo pizzica e la polpa riempie la bocca. Mastica. I semini soccombono sotto i denti impietosi. Gusta. Il succo s’infrange contro il palato. Ingoia. Chiude gli occhi.
— Non pensavo saresti venuto — si stupì Anna quando se l’era ritrovato sull’uscio di casa.
— Nemmeno io — ribatté lui stringendo fra le dita il ciondolo appeso al collo. — Sei sparita all’improvviso. Avevamo appena finito gli esami di maturità.
— Già!
— Sono passati…
— Otto anni.
— Perché?
— Dovevamo andar via subito e non potevo dare spiegazioni.
— Perché?
— Sono figlia di un magistrato, l’hai dimenticato?
Lui scosse la testa, sospirò:
— Stamattina, al bar, ho creduto fossi un’allucinazione. Non saresti dovuta tornare, — strinse più forte la piccola croce d’argento fra i polpastrelli. — Fra una settimana sarò davanti al vescovo che…
— Appunto, tu non saresti dovuto venire qui stasera.
Si guardarono senza muoversi. Un lungo silenzio. Lei poi indietreggiò. Lui avanzò. La porta fu chiusa. Al centro del soggiorno, a distanza di sicurezza, iniziarono a girare in tondo mantenendo teso il filo elettrico degli sguardi. Alle loro spalle, il divano in alcantara color carta da zucchero e la parete attrezzata bianca iniziarono a ruotare. Gli occhi neri di lui furono calamitati dalla seta bianca della camicetta scollata, che aderiva sulle rotondità piene e in modo evidente libere da costrizioni. Lei raggiunse il suo collo e lo annusò, gli assaggiò l’orecchio. Guancia contro guancia. La barba scura pungeva e solleticava. Le labbra semichiuse si sfiorarono, i respiri si mescolarono e iniziarono a crescere. Via un bottone dopo l’altro e le camicie volarono sul divano. I corpi seminudi si toccarono. I seni gonfi di Anna impazzirono al contatto con il petto muscoloso. Lui se ne accorse e la reazione fu immediata anche fra le sue gambe. Con una mano la strinse in vita, la tirò a sé, premendo forte tra le cosce e facendole sentire l’eccitazione incontenibile. Con l’altra mano fra i capelli, le piegò la testa all’ingiù, inspirò il suo odore, succhiò un capezzolo, poi percorse a filo di labbra la morbida superficie dei seni in tensione, fino all’incavo del collo, e dietro l’orecchio. Un gemito. Fra le cosce di lui crebbe il desiderio che spingeva contro il tessuto dei pantaloni. L’uomo recuperò ossigeno inarcando la schiena, e intanto liberò la donna dai suoi tentacoli, ma solo per farla inginocchiare. Lei si accovacciò piano, aggrappandosi alle natiche intrappolate nel cotone dei pantaloni, che sbottonò e abbassò insieme agli slip. Il membro trovò accoglienza nella bocca di Anna, che cominciò a dondolarsi sulle cosce piegate. Le mani ben salde alle gambe di lui, che pensava di dirigere il gioco afferrandola per i capelli, ma lei si divincolò e lo invitò a lasciarla fare. Gli riservò così un godimento distillato: dopo un primo affondo da togliere il fiato, si allontanò e solleticò i testicoli con i denti, li succhiò piano, poi fece scorrere la lingua ben distesa lungo il canale in evidenza fino al glande lucido, lo colpì con piccoli tocchi prima di avvolgerlo tra le labbra calde, che aderirono strette e morbide, e andarono giù e tornarono su rallentando sul rigonfiamento alla base della testa con la pelle sempre più tirata. Contatto perfetto. Si divertì e si eccitò mentre sentiva crescere il piacere di lui che esplose lento e lei lo assaporò tutto d’un sorso.
Anna riapre gli occhi. Manda giù anche l’ultimo succo dolce-aspro del frutto. È mattino ormai. Le campane della chiesa suonano il primo invito alla messa della domenica. Lei si stacca da quei pensieri, attraversa il soggiorno e si infila sotto la doccia. Quando gli ultimi rintocchi ricordano che è bene affrettarsi, è sulla porta. Percorre la strada del piccolo paese ascoltando l’eco dei propri passi, uno davanti all’altro. Spinge il portone cigolante della chiesa, un’ondata di fresco misto a profumo di incenso le va incontro. Immerge i polpastrelli nell’acqua santa e accenna un rapido segno della croce. Il canto d’ingresso è da poco terminato. Don Gigi, rivolto ai fedeli ancora in piedi:
— La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi — mentre allarga le braccia e fa brillare gli occhi neri sul viso contornato dalla barba scura ben curata.
— E con il tuo spirito — risponde ognuno dal proprio banco.
— Fratelli e sorelle, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati.
I fedeli, capo chino, restano in silenzio. Silenzio disturbato dal ticchettio delle scarpe di Anna, che avanza lateralmente e prende posto in prima fila. Un vestitino in chiffon color rosa cannella, aderente attorno ai seni e generoso lungo i fianchi. Don Gigi la vede accomodarsi tra le parrocchiane e stringe più forte le mani sul leggio.
— Confesso a Dio Onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato… — la voce di Anna si confonde con le altre, nella richiesta di un perdono di cui non sente la necessità.
Partecipa alla funzione religiosa ascoltando don Gigi, che si illumina di un Dio a lei sconosciuto. Le sue parole danzano durante la lettura del Vangelo e si fanno vicine e profonde quando si estendono in un’omelia toccante anche per l’ultimo dei non credenti. Anna osserva ogni movimento di lui, in perfetta armonia con l’abito talare che struscia contro le gambe mentre cammina avanti e indietro, tra un rito e l’altro. Lo vede emozionarsi quando prende la patena con il pane, e tenendola leggermente sollevata sull’altare, dice sottovoce: — Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo… — Fissa le morbide labbra che si aprono e si sfiorano mentre lo sguardo punta in alto. La chiesa è talmente piccola che le distanze si annullano e i corpi dei partecipanti sono così vicini all’altare che è impossibile non coglierne i dettagli. Come è impossibile non percepire, d’altra parte, l’amore con cui don Gigi celebra la messa per i suoi
fedeli e per le sue fedelissime.
— Padre Nostro che sei nei cieli… — invoca ora allargando le braccia, palmi rivolti verso l’alto e sguardo deviato in prima fila. Il viso impallidisce, la voce tentenna. Si asciuga il sudore sulla fronte con un fazzoletto. Lei lo aggancia con gli occhi e non lo molla. Si passa una mano tra i capelli, la fa scorrere piano sulla nuca, vicino l’orecchio, lungo il collo, sul ciondolo a forma di croce adagiato in mezzo ai seni che si sollevano a ogni respiro e tendono verso quelle mani rivolte all’Altissimo adesso con maggiore ostentazione. — … e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
Anna si accorge che non è l’unica incapace di staccargli gli occhi di dosso. Sospira, si avvicina all’orecchio della signora che le siede accanto, le sussurra: — Il fascino della divisa! — e le stringe un braccio. La signora si agita, tira il braccio a sé per staccarle la mano, distoglie immediatamente lo sguardo da don Gigi e lo rivolge ai chierichetti, poi si gira verso il coro e inizia a cantare anche lei con quanto più fiato ha in gola.
Anna continua a partecipare, paziente, alla funzione religiosa, alzandosi e sedendosi insieme a tutti i fedeli, fino al momento più atteso:
— Ecco l’Agnello di Dio. Ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello — pronuncia ad alta voce don Gigi mentre solleva l’ostia con le mani sudate.
— Oh Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato — concludono tutti insieme.
Uno a uno, poi, escono dal proprio banco e si dirigono verso il Corpo di Cristo. Anna si accoda. Le gambe tremano. La pelle inizia a traspirare rilasciando più forte il suo profumo. Lo sguardo fisso sulle mani intrecciate in grembo. Il cuore in tumulto. La bocca secca. Quando finalmente è davanti a lui, solleva il capo e incontra quegli occhi neri che la penetrano come quella volta.
— Quale migliore addio al celibato? — gli aveva sussurrato lei, sorridendo e baciandolo sulla bocca, la settimana prima dell’ordinazione al sacerdozio.
— Il Corpo di Cristo! — esclama lui lasciando cadere lo sguardo sul vestito aderente e terribilmente teso contro i seni ben in vista, che sollevano la piccola croce di argento satinato.
Poi incontra i suoi occhi, deglutisce, accenna un sorriso e le porge l’ostia.
— Amen — e Anna accoglie il Corpo di Cristo in bocca, schiudendo le labbra e sporcando di rossetto la mano di don Gigi.