Parliamo di “Credevo di essere felice. La matta voglia di vivere al massimo” con Daniela Cicchetta

Intervista all'autrice che ha scritto la biografia di un personaggio che sin da ragazzo è divenuto un volto noto, un attore e produttore capace di misurarsi con Fellini e Totò.

Che succede quando un uomo che ha avuto una vita davvero fuori dal comune incontra una narratrice? Qualche volta nasce un libro, una biografia scritta a quattro mani. Sto parlando di Credevo di essere felice. La matta voglia di vivere al massimo (Augh! edizioni 2024) di Fabrizio Capucci e Daniela Cicchetta. Lui, Capucci, è un personaggio che sin da ragazzo è divenuto un volto noto, un attore e produttore capace di misurarsi con Fellini e Totò, un uomo che nella pubblicità ha realizzato spot entrati nell’immaginario collettivo, è stato presidente della Viterbese, ha vissuto anche nel privato esperienze notevoli, a partire dal rapporto con il fratello Roberto, uno dei sarti e artisti italiani più famosi al mondo. Lei, Daniela Cicchetta, è un’autrice che ha ormai diversi libri all’attivo, tra romanzi e racconti. Ne viene fuori un affresco gustoso che è anche lo spunto per questa chiacchierata.

 

Daniela Cicchetta, come hai incontrato Fabrizio Capucci?

Ci siamo conosciuti undici anni fa, io organizzavo eventi e andai a vedere la sua splendida dimora sull’Appia Antica. Ci fu una collaborazione per qualche tempo, poi la vita mi ha trascinata in altri progetti più legati alle pagine scritte, ma la profonda amicizia con Fabrizio e tutta la sua famiglia ha continuato a nutrirsi di incontri e partecipazione alle rispettive vite.

 

E com’è nata l’idea di lavorare insieme a questo libro?

Fabrizio ha letto i miei libri precedenti, ogni volta che ne usciva uno ne parlavamo a lungo, esprimeva le sue considerazioni, sottolineando che avevano un taglio cinematografico. Ricordo ancora quando mi confidò che da anni gli chiedevano una biografia: “Ho sempre detto di no, ma con te mi sentirei a mio agio”. Onorata, cominciammo a vederci un paio di volte a settimana davanti una tazza di tè e così prese a raccontarmi degli aneddoti mentre lo ascoltavo estasiata. Hai presente come nel film Big Fish di Tim Burton, tratto dal libro di Daniel Wallace, quando il figlio William ascolta tutte le incredibili storie che Edward gli racconta? Ecco, io lo guardavo così, incredula. Stavo venendo a conoscenza del suo passato di attore e produttore cinematografico, delle esperienze con la Nouvelle Vague, dei rapporti con attori e registi di altissimo livello, del periodo dell’arte nel quale si era rapportato con Manzù, Guttuso, Maccari, De Chirico. E poi delle migliaia di pubblicità prodotte con i più grandi registi italiani e internazionali, come Fellini, Leone, Comencini, Sannia o Cherry; abbiamo passato giorni a rivedere gli spot, ognuno era geniale, fuori dal coro, tutti rimasti nell’immaginario collettivo: Barilla, Scottex, tonno Palmera, Findus, Ducato, Omnitel, Vodafone, Wind, Tim, H3G, sono migliaia. Ha inciso anche un 45 giri, con la musica di Ennio Morricone e il testo di Sergio Bardotti.

Per non parlare del Blue Cheque, punto di ritrovo del jet-set e delle nuove avanguardie negli anni ’70, che correva parallelo a un progetto di incentivo del consumo in rete, della sua esperienza amara come presidente della Viterbese, le partite con la Lazio di Roberto Mancini e la Roma di Fabio Capello.

La famiglia Capucci ha una sorta di genialità innata, anche gli avi sono stati promotori di nuovi venti ideologici e il fratello Roberto è il più importante couturier che l’Italia possa vantare, “lo scultore della seta” esposto in molti musei nel mondo.

 

Era la prima volta che lavoravi con la scrittura sulla vita reale di qualcuno?

Ci avevo lavorato anni fa per lo storytelling di una masseria in Sicilia grazie ai Golden Book Hotel, era stato molto interessante raccontare il percorso di tre generazioni, il libriccino era stato tradotto anche in inglese. Devo dire che da lì era rimasta la voglia di provare a scavare nella vita delle persone per comprendere come tutto sia collegato, di come ogni scelta che facciamo possa generare, in noi e nei nostri discendenti, gioie o conflitti. Ora va molto tra gli autori raccontare la vita di un personaggio noto romanzandola, ma sentivo che non era quella la strada da seguire. Quando Fabrizio mi propose di scrivere la sua biografia, percepii che mi avrebbe donato molto attraversare il secolo in sua reale compagnia, e così è stato. Nelle memorie ho ritrovato narrazioni di un’epoca che appartenevano anche a mio padre, è stato emozionante. Un’avventura che porterò dentro per sempre e che ha rafforzato il nostro rapporto amicale.

E poi io amo sperimentare con la scrittura, rischiare, lasciare la zona di comfort e mettermi alla prova, osare. Lo sai, Paolo, torno sempre da te a ogni dubbio, sei il mio mentore e maestro.

 

Sai che, in fondo, mi sembra d’imparare molto io da voi! Perlomeno è reciproco (come diceva qualcuno), per esempio, come hai fatto a rendere la sua voce d’autore nel vostro testo a quattro mani?

Sicuramente all’inizio non è stato semplice, quando si ricorda spesso si edulcora il passato. Un lungo lavoro di confidenza e fiducia reciproca: abbiamo cominciato con il buttare giù tutti gli aneddoti più significativi, alla rinfusa, poi, prima di iniziare a elaborare la biografia ho voluto leggere tutte le sue poesie. Già, di questo non si parla nel libro ma Fabrizio ha scritto delle poesie così intense che meriterebbero di venire alla luce. Tra quelle rime ho scoperto la sua anima, chi c’era veramente dietro l’uomo affermato e sicuro di sé. In realtà c’ero anche io, perché, come spesso ricordo nelle mie lezioni di Palestra Letteraria, abbiamo bisogno di dare un nome alle emozioni e scoprirle universali per riconoscerle. Dopo quell’immersione nelle paure recondite e domande esistenziali, abbiamo intrapreso il nostro viaggio da Fabrizio bambino: a quello si era ricongiunto ed era proprio la voce di cui avevo bisogno. Anche lo scritto segue un linguaggio che cresce con la sua età e con il periodo vissuto. Quante volte ci siamo commossi, ma anche quante risate! Forse insieme abbiamo imparato a non prenderci troppo sul serio.

 

Quanto pensi ci sia di tuo nel testo?

Probabilmente tutto quello in cui mi sono riconosciuta: la frenesia di fare con passione, l’assumermi la responsabilità di essere scomoda, l’attitudine di guardare il mondo sempre con occhi nuovi, il coraggio di cambiare, il dispiacere provato per degli allontanamenti forzati o voluti, il soffrire dell’opportunismo altrui. Questo ha guidato la mia mano nel dare voce alle emozioni di Fabrizio; ripassare la sua vita mi ha aiutata a ripercorrere la mia. Lui raccontava, io raccoglievo e poi condividevamo lo scritto scoprendo di essere molto simili, anche se le esperienze di vita erano state, ovviamente, completamente diverse.

“Non è facile esporsi, chi fa molto può essere giudicato, chi fa poco è sempre al riparo. Ho creduto in amori che hanno tentato di cambiarmi, in amici fidati che si sono rivelati opportunisti; nella mia fase più attiva ero circondato da tante persone, ma nella senilità molti sono spariti perché non potevo più aiutarli.”

In fondo ci somigliamo, siamo dei ribelli, lui ha solo avuto il coraggio di manifestarlo sempre, incurante del pensiero altrui, io sono più politically correct, ma sto imparando. In Fabrizio genio e sregolatezza sono le due facce della stessa moneta, quindi le devi accettare entrambe. Oppure no.

“Ho viaggiato sempre a duecento all’ora, lo facevo con la mia prima Spider e ho tenuto costantemente il piede sull’acceleratore percorrendo l’esistenza. Ora sono nella fase più delicata della vita, nella quale dovrò imparare a lasciarla andare. Non credete sia facile, la malinconia è compagna di nottate e giorni lenti, spesso sono solo i ricordi ad alimentarmi, sussurrando quello che sono stato: un uomo con una vita piena di riconoscimenti e anche di errori, ma non ho lasciato decidere nulla al caso. L’anzianità per un certo verso ti rende libero, provo la stessa sensazione di quando scrivevo canzoni o poesie, quasi posso ascoltare la musicalità del mio percorso, sono note rock alternate alla musica classica.

 

C’è un bel corredo iconografico di foto storiche nel testo, ti hanno ispirato nella scrittura?

In realtà, all’inizio, ne avevamo tirate fuori solo alcune da bambino, ero curiosa di vedere com’era, devo dire che ha mantenuto la stessa espressione birichina. L’intenzione di utilizzarle per la biografia è arrivata successivamente, verso la fine della stesura, e quando le siamo andate a cercare è stato divertente, scatole e scatole di immagini mescolate: vita privata e backstage dei suoi lavori. Le foto dei genitori accanto a quelle dei figli quasi annullavano lo spazio temporale. Strane mescolanze, magari ne trovavamo una di Fabrizio con John Travolta e subito dopo si palesava quella di Monsignor Capucci, oppure un Lando Buzzanca giovanissimo che anticipava una sensuale Megan Gale. Rimetterle in ordine è stato un lavoro abbastanza lungo, così come decidere quali abbinare ai capitoli, erano veramente tante e abbiamo scelto quelle che per lui avevano un significato emozionale. Sulla foto della madre si è soffermato a lungo mentre gli occhi gli si facevano lucidi, e poi ha detto: “Il libro lo voglio dedicare a lei”. Credo sia stata una buona idea aggiungerle alla biografia per renderla più completa ma, onestamente, per scrivere, non mi serviva visualizzare bensì “sentire”, e questo, come anticipato, è accaduto da quasi subito, forse il nostro già esistente rapporto d’amicizia ha nutrito una forte complicità.

 

Quella di Capucci è stata una vita davvero intensa, quale Capucci ti sembra il più interessante? L’attore, il cantante, il pubblicitario, ecc.?

Impossibile rispondere a questa domanda, tutte le sue versioni, direi. La cosa che mi ha più colpito è stato il suo candido confessare: “Io sono sempre stato me stesso” ed è assolutamente vero, l’ho riconosciuto in tutti gli switch della sua vita. Ogni strada portava a un incrocio al quale lui cambiava rotta se la passione precedente si era esaurita. Si è reinventato in mondi distanti ma che si sfioravano per delle interessanti sincronicità. Credo fosse il suo destino. Quello che ammiro in Fabrizio è il desiderio di esprimere sempre il grande fuoco che preserva dentro, è cosciente di aver a volte esagerato, ma con se stesso è sempre stato coerente.

 

Poi ci sono le donne…

Quante! Mi viene da ridere al pensiero che dalla biografia gliene ho dovute far fuori almeno una ventina, credo abbia avuto centinaia di donne e di relazioni. Così ho scoperto il suo lato non da play boy, come veniva etichettato sui tabloid dell’epoca, ma da Giacomo Casanova; Fabrizio si è innamorato di tutte, realmente, sia se poi la storia durava un giorno o anni. Ognuna aveva un lato “meraviglioso”, questo l’intercalare che usa parlando di femminilità; le innumerevoli domande sull’innamoramento che si fa al primo capitolo sono rimaste tutte irrisolte poiché tutte possibili. Si chiede chi ha messo limiti, dogmi o confini? È un sognatore innamorato dell’amore, un malinconico.


La donna di cui più si parla nelle cronache è Catherine Spaak…

Il suo primo grande amore, dedica un capitolo intero alla loro storia, aprendo per la prima volta il cuore alla narrazione di sentimenti controversi. Erano due ragazzini, lui poco più che ventenne, lei ne aveva diciassette. Una grande storia d’amore fagocitata dal pubblico morboso e vissuta come in un film, come tutta la loro vita insieme spesa sui set. Una riappacificazione muta, avvenuta negli ultimi giorni di vita di Catherine.

 

Quanto pensi sia stato sincero Fabrizio Capucci nel raccontarsi?

Credo lo sia stato nella misura in cui lo è con se stesso, ma non sono il suo confessore, semplicemente la sua biografa. Ho totale rispetto di Fabrizio e delle sue memorie, del resto ognuno ha il suo punto di vista, tutto è vero e tutto è opinabile. Non trovi?

Ti voglio rispondere con il periodo finale del primo capitolo:

 

“Da quando sono bambino l’aspetto che mi ha sempre incuriosito del trapasso è che ti lascia a bocca aperta; spesso per chiuderla devono costringere la mandibola, legandola.

Ebbene, l’estrema espressione è di meraviglia! Chissà se la Signora con la falce, nelle ultime immagini, proietta il film della nostra vita così come lo hanno visto gli altri, ognuno con la sua verità.

Questa è la mia”.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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