In un webinar sulla scrittura e i 5 sensi, abbiamo lanciato una piccola sfida ai partecipanti: per ogni senso abbiamo proposto un esercizio. La partecipazione è stata altissima, tanto che abbiamo deciso di pubblicare i racconti più riusciti.
Proseguiamo con il tatto, con questo esercizio: scrivi una scena in cui un personaggio sta svolgendo un’attività che richiede precisione tattile, come l’assemblaggio di un modellino di veliero o l’intreccio di un cesto di vimini.
“Veni, Nicuzza, t’ansignu l’uncinettu. Si teni prescia stu travagghiu nun po’ fari. Con la mano manca tieni il filo, con la mano destra l’uncinetto. Trasi e nesci, trasi e nesci”.
Mia nonna ci tiene tantissimo. Dice che la nostra è terra di tradizioni che si tramandano e lei mi vuole passare la sua arte. L’arte della pazienza, dell’equilibrio, del coraggio di imbastire centrini che sono immagini e storie.
Prende le mie mani di bambina e con le sue, venose vellutate di porcellana trasparente, mi guida in quel trasi e nesci.
L’uncinetto è lavoro di pazienza perché cresce piano piano. Il filo di cotone ti scorre liscio tra le dita, lo intrecci, lo annodi, fai un cappio, poi lo tiri, lo giri, lo stringi, lo allenti. Il filo diventa centrino, la balza della tenda, la coperta, lo scialle, il corredo della sposa. Quando lo sfiori comprendi il lavoro di pazienza, capisci che la pazienza è una cosa difficilissima.
Il centrino è come la ragnatela tessuta dal ragno e racconta una storia di abilità, di tranquillità, di attesa. Una storia che può avere dei nodi, dei buchi, dei grovigli confusi, che a volte è necessario chiudere per cominciarne un’altra, altre volte la accantoni per riprenderla un poco più avanti, a volte ti viene bene altre devi scucirla e ricominciare anche se le mani ti fanno male e diventano dure e callose.
Come Penelope, mia nonna Melina intrecciava e aspettava. Dentro l’intreccio la sua storia di donna di casa, di moglie, di madre, di mia nonna Melina.
La foto del nonno in divisa da militare, con il cappello e la sciabola, è adagiata sul centrino più bello; morbido, rugoso come le mani che lo hanno fatto, che vorrei ancora accarezzare. Mi mancano, mi manca sentirle prendere le mie piccole di bambina, ancora una volta ora che sono donna.