È appena uscito un nuovo romanzo di Giordano Vecchietti che, dopo Generazione Desaparacida e Resistenze (entrambi editi da Ventura edizioni), è tornato a occuparsi dei suoi temi preferiti: la storia dei popoli e dei movimenti del ‘900 alla ricerca della libertà. Nel nuovo libro, Nostra patria è il mondo intero (Edizioni Helicon 2023), fin dal titolo che è tratto da una nota canzone anarchica di Pietro Gori, Stornelli d’esilio del 1895, si intuisce che la narrazione è ambientata in un preciso momento storico, quello delle rivolte e delle ribellioni di donne e uomini che allora venivano considerati semplicemente dei sovversivi. La storia parte da Ancona dove un giovane medico, Pio Marinelli detto Ideale, si ritrova coinvolto negli scontri tra polizia e manifestanti. Costretto a lasciare l’Italia si ritrova a vivere in Cile e a fare poi ritorno in Europa, sempre sospinto dalla voglia di battersi per la giustizia, inquadrato come medico militare nella Brigada Chilena durante la guerra civile spagnola degli anni ’30. Nostra patria è il mondo intero narra argomenti solo apparentemente lontani dalla nostra realtà attuale e va a indagare – con la leggerezza e la profondità della narrazione romanzesca – le radici di alcuni fatti storici che arrivano fin ai giorni nostri. Ne ho parlato con l’autore.
Un romanzo sull’anarchia, se ne sentiva il bisogno?
Non direi che è un romanzo sull’anarchia; non vuole esserlo e francamente non avrei neanche la capacità di scrivere una sorta di saggio sul tema. Ancona ha una tradizione di città “sovversiva”, con grandi figure di anarchici e socialisti che ne hanno scandito la storia, uno su tutti Errico Malatesta, e il mio romanzo è semplicemente una storia che parla della vita di un giovane di simpatie anarchiche che è figlio di quell’Ancona proletaria e sottoproletaria di allora, fatta di gente che viveva principalmente nei rioni storici attorno al porto, unica importante attività economica cittadina del tempo, fonte di un misero reddito per molte famiglie, frutto di piccoli lavori saltuari o precari necessari a sopravvivere alla miseria e alla fame. Se ne sentiva il bisogno, mi chiedi? Il bisogno forse no, ma io scelgo a volte di narrare storie di un tempo duro e difficile, come quello a cavallo tra il XIX e XX secolo, quale esercizio di conservazione della memoria, del “come eravamo” in quel tempo dove esisteva una società fortemente classista e padronale, con ruoli ben definiti e rigidi nella società di allora, dove non era possibile accadesse né era accettato che il figlio di un pescatore potesse assurgere a ruoli sociali più elevati, quali per esempio il medico. Il figlio di un proletario, perciò, restava tale e così la sua progenie seguiva nella stessa condizione sociale di ignoranza indotta, seguendo a essere sfruttato e manovrato secondo i desiderata del grande latifondismo agricolo o del nuovo capitalismo urbano sorto nella seconda metà del XIX secolo, proprietario di fabbriche o miniere.
Oggi, quando si pensa agli anarchici, si pensa soprattutto agli odierni gruppi insurrezionalisti, non temi che il messaggio possa essere confuso?
Quando ho iniziato a pensare alla storia del libro, ho deciso fin da subito di ambientarlo in un tempo nel quale esistevano forti contraddizioni sociali e grandi ideali per i quali si lottava duramente, anche a costo di enormi sacrifici, spesso senza alcuna speranza di vittoria o di riconoscimento dei diritti. Nella ricerca di un titolo provvisorio, poi, l’ho immediatamente associato a quello di una delle canzoni di Pietro Gori e le parole “Nostra Patria è il mondo intero, nostra legge la Libertà e un pensiero libero in cor ci sta…” mi hanno dato una grande emozione e carica, pur non essendo io di fede anarchica. Mi piace però pensare a quei fratelli di allora, che in nome del loro ideale sono stati a lungo duramente perseguitati, “cavalieri erranti scacciati senza colpa”, addirittura messi a morire sulla sedia elettrica come Sacco e Vanzetti pur essendo innocenti, a causa del pregiudizio sulla loro fede politica che li faceva giudicare “sovversivi” e pericolosi per la società borghese e capitalista del tempo. Mentre scrivevo le pagine del libro, spesso ascoltavo canzoni come la meravigliosa Addio Lugano bella o altre che inneggiavano alla Libertà e ciò mi dava una forte emozione che ho cercato poi trasferire nelle pagine. Certamente la realtà attuale può ingenerare confusione anche perché spesso non c’è più la voglia di conoscere, approfondire e analizzare vicende, fatti. Si forma l’opinione in maniera superficiale con le scorciatoie dell’informazione appresa dai social media o con opinioni dei cosiddetti “megafoni del potere”, presenti nei numerosi talk televisivi che fanno spesso una “narrazione guidata” degli eventi a uso e consumo di interessi “altri”. Mi auguro allora che chi vorrà leggere il libro apprezzi lo sforzo di mettere, al centro dell’azione del mio personaggio e della narrazione degli eventi, il profondo desiderio di Libertà e Giustizia sociale che è il fulcro del suo agire, valori che sono il faro da tenere sempre acceso contro ogni forma di violenza e prevaricazione sociale o politica.
Come al solito, scrivi anche dell’America Latina, è proprio una tua grande passione. Pensi che possa ancora “dire” qualcosa a noi italiani?
Sono da sempre affascinato e quasi attirato come una calamita da quel continente ricco di risorse, di cultura e dalle mille contraddizioni sociali, che a mio parere ne fanno l’unico luogo nel mondo attuale sempre in fermento e con possibilità di cambi sociali importanti. Noi europei, che abbiamo una visione occidentalocentrica, anche per le dominazioni coloniali che hanno segnato quei luoghi nei secoli passati, siamo portati a crederci la parte più importante del mondo, sottovalutando le potenzialità che hanno i Paesi di quel continente. Così poi mettiamo in risalto, nella comunicazione dei media, quasi esclusivamente i fattori negativi che provengono da quelle realtà, come la povertà estrema di megalopoli centro e sudamericane, violenti terremoti, fattori scatenanti derivanti dai continui golpe militari accaduti nel XX secolo, mentre è un continente delle meraviglie ambientali, come la Foresta Amazzonica, polmone verde del mondo, la Cordigliera delle Ande, spina dorsale che lo attraversa in tutta la sua lunghezza, il deserto di Atacama, il luogo più arido del pianeta, la Patagonia australe, le meraviglie delle Isole Galapagos e tanto altro ancora. Purtroppo, anche là si è ormai diffusa una mentalità che prevede stili di vita importati dall’estero, alieni alla storia e cultura di quelle realtà, che ne stanno alterando la solidarietà umana e sociale. Si vanno snaturando sempre più stili di vita e modi di essere, vestire e comportarsi, omogeneizzando le culture a quelle del mondo occidentale. Penso però che un continente che ha espresso sei Premi Nobel per la Letteratura e che ha un fermento letterario e musicale molto interessante e vivace possa dare un contributo serio al confronto tra idee e lavorare per riscoprire la vera identità sociale di quel continente, mantenendo tradizioni, usi e costumi che non siano ridotti a mere rappresentazioni di folklore per turisti.
Chi è Ideale, il personaggio al centro di questa storia?
Ideale in realtà si chiama Pio, nome imposto da genitori profondamente cattolici e devoti alla Chiesa dello Stato Pontificio e del Papa Re, nel cui territorio era compresa Ancona, che però assume fin da piccolo quest’identità “altra” grazie al nonno Gustì, fieramente repubblicano e anticlericale, vera figura di riferimento del giovane, che in quel nipote, unico maschio della famiglia, rivede se stesso da giovane. Gustì è in qualche modo convinto che il ragazzo sia un predestinato, essendo nato lo stesso giorno della Comune di Parigi. Ideale riassume in sé i valori potenti del giovane passionale e ribelle, che lotta strenuamente contro le prepotenze e le ingiustizie a protezione della sua gente, che è dapprima quella del suo rione, poi della sua città e infine di ogni luogo dove il destino lo porterà ad agire.
È possibile oggi avere degli ideali puri come il tuo protagonista?
È una domanda alla quale non mi sento di dare una risposta, forse derivata anche dalla delusione di tante, troppe speranze disilluse nel corso dei miei quasi 64 anni. Mi resta però la speranza che, in nome dei grandi ideali di giustizia sociale e libertà, possano farsi largo nuove generazioni a rivendicarli con forza e ostinazione. D’altra parte, però, temo che decenni di corsa all’individualismo, all’egoismo e al successo personale abbiano indotto un profondo cambio culturale nella nostra società, che mi auguro non sia irreversibile.
Questo è un romanzo storico, ambientato in luoghi lontani dall’Italia, come ti sei documentato per realizzarlo?
Attingendo prioritariamente a conoscenze personali per quanto riguarda alcuni episodi che si svolgono in Cile, utili dapprima a tracciare un percorso temporale credibile nella trama del racconto narrato, approfonditi poi con ricerche su siti web specializzati, con un lungo lavoro preventivo di analisi di documenti e memorie storiche a volte originali dell’epoca, inseriti poi con un mix di verità e romanzo.
In questa narrazione compare anche Pablo Neruda. Sei legato alla sua figura e ai suoi versi?
Neruda è la voce di quel continente, il simbolo del riscatto morale di popoli oppressi, bene esplicitato nella sua opera più grande, Canto General. Non poteva non essere presente in un romanzo ambientato nel Cile dei primi anni del XX secolo e perciò, con grande umiltà, ho voluto rendere omaggio a questo gigante della cultura mondiale, cantore poderoso del riscatto di un continente, in una forma particolare che il lettore potrà scoprire fin dalle prime pagine del libro. Sono molto legato al Cile e al suo popolo, un Paese del quale mi considero come un figlio nato fuori dai propri confini per una serie di ragioni che forse risalgono a ricordi ancestrali o sensazioni difficilmente spiegabili razionalmente. Tornando a Neruda… sì, mi sento legato ai suoi luoghi, quali le case di Santiago, Valparaíso e Isla Negra, che ho visitato molte volte durante i miei tanti viaggi nel corso dell’ultimo quarto di secolo.
Cosa c’è di vero e cosa d’inventato negli eventi raccontati nel romanzo?
Trattandosi per l’appunto di un romanzo, nel percorso narrativo si intrecciano storie e personaggi veri (i fatti della rivolta del pane di Ancona, alcuni fatti accaduti in Cile ai primi del ’900) con elementi romanzati inventati, propedeutici però al succedersi delle vicende del personaggio principale del libro, che è inventato ma credibile. La narrazione dei fatti si sussegue a volte lenta, sonnacchiosa, divertente, in altre invece in rapida successione, con toni o situazioni violente, sconvolgenti. Il lettore si trova coinvolto direttamente nelle vicende del personaggio (almeno questo è l’intento), quasi fosse al suo fianco, e le vive con le sue medesime ansie, paure, emozioni. L’uso di note esplicative aiuta poi il lettore a meglio conoscere e comprendere fatti, tempo e luoghi nel quale si svolgono le sue vicende, con a volte l’uso di termini e parole di altre culture, volutamente lasciate in idioma originale.
E cosa c’è di autobiografico?
Si narrano storie e fatti molto lontani di un tempo difficile, dove i diritti umani e civili delle persone venivano spesso calpestati. Il mio personaggio rispecchia un po’ quello che è il mio pensare e agire, che deriva dall’esempio di mio padre partigiano, discriminato politicamente nella vita in seguito alle sue scelte, che mi ha portato a essere sempre e comunque dalla parte dei più deboli e contro le ingiustizie. In questo senso, il giovane medico anarchico Ideale Marinelli rappresenta un po’ la proiezione di me stesso e del mio sentirmi cittadino di un mondo giusto senza barriere, di fratelli che condividono medesimi ideali di Libertà e Giustizia.
La bella copertina è stata realizzata dal disegno di un tuo amico e compagno, vero?
Si, il mio amico cileno Ricardo Madrid de la Barra, già dirigente di uno dei partiti di “Unidad Popular” che appoggiavano Allende, arrivato nel nostro Paese agli inizi del 1974, scampando all’arresto e a una probabile tragica fine. Ha un’indole artistica, si diletta a realizzare acquerelli e un paio d’anni fa me ne ha regalato uno su Valparaíso, città-porto un po’ decadente che conosce molto bene, che sa che amo profondamente perché ricorda molto la nostra Ancona. Il romanzo ha una parte non secondaria che si svolge proprio nella città porteña e ho quindi proposto all’editore di far diventare quale copertina del romanzo proprio quell’acquerello molto colorato e vivace. Constatata la buona resa qualitativa dell’immagine, la proposta è divenuta realtà, con mia grande gioia e la soddisfazione di Ricardo, persona davvero sempre generosa e disponibile.