Era stato lui a lasciare Giosetta, se n’era andato di casa il giorno stesso in cui le aveva confessato il suo amore per una giovane vedova di Ponte di Piave. Non sopportava più un legame che, a suo parere, era diventato “troppo materno”. Certo, lei ne aveva sofferto, era caduta in una prostrazione profonda e lui aveva preso l’abitudine di chiamarla una volta al mese, per sentire come stava e per attenuare i suoi sensi di colpa.
Quella sera, però, la voce di Giosetta al telefono gli era sembrata diversa: più distesa, a tratti quasi allegra, sembrava avesse una gran voglia di parlare, e sì che da mesi gli rispondeva solo a monosillabi. D’altronde, c’era da capirla: quando l’aveva lasciata, Giosetta, per non restare sola, si era rifugiata a Bologna, in casa di una vecchia zia, una situazione non proprio allegra. Adesso però, al telefono, la sentiva diversa, e quando lei gli disse: Ho incontrato un ragazzo, è uno studente di medicina, molto garbato, più giovane di me…, Goffredo avvertì un ronzio fortissimo nelle orecchie, la voce di lei in sottofondo, ma lui non riusciva a capire più una sola parola.
Quando riattaccò la cornetta, lui rimase a guardare il telefono, poi si riscosse. Se si fosse sbrigato ad andare in stazione, con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a prendere l’ultimo treno per Bologna.
Bibliografia:
Goffredo Parise, L’odore del sangue, Rizzoli;
Goffredo Parise, Amore e fervore, Garzanti.