In piena estate bisogna dedicarsi al mare, secondo me. Certo, qualcuno preferisce la montagna, la collina, magari la città d’arte oppure il viaggio interstellare, ma io dico che a ferragosto non si può fare a meno di omaggiare la grande distesa d’acqua che il buon Dio o chi per lui ha voluto imbevibile pure quando bagna i deserti degli assetati e in più salata e colma di animali dalle forme più strane, sulle cui rive prolificano le società più diverse. Anche noi di Genius celebriamo il mare ascoltando Raffaella Marozzini, che ha preso il mare come un navigatore avventuroso dell’Ottocento in un classico giro del mondo, con il marito Giovanni, a bordo della loro barca Obiwan. Ne è nato un libro, Scalza, spettinata, abbronzata (Il frangente/Perrone), che racconta la loro impresa con toni divertiti, a volte emozionanti, sempre godibili. Per me, che non salgo nemmeno su un pattino, è stato un modo per vivere leggendo la vita di chi va per mare. Bella vita. Magari nella prossima esistenza ci proverò.
Cominciamo dal titolo, Raffaella Marozzini, scalza, spettinata, abbronzata, sei tu?
Eh sì, il titolo sono proprio io, così come sognavo di essere, quando poco più di una bambina, ho scoperto la vela. Queste tre parole penso riescano a trasmettere il senso di libertà che si prova a viaggiare per il mondo a bordo di una barca a vela.
Tutte le avventure si sono svolte come le racconti oppure hai un po’ romanzato?
Le avventure si sono svolte proprio come le ho raccontate. Qualcuno mi ha detto che forse mi sono soffermata troppo poco sui momenti più difficili, che comunque ci sono stati. Ma io sono una persona positiva e ottimista di natura, quindi mi sono rimasti più impressi nella memoria i momenti belli rispetto a quelli più duri e difficili. Gli incontri e le amicizie fatti durante il cammino sono stati la parte più emozionante di tutto il viaggio.
C’è ancora il fascino del giro del mondo oppure è stato spazzato via dal turismo di massa?
Il fascino c’è ancora e a mio avviso è molto forte. La barca a vela ti permette di allontanarti dalle masse di turisti intruppate in itinerari predefiniti, puoi scegliere i tempi e le rotte. In particolare il canale di Panama ci ha aperto la porta su un mondo incantato. Le isole del sud Pacifico, dalla Polinesia alle Fiji, passando per le Cook e Tonga, popolate da gente accogliente e sorridente, con una natura generosa, sopra e sotto l’acqua, ci sono rimaste nel cuore.
Qual è stata la tappa più avventurosa?
Dal punto di vista nautico e di navigazione direi la traversata del Pacifico che ci ha visto affrontare venti molto forti e onde di più di 5 metri, il tutto per 22 giorni senza vedere terra.
Ci sono stati momenti in cui hai avuto paura?
Ho la massima fiducia nel mio capitano e la nostra barca ha dimostrato di essere robusta e sicura, questi due punti mi hanno aiutato moltissimo a superare i momenti più difficili. Quindi paura no, ci sono stati momenti scomodi, di navigazione dura, in cui la stanchezza si è fatta sentire,in cui è stato difficile mantenere l’attenzione e la concentrazione. Durante le lunghe traversate con brutto tempo, nei turni di riposo si rotola nella cabina e non si riesce a dormire, cucinare diventa una attività da equilibristi, a volte anche andare in bagno è una avventura!
Qual è il ricordo più bello per te? A me per esempio ha colpito molto il racconto dell’infermiera di Hanavave.
Sicuramente i ricordi più belli sono legati alle persone, persone che hanno poco o niente, che vivono in modo molto semplice ma che sono pronti a condividere quel poco che hanno. Mi viene in mente per esempio il nostro amico Voilice che vive da solo in un piccolo atollo delle Tuamotu, che ci ha accolto a casa sua senza chiederci nulla in cambio e ci ha salutato, alla nostra partenza, con le lacrime agli occhi.
Hai inserito nel testo link ai video delle varie tappe, la scrittura non bastava?
La scrittura può bastare, anzi è il mezzo con cui riesco a comunicare meglio fin da quando ero piccola. Ma ho pensato che quei colori così intensi, o quelle voci dei bambini che cantano per noi in una isoletta sperduta delle Fiji o il vento che fischia nelle sartie, meritassero di essere ascoltate e viste da tutti. Certo non sono né una fotografa né tantomeno una filmaker professionista ma ho pensato che valesse la pena sfruttare le tecnologie che abbiamo a disposizione per coinvolgere di più il lettore.
Durante i tuoi viaggi per mare, hai scoperto qualcosa su te stessa che a terra non avresti scoperto?
Il mare, anche quando viaggi in equipaggio, ti mette davanti a te stesso. Non puoi fingere, vengono fuori le tue paure, le tue insicurezze così come i tuoi lati positivi. Ho scoperto in me un grande spirito di adattamento, in barca ho imparato a fare il pane, a pescare e sfilettare un pesce, a ricucire una vela o un tendalino, a fare riparazioni con i pochi mezzi di bordo, tutte cose che a casa non avrei mai fatto!
Se potessi fare qualcosa a favore delle creature che abitano i mari, cosa faresti?
Ridurrei l’uso della plastica. Purtroppo anche negli atolli più sperduti del Pacifico il mare porta sulle spiagge e sui reef quantità spaventose di rifiuti plastici e chiaramente le popolazioni non hanno modo né mezzi per smaltirle, è inevitabile quindi che anche le creature marine ne risentano.
Quando torni a terra, ai tuoi piedi manca il movimento del galleggiare?
Più che il movimento del galleggiare, quando torno a terra mi manca la vita tranquilla delle isolette del sud Pacifico. Qui in Italia mi sembrano tutti sempre di corsa, nervosi e arrabbiati gli uni con gli altri. Più che la barca in sé stessa mi manca la vita e la libertà che viviamo a bordo.