Aspettando il telegramma, Alan Bennett

Scrivere è anche sbottonare un poco alla volta, per poi mettere i divieti.

Leggere un passo di Aspettando il telegramma (da Il gioco del panino) di Alan Bennett mi fa pensare che scrivere è anche sbottonare un poco alla volta, per poi mettere i divieti.

Scrivere è anche fare i preziosi.

Buona Lettura!

 

Stamattina Verity ha portato qui un ragazzino. «Sei fortunato» gli dice. «Violet è la nostra ospite più anziana». Mi dice: «Spencer ti farà un paio di domande per una ricerca che stanno facendo a scuola. Sul passato».

Un ragazzo con un bel faccino, ma tanto malmesso, coi vestiti che cascavano, la camicia di fuori… Gli ho detto: «Hai il maglione di tuo fratello più grande?». Dice: «No, adesso va così», Tira fuori il quaderno e mi fa: «Com’era, una volta?», «Mah… » gli ho detto, e lui: «Era meglio o peggio?». «Insomma… le mie gambe erano meglio». Ha detto che non intendeva quello. Torna Verity e lui le dice: «Mi sa che non capisce il discorso». «Sai,» dice Verity «ha avuto l’ictus. Vieni, te ne trovo un’altra». (Violet è un po’ seccata).

Ho detto a Francis: «Intendeva quando c’erano i tram e così via. Gli scioperi, le tinozze per il bagno, la guerra». Dice: «Quale guerra?». «La guerra vera, quando ammazzavano tutti i ragazzi giovani. “Mai più” dicono. Quella guerra». Lui è diventato tutto triste e mi ha detto: «Tienimi la mano». Allora gliel’ho presa. Mi ha chiesto: «E tu ce lo avevi il ragazzo?». « Sì ». «Com’era?». «Si chiamava Edward. La sua famiglia aveva una piccola pasticceria in Tong Road. Portava sempre la millefoglie a mia mamma. Tutte le volte che veniva a casa, una fetta di millefoglie».

Gli tenevo ancora la mano, a Francis. «Ai miei tempi,» gli ho detto «quando si aveva un filarino, era come un… quando si combatte… ». «Una battaglia» ha detto. «Eh sì. Una sera lui riusciva a slacciare un bottone, e la sera dopo un altro bottone. E allora le ragazze non dovevano fare chissà cosa; solo sdraiarsi ed essere pronte a mettere il divieto. Se una certa sera l’avevo lasciato arrivare fino a un certo punto, lui sapeva già dov’era la linea del fronte e così la sera dopo arrivava lì un po’ più in fretta e faceva un altro passetto… cioè slacciava un altro bottone. Dovevi fare la preziosa. Ma a quei tempi credevamo che bisognava fare così.

«Ad ogni modo, il giorno dopo partiva per la Francia; era al distretto e gli avevano dato la licenza per l’ultima sera. Mia mamma… oh, era brava, lei… ha messo degli anemoni in un vaso… mi piacciono gli anemoni… ha acceso il fuoco in salotto e poi ha deciso che quella sera doveva dormire a casa di mia zia Florence. La gente di una volta era meglio di come si dice, anche se poi era bacchettona…

«Gli ho fatto un tè e dopo ci siamo seduti in salotto e lui ha cominciato ad aprirmi i bottoni e a baciarmi e così. Ma io volevo sentirmi carina e allora mi ero messa il vestito più bello che avevo, e lui non riusciva a capire bene come si sbottonava. Dovevo togliermelo da sola, ma non l’ho tolto e, poverino, si è tanto stancato di quei dannati bottoni che alla fine ha rinunciato.

«Si era tolto le ghette… le mollettiere, perché tenevano caldo, ed era in camicia; a quei tempi erano camicie di una stoffa ruvidissima, proprio da poco, che dava il prurito. Ad ogni modo, finisce che si alza dal sofà. Dice: “Al diavolo” e si toglie la camicia e tutto il resto. Senza neanche una parola, si sveste e rimane lì, in piedi, sul tappeto davanti al camino. Oh, pareva dipinto, col fuoco acceso e tutto. Non aveva un segno addosso. Dopo mi dice: “Spogliati”».

Si copre il viso con le mani.

«E io non l’ho fatto. Non l’ho fatto. E volevo tantissimo stare con lui. Non so… ero stata allevata così. E rimane lì a guardarmi… poi raccoglie i vestiti e va nell’altra stanza, e dopo un po’ ho sentito sbattere la porta di casa.

«Nelle fotografie sembrano vecchi, rispetto a oggi: Ma non erano vecchi. Erano dei ragazzi come te. Magnifici uguale».

Pausa.

«Ho visto quella cosa gialla che consegna il ragazzo in bicicletta… ce l’ha portata sua sorella… il telegramma. E una fetta di millefoglie per mia madre. Dopo un po’ hanno ricevuto la lettera del re, o così dicevano, la stessa che arrivava a tutti quelli che avevano perduto qualcuno. Continuano a dirmi che presto arriverà un telegramma anche a me… per il mio compleanno».

«La sai una cosa, Violet? » dice Francis. «Adesso non hai mai detto: “come si dice” o “come si chiama”. Neanche una volta. Sapevi tutte le parole ».

«Ma dovevo lasciarlo fare, no? Non me lo sono mai perdonato». «Be’,» dice Francis «come si fa a sapere…». E continuava a tenermi la mano.

Pausa.

Poverino, ha proprio una brutta cera.

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Luigi Annibaldi

Scrittore di racconti, editor e illustratore. Da oltre dieci anni conduce corsi di narrativa e scrittura creativa in diverse scuole medie, licei statali, biblioteche di Roma, centri diurni e al Goethe-Institut, l’istituto di Cultura della Repubblica Federale di Germania. I suoi racconti sono stati pubblicati dalla rivista Linus di Baldini&Castoldi e della rivista francese Les Cahiers européens de l’imaginaire. Ha pubblicato la raccolta Sushi Pin Up e, con Ilaria Palomba, il romanzo Una volta l'estate. Cura la rubrica di racconti Schegge nella rivista IF, Insolito Fantastico delle edizioni Odoya, collabora con Tuttolibri, il magazine de La Stampa dedicato ai libri.

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