Scrivere di sé è difficile. Perché sia memorabile nel senso letterale del termine, e cioè perché la nostra storia affiori dalla memoria stessa del lettore, quasi parlassimo di lui, dobbiamo essere disposti a dire ciò che non abbiamo mai detto nemmeno a noi stessi finché non ci siamo seduti e abbiamo iniziato a scrivere. Altrimenti è meglio se ci dedichiamo ad altro, a un’altra storia, di un altro tipo. Annie Ernaux, Premio Nobel per la Letteratura 2022, è maestra in questo, può indicarci la rotta giusta.
Ha reinventato l’autobiografia, ne ha esplorato ogni possibilità, senza risparmiare e risparmiarsi nulla. E L’altra figlia, la lunga lettera che scrive alla sorella Ginette, morta di difterite prima che lei nascesse, è proprio questo: un’autopsia feroce del lutto e dell’assenza. Una sorella di cui i genitori non hanno parlato più – quasi non fosse mai esistita. Il suo nome, così come le sue foto e i suoi effetti personali, sarebbero finiti in un posto segreto e inaccessibile, come soltanto il dolore può esserlo, se solo una domenica d’estate, per caso, Annie non avesse sentito la madre dire avere avuto un’altra figlia oltre a lei.
E in questa lunga lettera, che si legge tutta d’un fiato, l’autrice non fa niente per depistare il lettore, non omette niente, non concede e si concede nessuna indulgenza. Dice tutta la verità, che faccia male, sia scandalosa, oppure no.
Buona Lettura!