Non sono molte le storie italiane che parlano di mare, anche se la penisola si allunga nel mediterraneo e siamo un popolo di navigatori, o almeno dovremmo esserlo. Così quando ne arriva una attrae subito la mia attenzione. Se poi si tratta di un noir ambientato in ambiente marino, direi che è normale accoglierlo con curiosità. E in questo caso non si rimane delusi. Il romanzo s’intitola Mare mosso (e/o 2022) e l’ha scritto Francesco Musolino, che ha saputo creare un convincente impasto di epopea marinara alla Corto Maltese (Hugo Pratt è senza dubbio uno dei suoi ispiratori), cronaca nera italiana (la vicenda prende il via da un fatto realmente accaduto) e atmosfere noir mediterranee alla Jean-Claude Izzo, l’autore marsigliese che ha praticamente inventato il genere (e che in Italia pubblicava per la stessa e/o che ha accolto questo testo). Musolino è al suo secondo romanzo (il precedente, L’attimo prima, è stato pubblicato da Rizzoli nel 2019) e ha al suo attivo un’intensa attività di giornalista culturale. L’intervista con lui è anche un modo per omaggiare il mare soprattutto in questa terribile e calda estate.
Come si fa a tenere insieme Corto Maltese e una storia vera di cronaca, quasi un’inchiesta?
Con la precisa intenzione di voler riportare il mare al centro della pagina. Mare mosso è ispirato da una storia reale: nella notte del 24 dicembre 1981, un cargo in avaria lancia un sos a largo delle coste sarde e mentre il suo equipaggio viene tratto in salvo con degli elicotteri, lo scafo fila verso gli scogli, sospinto da una tremenda maestralata. E invece, contro ogni pronostico, si infilerà in una golfatina, arrampicandosi su una spiaggetta con la stiva gonfia di 600 tonnellate di pesce per un valore di centinaia di milioni di lire. Fin qui la storia vera. Ma chi era Achille Vitale, chi era l’uomo che si sarebbe lanciato nel salvataggio e perché si trovava da solo, a Cagliari, nella notte del 24 dicembre 1981? C’era una donna nella sua vita? Una domanda dopo l’altra, in un gioco di incastri, è nata una storia ed è arrivata proprio dal mare, schiacciando l’occhio al marinaio gentiluomo, l’inimitabile Corto Maltese.
L’ambientazione anni ’80 è molto efficace, oggi il mare sarebbe diverso da raccontare?
Tanto. Mare mosso racconta un Mediterraneo popolato di centinaia di scafi, navi cargo che trasportavano ogni genere di cosa e senza gps e cellulari, si faceva presto a scomparire dai radar, con la stiva piena di segreti e merci pericolose. Del resto, sono gli anni dei traffici d’armi e delle navi piene di veleni. Oggi enormi navi portacontainer sopperiscono a quasi tutto e nascondersi in piena vista sarebbe ben più arduo ma non impossibile perché il mare è l’ultima frontiera rimasta e ciò mi affascina moltissimo.
Definiresti Mare mosso più un noir o più un romanzo d’avventura?
Bisognerebbe domandarlo ai lettori! Questo libro è stato innescato da un fatto vero ma la fiction gli ha fatto cambiare pelle, accendendo la mia fantasia e così, sulle rotte del Mediterraneo, ho immaginato che in quello scafo, sotto le tonnellate di pesce, ci fosse un altro segreto ben più pericoloso. Se Achille Vitale è il nostro eroe, allora ci dev’essere anche un antagonista sulle sponde dello stesso mare, un uomo pronto a tutto per prendersi questa maledetta nave alla deriva.
Qual è il tuo rapporto con la vita di mare, sei marinaio?
Non in questa vita ma il mio rapporto con il mare è in continua evoluzione. Prima di salire su una barca a vela ero “un tipo da spiaggia” ma dopo la prima traversata del Mediterraneo ho cambiato prospettiva. E così facendo, ho scoperto anche che in mare tutto si scassa, ogni cosa si rompe e bisogna tenersi sempre pronti agli inconvenienti. Ecco, il mare rappresenta l’avventura nella sua essenza ma proprio come i marinai perduti di Jean-Claude Izzo, bisogna fare attenzione alla sua malìa perché quando ci si trova bene sul rollio dello scafo, tornare sulla terra ferma può essere una vera impresa.
Cos’è per te il mare?
Un continuo confronto. In questo momento della mia vita, il mare rappresenta l’invito ad accettare le sfide a testa alta, con lo sguardo fisso sull’orizzonte, proprio come Corto. Mi sono tolto la cera dalle orecchie e diversamente da Ulisse, vorrei accogliere il canto delle Sirene…
Chi sono i protagonisti della storia sentimentale che c’è nel tuo romanzo, Achille e Brigitta, li conosci?
Gli scrittori sono cannibali, lo dice John Banville. Achille, lupo di mare dal cuore coraggioso, è un trentenne che lascia Palermo in cerca di riscatto, diventa cadetto dell’Accademia Navale di Livorno e si innamora di Brigitta a Venezia, proprio come in una storia di Hugo Pratt. E lei, con un broncio alla Jane Birkin, è una modella di nudo, una donna bellissima e fiera la cui vita cambierà per amore. Finché tutto rovina nella polvere. Ovviamente c’è qualcosa di me in entrambi ma il confine fra realtà e fiction temo sia impossibile da tracciare…
Si parla anche di gelosia, cos’è per te? Un veleno? Una forma di follia? Oppure un elemento che può essere necessario all’amore?
L’amore di Achille e Brigitta è macchiato da un vizio che bisogna avere la forza di respingere. L’amore e il possesso non devono mai sovrapporsi e così lei flirta ma gioca a carte scoperte. È una donna bella che sente il bisogno di essere vista però non gli mente mai e quando lui lascia affiorare le spine del suo carattere siciliano, Brigitta mette in chiaro il limite, tanto che ad un certo punto, occhi negli occhi, gli dice: “Achille io ti amo ma sono una donna libera”. Penso sia bellissimo poter giocare al gioco della seduzione fra le calli di Venezia ma bisogna stare attenti a non bruciarsi.
Quali sono stati i tuoi riferimenti letterari nello scrivere questo tipo di storia?
Prima di essere uno scrittore e un giornalista, mi reputo un lettore e mi piace pensare che Mare mosso sia quel genere di libro che ti condurrà ad altre letture. Per questo motivo ho scelto un esergo per ciascun capitolo, a metà fra l’omaggio e la chiave interpretativa delle pagine che seguiranno, da Paolo Sorrentino a Patricia Highsmith. Su tutti, i miei riferimenti sono stati Jean-Claude Izzo – il padre del noir mediterraneo – e Hugo Pratt, il creatore di Corto Maltese. E poi Alvaro Mutis, Joseph Conrad, Antonella Anedda…
Ci sono volute molte ricerche per scrivere questa storia?
Tantissime ma è stato un viaggio delizioso. Prima di tutto ho cercato una traccia reale di questo salvataggio negli archivi de “L’Unione Sarda”. Poteva essere solo un sogno di un marinaio e invece era successo davvero. E da qui, sono andato a vedere la baia di Santa Caterina di Pittinuri (Oristano), sono sceso nella stiva di una nave e nella sala macchine di un rimorchiatore, sentendo la puzza di nafta e lo scafo schiaffeggiato dal vento e dalle onde. Prima di mettermi a scrivere, volevo capire cosa si prova durante una maestralata con un mare forza 5. A quel punto mi sono sentito pronto, prendendo per mano il lettore.
Qual è la differenza maggiore, secondo te, tra lo scrivere narrativa o fare giornalismo, lavori in modo diverso?
Il giornalismo è lavoro ma anche pura passione. Sono precario (o freelance) da quando ho preso il tesserino nel 2008 e parlare di libri e cultura richiede massima concentrazione e cura per le altrui parole, spesso con tempi esigui e scadenze a stretto giro. Invece, fare narrativa significa voler narrare una propria visione del mondo. Per farlo, racconto la storia nella testa, la monto e la smonto fin quando tutto funziona. E solo a quel punto, mi metto a scrivere, ascoltando le voci dei protagonisti e provando anche a divertirmi. E forse è proprio questo il vero segreto, voler essere ambiziosi in modo umile, lavorando con il culo sulla sedia (citando Stephen King) un giorno dopo l’altro, una pagina alla volta, parola dopo parola. Ma quando funziona, è pura magia.