SIAMO FERITI A MORTE – su Raffaele La Capria

Una lettura dell'opera d'esordio che è anche un omaggio allo scrittore appena scomparso

Un incipit che non è solo un incipit, piccolo compendio di prosa poetica di un romanziere che non è mai stato solo un romanziere ma anche un saggista coi fiocchi, in sintesi un grande scrittore:


<<…between those who mean by a life a Bildungsroman

and those to whom living Means to-be-visible-now,

there yawns a gulf Embrace cannot bridge.

  1. H. Auden

I

La spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui

e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quando la vedevi

arrivare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L’occhio fisso,

di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera

cinese – è vicina, vicinissima, a tiro – La Grande Occasione. L’aletta dell’

arpione fa da mirino sulla linea smagliante del fucile, lo sguardo segue un

punto tra le branchie e le pinne dorsali. Sta per tirare – sarà più di dieci chili,

attento non si può sbagliare! – e la Cosa Temuta si ripete: una pigrizia

maledetta che costringe il corpo a disobbedire, la vita che nel momento

decisivo ti abbandona. Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile.

La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla,

e scompare in una zona d’ombra, nel buio degli scogli. Adesso sta inse=

guendo la Grande Occasione Mancata. Per lunghi oscuri corridoi sotto=

marini, ombre come alghe viola, e gelo in tutto il corpo. Man mano che

si abitua a quel morto chiarore distingue le poltrone del salotto, il lungo

tavolo di legno scuro, il paralume verde, il divano, la macchia di caffè sul

cuscino giallo. La spigola dev’essere scomparsa in qualche angolo buio,

dietro quel cassettone o nella stanza di là, sotto il letto dove lui ora sta

dormendo. Ma non importa più, ormai ci siamo, eccola La Scena. Si ripre=

senta sempre identica: lo sguardo di Carla che splende come un mattino

tutto luce in fondo al mare, e lei così vicina – anche il battito del cuore! –

vicina, con l’occhio marino aspettando. E poi offesa? stupita? incredula?

prontamente disinvolta comunque, eccola di nuovo seduta sul letto petti=

nandosi, per sempre lontanissima, che tenta di superare l’imbarazzo. Lui

la guarda mentre lei si pettina i capelli raccolti sulla nuca, bionda coda di

cavallo oscillante – luminosi come sulla spiaggia nella notte di Capodanno!

– lui senza vita e un sorriso umiliato che copre il desiderio di morire. E i ra=

gazzi, t’immagini le facce? le risate? le chiacchiere, se sapessero. Lui, solo,

con la Grande Occasione Mancata, e tutti i loro occhi aperti sulla Scena.>>


Comincia così uno dei più grandi romanzi del secolo scorso, Ferito A Morte, di Raffaele La Capria, nato come Pier Paolo Pasolini nel 1922 e morto a pochi mesi dal compimento dei 100 anni.

Direte: ma questa non è una rubrica che si occupa di prosa! Vi do ragione a metà.

Non poche volte abbiamo incontrato qui poeti che hanno adottato la prosa poetica come variante del proprio dettato in versi con esiti molto significativi: uno degli ultimi, Claudio Damiani, in Prima di nascere (Fazi 2022) approda alla prosa in una fase avanzata del libro, arrendendosi all’evidenza che una poesia come la sua, meditativa, anzi speculativa, che ritaglia il verso dalla frase cioè scandisce l’andamento prosastico sezionandolo per brevi unità di senso, può anche rinunciare alla misura accorciata e ridistendersi in documenti prosodici, quadrati di scrittura ragionativa e sensibile in cui il ritmo è scandito da un andamento che si avvale di una qualche abilità quasi oratoria. E poi se analizzassimo qui la poesia metafisica di John Donne, poeta secentesco inglese, non potremmo fare a meno di tirare in ballo i Sermoni o Meditazioni, vere e proprie omelie di grande valore filosofico in cui troviamo affabilità oratoria, ritmo, e una serie di risorse dell’omiletica e dell’innologia che molto sarebbero poi piaciute anche a Emily Dickinson.

Tutto questo solo per dire che questo incipit miracoloso, tutto giostrato tra sogno desiderio e realtà, l’incipit di La Capria che apre il suo Ferito A Morte intendo, compie un piccolo prodigio.

È un compendio dell’intera vicenda narrata nel romanzo intero, ne è sintesi per immagini e simboli, e come accade nella migliore poesia, nell’ermetismo che arditamente accosta tra loro immagini forti e disparate riuscendo a creare nessi inaspettati di senso e addirittura predittivi, qui troviamo il mare e la stanza da letto: non dimentichiamoci che Raffaele La Capria è stato il cantore per antonomasia della Bella Giornata, e proprio nel romanzo aperto da questo incipit strepitoso, Palazzo Donn’Anna aggettato sul mare di Posillipo offre il contatto luminoso tra il letto e i raggi del sole che sorge sul mare filtrando nell’interno dagli scuri. Nel romanzo, La Capria scrive del palazzo: «maestosa mole cadente e quasi una rovina, ma bellissima, al cospetto del mare», ed esso stesso è sintesi, “in realtà «una sineddoche particolarmente efficace», per la città di Napoli, simbolo indiscusso della vittoria inevitabile della Natura sulla Storia” [V. d’Orlando in Napoli, la città-testo di Raffaele La Capria].

Partiamo dall’esergo, tratto dal poeta Auden, leader del gruppo degli Oxford Poets negli anni Trenta:


<<Tra coloro che vedono nella vita un romanzo di formazione e

coloro per i quali vivere Significa essere-visibili-ora, si allarga un

abisso sul quale nessun abbraccio può far ponte>> [traduzione

rimaneggiata da me].

Questo in sintesi l’equivoco che governa le vite di Massimo e dei suoi amici prima che le loro esistenze scioperate, tutte ottative e possibilistiche, tramontino senza aver mai davvero … preso vita. Questo il vitellonismo da cui Massimo sbarcherà alla sua nuova vita rinunciando all’avventura.

L’avventura, il suo sale, i suoi dati essenziali sono tutti immortalati nell’incipit.

C’è una ragazza, Carla, che non è né la fanciulla del Paglia (il poeta Elio Pagliarani) né più la giovane Carla de Gli Indifferenti di Moravia – invece, proprio per quel pettinarsi, e per quella coda di cavallo bionda (biondo il crine) che svirgolando la allontana proprio quando sembra renderla vicina, ricorda l’inafferrabile Fulvia di Una Questione Privata di Beppe Fenoglio. Ma soprattutto è sorprendente come il desiderio di lei si manifesti in sogno o forse in una vera battuta di caccia incarnandosi per così dire nella spigola che tiene il suo tipico comportamento etologico di pesce luminoso che svia e saetta e si sottrae favorita anche dalla poca determinazione del cacciatore. Dunque Carla è amata ma chi la ama non è determinato nel proprio comportamento di corteggiatore: è incerto, timido, quando sembra l’abbia a portata di mano non ha la prontezza necessaria, anzi esita, non è convinto o forse è solo imbranato. No, è irresoluto. È immaturo. È uno che butta via la fortuna (questa la Cosa Temuta) che la sorte pure gli riserva. Così (questa nominazione simbolica è prodigiosa) la Grande Occasione diventa una Grande Occasione Mancata: una delusione cocente, bruciante, cui per misura soverchia (e ulteriore Cosa Temuta) potrebbero aggiungersi le risate di eventuali testimoni sulla Scena.

Molti anni fa (autunno 1990) leggendo questo incipit avrei voluto comunicare a Qualcuno queste mie osservazioni: ma allora, come il protagonista di Ferito A Morte, ero troppo esitante e irresoluta. Non parlai, e, passata la Grande Occasione, tutto si risolse in una Grande Occasione Mancata. Poi ho rimediato, ho comunicato a quel Qualcuno e ne ho anche scritto. Lo riscrivo qui ora: La Capria oggi (26 giugno) ha lasciato questo mondo e la sua lezione, per me indelebile, è alta, dunque è poesia.

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