Durante la stesura di un romanzo l’autore sarà chiamato a interpretare due ruoli contemporaneamente: quello dello scrittore che scrive e quello dell’editor (dall’inglese to edit che vuol dire correggere, modificare) che corregge, appunto, il testo in tempo reale via via che viene su sulla pagina. Quindi dobbiamo avere nella nostra cassetta degli attrezzi anche un “occhio critico” attento, severo, in grado di svolgere questa funzione di controllo e di modifica.
Ma quando il romanzo sarà concluso, quando l’autore avrà scritto la parola fine dopo l’ultima frase della sua storia, a quel punto servirà comunque un editor in carne e ossa per valutare il prodotto con obbiettività, con la giusta distanza. Perché? Beh, perché noi “autori” a quel punto avremo un occhio indulgente e benevolo verso quel testo che abbiamo creato, quella nostra creatura appena nata, che è venuta fuori da noi, proprio da noi.
Noi autori a quel punto saremo anche saturi di quella storia, di quei personaggi e non avremo di sicuro la mente lucida e obiettiva per affrontare la lettura dell’opera criticamente. Insomma, l’autore a quel punto deve passare necessariamente il testimone alla figura dell’editor, a un editor esterno di cui si fida, che affronterà la lettura, la prima lettura, senza condizionamenti di sorta, a mente sgombra. E qui entra in gioco la sapienza e l’esperienza dell’editor, nel saper valutare il testo, nel saper dare i consigli giusti, senza invasioni di campo, senza essere troppo intrusivi, invasivi, cioè rispettandone lo stile di fondo.
Esercizio. Prendete il vostro romanzo – il vostro work in progress e sottoponetelo a un severo intervento di editing. Ma severo davvero, senza indulgenze. Se non ci trovate nulla da correggere, se non trovate per esempio frasi fatte, luoghi comuni, ripetizioni, rime involontarie, se vi sembra perfetto così com’è, tanto meglio, vuol dire che il vostro “occhio critico” funziona. E potete fidarvi di lui. Alla prossima.