Mentre accendeva il computer con l’adrenalina a mille ricordava tutte le volte che aveva provato quella sensazione davanti ai quadri di fine anno a scuola, dove puntualmente viaggiava su filo tra la promozione e la bocciatura. Si disse: “però almeno lì non ero solo, c’erano i miei amici, se c’era da proteggersi da qualche brutta notizia potevamo insultare insieme quel professore che ci aveva messo 5”. Ora invece aprire la schermata con i risultati del concorso era un fatto assolutamente e paurosamente privato. Nessuna rete sotto il filo prima del fatidico click. Per abbassare la temperatura si disse :”Non ci devo credere troppo, tanto andrà male anche questa volta, non posso illudermi di nuovo, e poi in fondo che ci faccio con un posto al comune”. Ma poi qualcosa si ribellò dentro di lui. “Ma come che ci faccio? Un posto fisso!! stipendio tutti i mesi, finalmente posso accendere il mutuo della casa, posso ammalarmi e persino fare finta di ammalarmi, e poi in vecchiaia liquidazione, pensione. Cavolo se dopo tutta questa fatica me lo merito”, pensò.
Luca aveva ormai 15 anni di precariato sulle spalle, era stanco di tutto questo e specialmente era stanco di partecipare a concorsi che non vinceva mai. “Va bene” disse, facendosi coraggio, “magari è la volta buona”. Aprì la schermata. Luca come al solito leggeva la lista dal basso verso l’alto, aveva sempre fatto così, come a mercante in fiera, si eliminano le carte perdenti una alla volta, sino a che non rimangono solo le prime posizioni. I posti a disposizione erano tre. Sale, sale, ”siamo al 25 e il mio nome ancora non c’è”, il ritmo cardiaco si fece più sostenuto e le mani formicolavano, salì ancora siamo a 10. Ancora lui non c’era… si fermò un attimo, gli si annebbiò la vista e cominciarono a passargli davanti agli occhi i giorni di ferie pagate, i permessi studio. D’un tratto e pensò che forse aveva letto male, quindi ripartì dal basso e lesse tutti i nomi, ma no non c’era traccia di Luca Casati…”. Oddio mio ma che ce la sto a fa’?”. Sali ancora: “9, 8, 7, 6. A questo punto la tensione era massima e già fantasticava su una vecchiaia sei mesi a Roma e sei mesi al sole delle Antille, dove la sua pensione valeva oro…”. Oddio ci siamo… 5… e…”. D’un tratto Luca ebbe un giramento di testa gli sembrò che tutto il mondo vorticava intorno a lui e si aggrappò al tavolo… non riusciva a crederci e riguardò di nuovo con più attenzione. “Quarto, cazzo quarto” urlò, il primo degli esclusi. “No” esclamò sconvolto “ma questo è peggio di un coito interrotto è peggio di un gol in finale a tempo scaduto, non è possibile”. Poi per un attimo un alito di speranza: “Ma forse uno dei primi tre rinuncerà?” ma già mentre scandiva a voce alta quelle parole colse l’assurdità del suo pensiero. “Si e magari qualcuno rinuncia pure alla vincita alla lotteria”. Nel turbinio di emozioni che lo attraversavano, tra un pizzico di compiacimento per essere stato bravo e una grande rabbia per l’ennesima beffa della sua vita, l’occhio gli cadde sul terzo candidato. D’un tratto Luca impallidì, e i pugni si serrarono automaticamente, conosceva bene quel nome era in classe sua al liceo: Carlo Sperandio. Un vero imbecille, arrogante, il cocco dei professori, odioso e pure cosi bello che fregava le ragazze a tutti. “No ancora lui, da lui no”. Immediatamente Luca rivide le immagini di tutte le malefatte dell’infame Sperandio, rivide Maria la sua fidanzata che si diceva tanto innamorata di lui ma non abbastanza da resistere al fascino del viscido Sperandio. Ricordò non solo i compiti in classe che il bieco Sperandio non passava mai, ma persino quella volta che lo passò sbagliato per poter emergere come l’unico e autentico genio della matematica. Ma specialmente non poteva scordare la spia Sperandio che lo fece sospendere per tre giorni accusandolo di aver messo il Guttalax nel caffè della vicepreside, quando lui si era limitato semplicemente a procurare il corpo del reato. La rabbia si impossessò di lui arrivando a infuocargli le orecchie e usci dalla sua bocca un urlo liberatorio: “Bastardo di un Carlo Sperandio ancora tu, spero davvero che tu possa crepare all’istante e lasciarmi il posto che mi spetta”. Luca disse queste parole con tale convinzione che rimase insieme sorpreso e sconvolto. Ma davvero si disse posso desiderare la morte di un altro essere umano per così poco? E lo investì un forte senso di vergogna. Ma fu un breve istante “Insomma” disse “però mica tanto poco in fondo”, gli rispose il suo demone interno, ripensando alla lista dei diritti e delle opportunità del posto fisso. Quel sentimento contrastante lo confondeva, ma anni di precariato avevano indurito il suo cuore e poi si domandava: “Possiamo considerare Sperandio un essere umano a pieno titolo?” Non lo so, pensò.
I giorni successivi la rabbia e l’inquietudine non lo abbandonarono, la notte sognava ghigliottine, sedie elettriche, la garrota spagnola e altri mezzi di tortura che si diceva in cuor suo se applicati al Bastardo, a Sperandio, gli apparivano invece strumenti di giustizia. Pensò che se L’immorale Sperandio era arrivato al terzo posto di quel concorso sicuramente aveva qualche santo in paradiso, o aveva corrotto qualche funzionario, e così piano piano quell’improponibile pensiero di morte divenne ai suoi occhi un atto dovuto e necessario di giustizia sociale, persino un atto eroico di ribellione degno di Che Guevara. Certo si diceva lo faccio per me che sono il quarto, ma lo faccio per tutti i quarti del mondo, e nel dire questo partivano nella sua testa le prime note dell’internazionale.
Fu con questi sentimenti concitati, e all’interno di un delirio figlio di anni di sconfitte concorsuali che maturò la terribile scelta. Luca Casati saltò a piè pari il confine della legalità e secondo alcuni anche della moralità, per prendere la sua irrevocabile decisione: Lo Spregievole Sperandio doveva morire.