La definizione esatta di autobiografia ce la fornisce il critico francese Philippe Lejeune: l’autobiografia è un “racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità. Ha senso scrivere un’autobiografia solo se si è vissuto un certo numero di anni, se si è molto giovani ha poco senso.
Ma oggi l’autobiografia è un genere letterario poco praticato. Oggi si scrivono piuttosto romanzi autobiografici, che possono contenere anche parti diaristiche ed epistolari (lettere).
Il romanzo autobiografico ha cominciato a diffondersi nei primi del novecento – nei libri cosiddetti modernisti di Svevo (La coscienza di Zeno), Proust (la Recherche), Joyce (Dedalus), Musil (L’uomo senza qualità)… tutti molto influenzati dalla psicanalisi. Il romanzo autobiografico ha conservato poi questa impronta psicanalitica più o meno marcata.
Ma perché scrivere un romanzo autobiografico, a che serve?
Potremmo rispondere che serve a rendere più “vera” la finzione, nel senso che raccontando la propria vita, raccontando se stessi, si sarà precisi nel dettagli, affidabili, concreti… Tuttavia non bisogna adagiarsi troppo sul proprio vissuto, su quei dettagli, bisogna ricordarsi che stai scrivendo comunque un romanzo, che ha delle regole sue proprie per funzionare. Quindi una certa dose di fiction direi che è comunque necessaria pure in una struttura no fiction, per far quadrare i conti, per rendere avvincente ed emozionante la lettura. Per non annoiare il lettore.
Altra cosa è l’autofiction, come forse sapete, che ha tradizionalmente delle regole più rigide: lo scrittore nell’autofiction è il protagonista assoluto della sua narrazione, e si chiama come l’autore, di solito vive nella stessa città, nello stesso quartiere. L’autofiction è stata inglobata nei canoni del postmoderno, – in Italia il romanzo di autofiction per eccellenza è quello fondativo di Walter Siti, (Troppi paradisi, 2006) che ha fatto da apripista in questo genere, che viene praticato, in alcuni romanzi, anche da altri: Renzo Paris, Giuseppe Genna, Tiziano Scarpa, Massimiliano Parente, Scurati… Anche all’estero si scrivono libri di autofiction: David Foster Wallace (Il re Pallido), Coetzee (Tempo d’estate), ecc.
C’è anche il cosiddetto “patto autobiografico” che lo scrittore di autofiction e autobiografie può stringere con il lettore: io ti assicuro che quello che racconto è successo veramente (con verifica dei dati empirici contenuti nel testo).
Ma alcuni scrittori di autofiction dichiarano di fare una sorta di autobiografia camuffata, lo stesso Walter Siti.
Eppure, nonostante tanto scrupolo per la verità, l’autofiction sembra nascere dalla costola dell’antiromanzo – del Nouveau Roman, dalla Neoavanguardia, dello sperimentalismo, – più che da quella del romanzo tradizionale. Nell’autofiction c’è di solito anche una componente di “critica sociale” piuttosto evidente, a proposito della “falsificazione massmediatica”, della “società dominata dalle immagini tecniche e dai simulacri”… Siti spiega, nell’avvertenza a Troppi paradisi, che l’autofiction nei suoi libri è anche una riflessione-interrogazione sul valore etico e politico dell’io “al tempo della fine dell’esperienza e dell’individualità come spot”. “Mi chiamo Walter Siti, come tutti” è l’incipit di Troppi paradisi, perché tutti sono ossessionati dalla propria unicità (Narcisismo).
L’autofiction di solito si interroga sulla forma narrativa che si sta usando, sulla struttura del romanzo che si sta scrivendo. Cioè ha sempre una componente metaletteraria, più o meno marcata.
L’autobiografia deve rispettare gli eventi, deve ricostruire i fatti, e quindi esige un riscontro oggettivo. Per il memoir la memoria, più che ai ricordi reali, è legata all’emozione vissuta e dunque ciò che conta è la verità emotiva, non la verità fattuale. Se l’autobiografia è legata alla verità, il memoir lo è alla verità emotiva. Nel memoir ci si muove in un proprio tempo interiore, gli eventi non vengono ricostruiti nella loro esattezza storica, ma per ciò che hanno significato.
Inventa un personaggio che sia una sintesi di tre o quattro personaggi che conosci e mettilo in scena in una narrazione di autofiction.