Quando Simenon propone il suo primo Maigret all’editore Arthème Fayard, la comparsa del pacifico commissario infrange talmente gli stereotipi dominanti da suscitare la reazione che segue (come riportata da Pierre Assouline, in Simenon biographie. Julliard 1992):
«Mio piccolo Sim… ecco… Non è male, no, non è male…
– Ah, bene.
– Infatti è catastrofico. Impubblicabile!
– Ah…
– Non c’è una storia d’amore, né un personaggio completamente buono o uno del tutto cattivo, né giovani eccezionali, né eroine.»
Simenon, prima di rivolgersi a Fayard, aveva già incassato il rifiuto di altri quattro editori. E in seguito sembra che abbia dovuto insistere più di un anno per convincere Fayard alla pubblicazione.
Una delle caratteristiche di Maigret che contrastano più ferocemente i canoni dell’epoca è la sua bonomia, inconciliabile con la figura del giustiziere. Maigret, infatti, sceglie di non girare quasi mai armato. Non crede nelle sfide sanguinolente al male. Anzi, Maigret non si erge mai neppure a giudice dei colpevoli. «Comprendere e non giudicare». Il perché lo spiega Georges Simenon: «Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti». Maigret, coerente e semplice nella pratica dell’onestà e del rigore, non sente il bisogno di proclamarsi nemico del male e del crimine. Semplicemente, si comporta da uomo e da funzionario coscienzioso. Simenon nel 1961, scriveva: «Maigret è l’elemento cui la realtà reagisce: una specie di elemento chimico che rivela una città, un mondo, una poetica».
Jules Amédée Anthelme Joseph François Maigret entra in polizia interrompendo gli studi di medicina a causa della morte del padre Evariste. Trascorre l’infanzia in un piccolo villaggio di campagna, dove si alza all’alba e prima di andare a scuola, al freddo e al buio, si reca a servire la prima messa come chierichetto. Per tutta la vita rimane un uomo semplice, che ricorda con piacere l’odore d’incenso della sacrestia, il profumo dei campi coltivati. È un uomo «très ordinaire», molto ordinario; ama la buona tavola, ha gusti modesti, ama i piatti popolari e una buona birra gelata. Uomo tranquillo, corpulento, fedele. La solidità di Maigret, l’equilibrio imperturbabile del suo quotidiano, della sua armonia coniugale rappresentano il contrappasso esistenziale ai destini inquieti delle vittime e di quelli che non considera mai del tutto colpevoli. Solo persone portate al limite della propria resistenza. A volte è addirittura un fatto banale, che, sommandosi a infelici esperienze, a mandarli in mille pezzi. È in questi incontri che si rivela l’eccezionalità di Maigret: una prodigiosa intelligenza emotiva. Maigret aspetta il più a lungo possibile prima di formarsi un’opinione, pur di non restare vittima di pregiudizi o di conclusioni sommarie. Non si accontenta di affidarsi all’ acume psicologico e all’istinto: vuole cogliere l’anima dei fatti. Per farlo, si trasforma in una spugna di stati d’animo, sentimenti, segreti pensieri e intenzioni sospese. Non ragiona, non si arrovella: sospende il giudizio e aspetta che la soluzione salga dall’inconscio. “Sta ruminando”, commentano i collaboratori quando lo vedono con lo sguardo assente. Non considera conclusa l’indagine finché non ha portato a termine il percorso morale che gli permette di “incontrare” la fragilità umana del colpevole, quasi sempre prigioniero di impulsi e passioni dolorose, per gli altri ma anche per se stesso. Per questo Simenon ha battezzato Maigret «il riparatore di destini». Perché, mentre raccoglie le confessioni conclusive, Maigret prova profondo rispetto, compassione e tenerezza umana verso chi è capace di riconoscere le proprie responsabilità, assumersi il peso del proprio destino e le conseguenze di un’azione che lo ha condotto oltre il limite.
Simenon, una volta ottenuta la pubblicazione, non confida troppo nell’aiuto degli editori e della stampa, dal cuore poco sensibile alla seduttività di Maigret.
In un’intervista rilasciata a Roger Stephane, Simenon afferma “… Fu una battaglia lanciare Maigret… È stata l’unica volta della mia vita in cui mi sono trovato profondamente coinvolto nell’aspetto commerciale della pubblicazione… Ma sapevo che questa era la mia grande occasione, persa questa ci sarebbero voluti forse altri dieci anni…” E per lanciarlo, crea un evento senza precedenti; e, pur di convincere l’editore Fayard dell’efficacia della trovata, si accolla la metà delle spese:
IL GRANDE BALLO ANTROPOMETRICO
“Il 21 febbraio 1931 presso il famoso club La Boule Blanche al numero 33 di rue Vavin, avrà luogo le Bal Anthropometrique; grande festa a tema in stile decisamente noir.” L’invito alla festa, esteso a organi di stampa, di spettacolo e istituzioni è un mandato di comparizione. Il biglietto d’invito riproduce il fascicolo della polizia del famoso criminale Jules Bonnot. Alle autorità presenti si mescolano cantanti come Damia e Suzy Solidor, gli scrittori Francis Carco, Colette, Armand Salacrou, Marcel Achard, Francis Jeanson, il pittore Kisling e autentici macrò, giocatori d’azzardo, banditi, donne di strada. Le Tout-Paris condivide fino alle sette del mattino la musica di un’orchestra indiavolata e le bevute.
Il 23 febbraio del 1931 Le Figaro sotto il titolo Nuit de Paris – Le Bal anthropométrique, pubblica:
“Dans un établissement de Montparnasse où, d’ordinaire, trois cent martiniquais dansent “la biguine” en débordant dans le vestiaire, plus d’un millier de Parisiens se sont, hier, pressés, bousculés, écrasés, étouffés le plus joyeusement du monde”.
Ed è successo assoluto, di cui si parlerà come dell’evento mondano del secolo.
VOILÀ MAIGRET!
Nella foto sopra la serata del 21 febbraio 1931 alla Boule Blanche di Parigi organizzata per “lanciare” il primo romanzo con protagonista il commissario Maigret