La mia esperienza con Gianni Morandi è scomparso
Scrivere narrativa è come risolvere un rompicapo, è come comporre un puzzle nel quale ogni tassello deve incastrarsi alla perfezione con ciò che viene prima e ciò che viene dopo per concepire un quadro finale d’insieme che abbia valore. È questa la rivelazione più lampante che ho avuto scrivendo il mio romanzo d’esordio, Gianni Morandi è scomparso.
Si pensa spesso che scrivere faccia parte di un processo creativo un po’ bohémien, durante il quale il dio della scrittura si impossessa del nostro animo e ci trasmette il sacro fuoco dell’ispirazione. Ogni tanto questa magia avviene, ogni tanto ci si sente come se dalla mente al foglio non ci fosse nessuna barriera, come se le parole venissero impresse per via telematica su carta o pc, riempiendo senza alcun sforzo pagina dopo pagina.
Per me, invece, scrivere è significato anche fermarmi per ore a fissare il vuoto in cerca della parola adatta, invocare il famoso dio dell’ispirazione, cercare il modo di tessere la trama senza risultare banale o confusionaria, evitare di farmi distrarre dal canto degli uccellini fuori dalla finestra o dal richiamo di un aperitivo dopo lavoro.
Cimentarmi nella stesura di un’opera lunga è stata per me un’impresa di disciplina e fatica che non avrei portato a termine senza la frequentazione di un corso di scrittura. Sapere che settimana dopo settimana avrei dovuto consegnare altri capitoli ai miei insegnanti, avere delle scadenze, sapere che da quelle scadenze e dalla mia capacità di rispettarle sarebbero derivati dei feedback fondamentali per andare avanti con il racconto, mi ha aiutato a trovare un metodo di scrittura.
Sono stata sempre molto timida riguardo a quello che scrivo. Avevo difficoltà a far leggere le mie “creazioni” agli altri, probabilmente per paura di un giudizio, ma anche perché scrivere è tirare fuori ed esporre qualcosa di molto intimo e personale, mettere in luce delle ombre che ci si porta dentro per esorcizzarle con il filtro della narrativa.
Scrivere è un percorso di crescita, di evoluzione, alla fine del quale non si è mai uguali a quando si è iniziato. Per questo l’arrivo della pubblicazione è stato un momento sconvolgente. È successo per caso.
Avevo mandato il manoscritto a varie case editrici, grandi e piccole, senza ricevere riscontri positivi. Poi ho partecipato a un torneo letterario online che si chiama “Io scrittore”, un’iniziativa volta a scoprire e pubblicare nuovi autori della narrativa italiana. Chi si iscrive partecipa sotto pseudonimo in una doppia veste: quella di lettore e di scrittore. Tra i giudicanti c’era il direttore editoriale di GM Libri a cui è piaciuto il mio incipit. E da lì in poi un piccolo sogno terrorizzante si è realizzato.
In effetti c’è molto di me all’interno di Gianni Morandi è scomparso. Come una spugna ho assorbito storie e esperienze di chi mi circonda e le ho mescolate alle mie per trasformarle in qualcosa di nuovo e di drammaticamente appetibile.
Anche perché, l’altra regola fondamentale degli esordienti è “parti da quello che conosci”. Per essere credibili bisogna attingere prima di tutto al proprio bagaglio personale, altrimenti è come cercare all’interno della valigia di qualcun altro un paio di pantaloni che ci calzi a pennello, un maglione del colore che più ci rappresenta, un paio di scarpe che non ci faccia venire i calli ai piedi.
Può succedere, ma secondo il gioco delle probabilità è molto difficile. E se non ci sentiamo noi per primi a nostro agio nei panni di quello che scriviamo, è difficile che i lettori cadano nella nostra tela e si sentano anche loro davvero parte della storia. “Parti da quello che conosci” è una regola che trovo molto affascinante, perché costringe il narratore a viaggiare, a studiare, a scoprire, a provare emozioni, a vivere.
Io sono stata fortunata in questo senso perché il mio lavoro, assistente di produzione, offre tanti spunti narrativi da poter sviluppare. La televisione già di suo è narrazione. Non a caso Gianni Morandi è scomparso racconta il primo giorno di lavoro di Anita Giordano, una giovane assistente di produzione appena assunta dalla Rai.
Anita è la tipica millennial che dopo tanti sacrifici riesce a ottenere il lavoro dei sogni. Ma è anche una ragazza speciale, dotata di un particolare super potere che le donne della sua famiglia si tramandano di generazione in generazione. Si trova ad affrontare così una giornata particolarmente impegnativa, durante la quale non solo scopre gioie e dolori del mondo della televisione, ma si imbatte anche nei retroscena delle vite dei suoi colleghi famosi e non.
Meno di 24 ore ricche di colpi di scena, cuori spezzati, eventi tragicomici, un furto, un’aggressione, la scomparsa di un noto vip, per arrivare alla presa di coscienza finale che non esistono buoni e cattivi, ma persone. Ognuno con la propria vita, a volte generosa, a volte crudele.
Durante il corso di scrittura mi hanno insegnato anche che bisogna tenere in mente una sorta di messaggio finale da trasmettere, una tematica di fondo che poi il lettore può recepire oppure no, è più una chiave di stesura per lo scrittore, un focus da non perdere di vista per tenere sempre la propria bussola narrativa puntata verso un nord.
Il mio “messaggio guida” voleva essere proprio questo: ognuno di noi nasconde dentro di sé una storia che spesso sfugge all’apparenza, a volte dolorosa e traumatica. Ognuno di noi è segnato da un passato che in molti casi continua a portarsi dietro anche nel presente. E prima o poi tocca farci i conti. Magari scrivendo un romanzo.