Patrizio Zurru ha appena pubblicato per la casa editrice Miraggi un libro di racconti di una pagina o poco più (sono 65 come il suo anno di nascita, precisa lui) dal titolo Endecascivoli, che con la sua carica ironica e surreale sembra già un racconto in sé e per sé. Io ho sempre trovato molto interessanti le storie brevi e ne scovo poche in giro tra gli autori di casa nostra (pure se sono una tradizione antica e ricca della letteratura italiana). In più mi piacciono i calembour venati di nostalgica malinconia. Inoltre l’ironia di Zurru non gli impedisce di scambiare con il lettore sguardi che vanno oltre una lettura superficiale e anzi riesce a portarlo dallo stupore al dramma e dal divertimento sottile all’apertura di impreviste finestre da cui scivolare in nuovi universi che potrebbero aprirsi appena oltre quello della nostra vita quotidiana. L’autore stesso sembra scivolare come i suoi racconti sulle onde del mare agitato dell’editoria, visto che oltre a scrivere è stato editore, libraio, agente letterario, ufficio stampa e ora si occupa della comunicazione della casa editrice Arkadia, dove cura la collana SideKar insieme a Mariela e Ivana Peritore. Così mi è sembrato giusto scambiare con lui le solite due chiacchiere domenicali (in genere sono quattro le chiacchiere, ma qui parliamo di racconti brevi e non di romanzi…).
Il lettore incontra subito una citazione da Augusto Monterroso, che fu citato da Calvino nelle sue Lezioni americane. Ti trovi a tuo agio lì, tra la rapidità e la narrazione fantastica?
Questo racconto di Monterroso apre dei mondi con poche parole, mi piacerebbe pensare fosse così anche per i miei, in realtà molto della forma racconto la devo al mio disordine, con la forma lunga rischierei di perdermi.
Il titolo invece è un calembour che richiama il verso poetico, un verso che però sembra non riuscire a contenere tutto quello che vuoi dire e lo lascia scivolare giù. Questo ho pensato, è un po’ folle come lettura?
È la giusta interpretazione, fatto salvo il fatto che più che di poesia lo chiamerei ritmo (o Ritmo, come l’auto Fiat che tutto era tranne auto e tranne ritmo).
Insieme ai racconti il libro contiene delle cornicette che invitano i lettori a disegnare, a scarabocchiare, come si faceva durante le telefonate di una volta (scrivi tu), mi pare un chiaro invito alla creatività del lettore, no?
È pensata come forma di lettura interattiva, ero curioso di sapere cosa può ispirare la lettura, quindi la cornice col bianco lascia la possibilità di sfogarsi, nel bene e nel male.
La leggerezza che insegui però non esclude la malinconia e nemmeno il dramma. Si può dire proprio tutto in poche parole?
Abbiamo uno dei migliori vocabolari al mondo, per quantità di termini. Io credo che incastrati bene, come nel Tetris, ci sia la possibilità di dare densità a piccoli spazi, o almeno ci provo.
La risposta è Si può, sì, volendo si può.
Carbone, miniera, pioggia, terra e odori, che spazio ha nella tua immaginazione la materialità delle cose?
Una presenza predominante, un riappropriarsi di tutto quello che la velocità e i nuovi mezzi ci fanno trascurare, perché ritenuti pesanti o superflui. L’idea di scrivere per odori, colori, sensazioni epidermiche mi ha sempre attirato.
E la nostalgia?
La nostalgia c’è, ma non solo la mia. Racconto la nostalgia dei miei familiari, genitori, fratelli, zii e cugini, per quello che poteva essere perduto. Molti dei racconti sono scritti quasi su commissione, non esplicita ma dettata da mezze frasi riferite a episodi di quei tempi.
Mi ha colpito in uno dei racconti l’apparizione/sparizione di Gigi Riva. Ti appassiona l’epica del quotidiano?
Mi appassiona moltissimo. In quel caso si trattava di un personaggio noto a tutti, e qui si gioca facile, mi interessa come facente parte dell’epica molto di più il tipo in bicicletta con la molletta a tenere il pantalone, la brillantina e la Nazionale senza filtro, un personaggio così ho scoperto essere ben più condiviso nella memoria collettiva, (Almeno, da chi ha più o meno i miei anni).
I racconti sono in prima persona ma, insomma, quanto è vero quello che racconti? Sei sempre tu il protagonista?
Si parte da una base sì vero, ci sono sempre io, più o meno, o qualcuno a cui sono stato particolarmente legato, anche nei racconti “inventati” e alla Big Fish, come la storia del tipo che legava gli spaghi e l’uomo sui trampoli, ci sono nella misura in cui ho raccontato la verosimilità di personaggi realmente esistiti.
Hai mai immaginato un Patrizio Zurru nato in un’altra parte del mondo? Come sarebbe uno Zurru non sardo?
Ho pensato a un Zurru non sardo, e mi è mancata l’isola intorno, come sentirsi nudo senza questo vestito fatto di doppie consonanti, vento e spruzzi di acqua salata.
Lavori da anni nell’editoria, con libri e autori, come la vedi oggi?
C’è una voglia assurda di vedere il proprio libro pubblicato, come se questo potesse contribuire a renderci immortali, non considerando che invece questa quantità enorme di libri che entra in circolo non fa altro che renderci tutti più invisibili, uno sputo nel mare.