Claudia Colaneri conduce laboratori di scrittura collettiva per disabili adulti con ritardo mentale. La sfida consiste nel trattare temi “alti”. Ecco quello che può succedere in un normale incontro:
Le foto servono per ricordo e per farsi vedere belli. Se ti fai fotografare, poi ti ricordi il momento dello scatto; se invece non c’eri, ti ricordi almeno di aver visto la foto.
Prima, le foto si potevano vedere solo se erano già sviluppate; invece adesso le vedi troppo precocemente e le butti via più facilmente. Quando le foto si sviluppavano, potevi invitare le persone a casa per fargliele guardare, invece adesso le invii e non puoi vedere la faccia della persona che guarda la foto.
Ad alcuni non piace essere inquadrati, invece riescono a specchiarsi, perché lo specchio non ricorda. Davanti allo specchio puoi anche stare nudo; davanti alla macchinetta fotografica no, perché poi la foto è capace di girare, mentre lo specchio resta appeso al bagno di casa tua.
Una persona somiglia a se stessa di più in una foto che in un disegno, eppure è più emozionante essere ritratti in un disegno. Una persona che appare in tre foto, si somiglia in tutte e tre; invece se è ritratta da tre pittori diversi, sarà unica in ogni ritratto.
Quasi nessuno di noi ha foto di quando piange o quando sta a letto con l’influenza; di solito il funerale è l’unica cerimonia in cui non c’è il fotografo, perché i momenti brutti non li fotografiamo mai; invece sarebbe utile per capire che sono passati e tenerli chiusi per sempre nell’inquadratura.
Anche se ci facciamo una foto quando siamo tristi, ci sforziamo di sorridere. La macchinetta fotografica più che raccogliere sorrisi, li produce.
Spesso, quando scegliamo le foto da conservare o da pubblicare, scartiamo quelle vere e teniamo quelle che sono venute bene.
Nelle foto venute bene, siamo a fuoco, in posizioni bloccate come le statue.
Nelle foto sulle lapidi, per esempio, sono tutti messi a fuoco. Invece nelle foto sfocate ci siamo noi mentre ci muoviamo e facciamo qualcosa, di solito mentre stiamo vivendo.
La foto è una prova che anche i parenti lontani, ti sono venuti a trovare almeno una volta.
La macchinetta fotografica è come una belva feroce, al solo vederla ci blocchiamo o fuggiamo via.
Alcuni non vogliono essere fotografati, non per paura della macchinetta, ma della propria forma.
Nelle foto, più passano gli anni e più i morti aumentano; eppure, i morti, nelle foto, sono tutti sani.
Le foto sono la prova che ci siamo, non che ci facciamo.