NAM DEM LICHTVERZICHT:
der Bom Botengang helle
hallende Tag.
Die blühselige Botschaft,
schriller und schriller,
findet zum blutenden Ohr.
DOPO LA RINUNCIA ALLA LUCE:
il giorno chiaro, risonante
del passo di un nunzio.
L’annuncio lieto in fiore,
via via più acuto,
trova l’orecchio sanguinante.
C’è un racconto di George Steiner che trovo sconvolgente, che mi ha rapito l’anima: è Dialogo delle ceneri. Il racconto si presenta come una discussione teologica ma è soprattutto l’identità di chi parla a sorprendere, e appare lampante solo a racconto letto, con un colpo al cuore che io rinnovo spesso rileggendo il racconto – letto la prima volta nel 1992, poi riletto infinite volte, nel numero 1 di una rivista durata poco benché fosse eccezionale: IL RACCONTO.
Le ceneri dialogano su temi teologici. Sono ceneri non ancora o già ceneri di chi è passato per il camino e le cui voci tentano risposte a quesiti teologici volate nel vento (Guccini e Dylan hanno dialogato in musica proprio su questo).
Bene, Paul Celan, a detta di Andrea Zanzotto, “non solo ha scritto poesia dopo Auschwitz” ma ha scritto “dentro queste ceneri” ed è arrivato “a un’altra poesia piegando questo annichilimento assoluto pur rimanendo in certo modo nell’annichimento”. Lo scrive, Zanzotto, in un saggio che conclude un ‘gransasso’ Nottetempo curato da Dario Borso, “Paul Celan. Poesie sparse pubblicate in vita” del 2011 con immagine di copertina di Giosetta Fioroni. Il volumetto traspone in italiano il suo originale tedesco.
ÜBER DIE KÖPF
hinweggewuchtet
das Zeichen traumstark entbrannt
am Ort, den es nannte.
Jetzt:
Mit dem Sandblatt winken,
bis der Himmel
raucht.
OLTRE LE TESTE
scaraventato
il segno, per forza di sogno acceso
nel luogo che nominò.
Ora:
con la foglia di tabacco salutare
finché il cielo
fuma.
ANGEFOCHTENER STEIN
grüngrau, entlassen
ins Enge.
Enthökerte Glutmonde
leuchten
das Kleinstück Welt aus:
In den Gedächtnislücken
stehn die eugenmächtigen Kerzen
und sprechen Gewalt zu.
PIETRA COMPRESSA,
verdegrigia, libera
in poco spazio.
Lune tonde roventi
illuminano
il pezzetto di mondo:
questo eri dunque
anche.
Nei vuoti di memoria
stanno i ceri sovrani
e assegnano potere.
Parlando di Paul Celan nel suo saggio finale in coda a questo piccolo volume con testo a fronte, Andrea Zanzotto usa subito proprio l’aggettivo “sconvolgente”: cosa trova sconvolgente Zanzotto nella poesia di Celan? Il fatto che il poeta (rumeno di origine ebraica e tra i maggiori a scrivere in lingua tedesca, poi vissuto e morto a Parigi a 50 anni nel1970, tanto che spesso il suo nome è pronunciato in francese) “aveva sempre avuto la consapevolezza che quanto più il suo linguaggio avanzava, tanto più era destinato a non significare; l’uomo per lui aveva già cessato di esistere”. L’idea è che la poesia per virtù di linguaggio abbia il compito di rovesciare la Storia, di cambiarla di segno, ma tutto si risolve, dice Zanzotto, in “una feroce, insaziabile negazione”.
AUCH WIR WOLLEN SEIN,
wo die Zeit das Schwellenwort spricht,
das Tausendjahr jung aus dem Schnee steigt,
das wandernde Aug
ausruht im eignen Erstaunen
und Hütte un Stern
nachbarlich stehn in der Bläue,
als wäre der Weg schon durchmessen.
PURE NOI VOGLIAMO ESSERE,
dove il tempo dice la parola-limine
che giovane di mille anni sale dalla neve,
l’occhio vagante
sosta nel proprio stupirsi
e baita e stella
stanno nel blu come due vicini,
quasi la via fosse già percorsa.
ABZÄHLREIME
Ich bin groß, du bist das Küken,
Hihihimmel, sollst dich bücken,
Muß mir meine Schputniks Pflücken.
Erst der gelbe
Dann derselbe,
Dann der schwarze
Mir der Warze.
Außerdem frißt uns die Katze.
Außerdem und Innerdem,
Polikarp und Polyphem,
Russruss, Landam, Erika
Und der ganze Laden da –
Wozu – Weil – Jaweilwozu
Hättenhätten wirdennruh.
CONTA
Sono grande, sei il pulcino,
Cieciecielo, fa’ un inchino,
Colgo scputnik qui vicino.
Prima il giallo
Poi uno uguale,
Dopo il nero
Che non vale.
In più ci mangia il gatto.
Oppure, e non è meno,
Policarpo e Polifemo…
Russiam, sogniam, Erica,
La Russia con l’America! –
A qual pro? Perchepoiché
Avrevremmo un’epochè.
Dicevo nella scorsa puntata del silenzio punteggiato da pochissimi componimenti come scelta del poeta Avraham Sonne (Abraham ben Yitzhak). Nel caso di Celan prevale una forma di ammutolimento, Zanzotto parla di “consapevole portarsi verso la mitezza, […] qualcosa di diverso dal silenzio”: un approdo paradossale che deriva proprio dal “braccio di ferro” intrapreso col linguaggio che è alleato e oppositore insieme. Tutto si forma, si compone per scivolare infine nel mutismo. Ancora Zanzotto, “Egli aggruma e smembra le parole, crea numerosi e impennati neologismi, sovverte la sintassi” senza distruggerne i fondamenti, “usa fino alle estreme latenze il proprio sistema linguistico, il tedesco.” Su Paul Celan, Nelly Sachs (poetessa insignita del Nobel nel 1966) ha detto, “-Benedetto da Bach e da Hölderlin, Benedetto dai Chassidim”. Così dicendo la Sachs pone il problema dei problemi. Il tema del riconoscimento che dopotutto pone anche il tema della riconoscenza. Al contrario, Heidegger, proprio in filosofo del Dasein, dà a Celan la più cocente delusione. Ne leggiamo nel poemetto che segue dedicato alla località montana dove il filosofo si recava regolarmente e dove Paul Celan lo incrociò nel 1967.
TODTNAUBERG
(da Lichtzwang – fotocostrizione – volume apparso pochi mesi dopo la morte del poeta nel 1970)
Arnika, Augentrost, der
Trunk aus dem Brunnen mit dem
Sternwürfel drauf,
in der
Hütte,
die in das Buch
– wessen Namen nahms auf
vor dem meinen? –
die in dies Buch
geschriebene Zeile von
einer Hoffnung, heute,
auf eines Denkenden
kommendes
Wort
im Herzen,
Waldwasen, uneingeebnet,
Orchis und Orchis, einzeln,
Krudes, später, im Fahren
deutlich,
der uns fährt, der Mensch,
der’s mit anhört,
die halbbeschrittenen
Knüppelpfade
im Hochmoor,
Feuchtes,
viel.
Arnica, eufrasia
e un sorso dalla fontana
che ha la stella in cima
poi
nella Hütte
e scrivere nel quaderno
che i nomi accolse di chi
avanti il mio? (e lo so, lo so,
ma solo accennando riesco a dire
e poso la punta della penna
sull’enorme bianco
e solchi traccio
sullo stesso territorio
già dagli assassini arato
orrore e ribrezzo in me)
nel quaderno
un rigo scrivere per
una speranza, oggi,
nella parola (coraggiosa e di riscatto)
che verrà, venga detta
da un uomo di pensiero.
poi
radure, non spianate,
orchidee ed orchidee, isolate,
parole crude (pronuncio i nomi, precisi e irrimediabili:
fascismo, sterminio, forno crematorio)
più tardi, in auto,
e chiare
l’uomo che ci accompagna
ascolta (testimone, egli
ode bene l’affermazione:
voglio che il filosofo
ammetta la propria colpa
ch’egli dichiari che il pensiero
non seppe
che il pensiero non volle salvare
i milioni).
percorsi a mezzo
i viottoli di tronchi
nella torbiera gonfia,
umidità (forse lacrime annodate in gola)
molta.
[Traduzione di Antonio Devicienti]
Come ha sempre rinfacciato Hannah Arendt, allieva affettuosa, al vecchio filosofo, Heidegger non ha mai ritrattato la propria simpatia per il nazismo, non se ne è mai dissociato. E anche nel corso del colloquio a Todtnauberg, Celan non ebbe mai il conforto di una parola in proposito da Heidegger. Di fronte a questo, benché baciato da tutto il talento poetico della Terra, Paul Celan ha lentamente ceduto al progressivo ammutolimento, a un mutismo tanto più tragico quanto più dentro di sé la voce di Celan è rimasta indomita.
VOM HOCHSEIL herab-
gezwungen, ermißt du,
was zu gewärtigen ist
von soviel Gaben,
Käsig-weißes Gesicht
dessen, der über uns herfällt,
Setz die Leuchtzeiger ein, die Leucht-
ziffern,
Sogleich, nach Menscenart,
mischt sich das Dunkel hinzu,
das du herauserkennst
aus all diesen
un ußfertigen, unbotmäßigen
Spielen.
COSTRETTO GIÙ dall’alta
fine, valuti
cosa ci sia da attendersi
da tanti doni,
Viso bianco-formaggio
di chi ci salta addosso,
Aziona le lancette luminose, le luminose
cifre!
Alla maniera umana, presto
si mischia il buio,
che distingui
da tutti questi
impenitenti, impertinenti
giochi.