TUTTO MAGRELLI

La lunga pratica della poesia come funzione del pensiero e della fisiologia esistenziale

Comincio con una non avara somministrazione di versi:

[da: DISTURBI DEL SISTEMA BINARIO (Einaudi 2006)

Prima Parte: Nella tribù]

LA GUACE

I.

Acqua salmastra, né dolce né salata,

bensì salata e dolce.

È quanto accade quando i fiumi

della guerra e della pace

si gettano in un unico acquitrino,

in una stagnazione della vita

infestata di morte,

in una effervescenza della morte

inquinata di vita.


II.

La porta del Tempio di Giano

e diventata quella di Duchamp,

aperta e chiusa insieme:

non serve più a tenere fuori i mostri,

ma nemmeno ad accoglierli.

Nota. Dicesi “guace” la confusa mescolanza di guerra e pace caratteristica della nostra epoca.

CORO SULLA LEGALITÀ

Legalità è legittima se lega il forte,

se tutela il debole.

È il nodo che scioglie l’umano

legandone i legami.

Non c’è legalità fuori da quel legame

dove si stringe per meglio liberare.

[Soluzione: bipolarismo italiano]

LA LINGUA ANTROPOFAGA

Annotando su un quaderno parole inglesi

come si annota su un pezzo di carta l’indi-

rizzo di una persona da cui si è certi che

non si andrà mai.

V. NABOKOV

Un giorno l’Inglese bussò alla mia porta:

“Fammi entrare”, diceva: “Ma sei già in casa”,

risposi. Lui si sedette

e disse: “Parlami”. “Ti sto parlando”,

feci. Allora lui: “Allora scrivimi”.

Fu lì che lo implorai che se ne andasse.

Io non sapevo scriverlo,

non volevo: “Non divorarmi”,

lo imploravo: “Lasciami”.

Ma insisteva: “Sarò il tuo

ventriloquio”. Io vomitai

e vomitai che non volevo. Ah ah,

he smiled, and then he went away.


11 settembre 2001

Il nostro sonno, oggi,

sarà un compito in classe.

Tema: noi torce.

Svolgimento: ognuno

covi, dormendo, la sua fiamma, accesa

al fuoco morto del televisore.


12 settembre 2001

Amo il cartone bianco

che tiene in piega le camicie

nuove dentro le loro confezioni in plastica


LA SEDUTA

I.

Come un radiante, immenso

mostro psicanalitico,

mia madre, Medusa omeopatica,

sorgeva da dietro la porta circonfusa di strali,

Madonna dei Sette Dolori,

Signora delle Spade.

[…] ora, con i miei versi-aghi,

dovrei fare qualcosa di simile

per praticare una poesia civile.

Gioco al dottore, aprendo

la ticchettante scatolina di

banderillas analgesiche,

e vado a cominciare.

IV.

”Sono costretto ad accettare l’idea del lavoro

come necessità materiale,” […]

[…] È vero, eppure non c’è via d’uscita,

e il diritto al dovere rimane

la sola forma di uguaglianza possibile

fra le vittime,

dicono i miei aghi

mentre li sfilo uno a uno per riporli

dentro l’astuccio dei ricordi medici.

Un primo punto, su Valerio Magrelli, lo facemmo, come redazione della rivista OMERO, allora fresca e cartacea, forse nel ’94, nell’Aula Magna della John Cabot University, Roma Trastevere – ci stavamo dentro con più di un piede perché Pietro Pedace amatissimo ci teneva dei corsi di scrittura. Valerio era presente, e poté crogiolarsi nella viva attenzione dedicata alla sua poesia, matura fin da subito e ancor più in quel giro d’anni. All’esordio con ORA SERRATA RETINAE (Feltrinelli 1980) era seguito NATURE E VENATURE (1987) e nel ’92 ESERCIZI DI TIPTOLOGIA (entrambe raccolte Mondadori), a conferma di una potenza di fuoco in versi, per la verità giocata, da un lato, su funambolismi e affondi, e su eleganza e sobrio dettato, e dall’altro su spruzzi d’acido, con invenzioni in punta di lingua e con fermo calcolo logico, che hanno nella clinica e nel gergo medico i propri punti di forza, soprattutto i propri serbatoi elettivi. Un trionfo d’intelligenza, una festa per l’intelletto. Gelo e schermo?

[da: DISTURBI DEL SISTEMA BINARIO (Einaudi 2006)

Seconda Parte: La volontà buona]

I. CRONACHE DAL PIEMONTE

La linea di mio padre:

gli ossuti, gli afflitti, i consunti,

ecco metà del mio sangue,

il fantasma di cui sono il lenzuolo.

Magri Magrelli, [come Maga Maghella, ndr]

astucci pelle e ossa

tessuti su un telaio portentoso

di nervi, un traliccio di scorra,

ira, ira,

e tutto un zig-zag di tragedia

sul Nulla – Ciociaria [ci sono anch’io!, ndr],

terra cava da cui sorsero Loro,

splenetici [ecco Baudelaire/Poe, ndr] profeti dell’angoscia

venuti dal deserto in vestaglie di lana

con erbe amare,

anatemi, scongiuri.

II.

Un padre, un essere sacro, un re

S. BELLOW

Un padre, […] un male necessario

J. JOYCE

È immagine di poesia, la figura

paterna che si nutre di me,

la tenia che divora da dentro la mia vita?

Immagine di poesia è la figura

di mio figlio, che beve proteso

verso il rubinetto alzandosi

su un piede, mentre l’altra gamba,

prodigio della statica,

distesa oscilla in aria, contrappeso

magico per bilanciare la sete.

Avessi anch’io la sua grazia

nell’equilibrare la fame

di chi dentro di me

si sporge e mi dilania!


III.

Vecchiaia – inizia il Grande Mimetismo,

divento sempre più simile a mio padre.

Giacinto, ti raggiungo!

disco che mi colpisce per farmi uguale a te.

Volto, gesti, inflessioni, andatura:

torno all’originale,

semplice applicazione di un programma.

O forse mi travesto per salvarmi,

barricato nel suo recinto genetico.

Da quale predatore sto fuggendo,

per abdicare al mio aspetto?

(Il modo in cui dico: “Davvero?”,

sentendomi doppiato, parlato da una voce che è la sua).

Vecchiaia – l’invasione si avvicina.

Non so se potrò ancora firmare col mio nome.


APPENDICE

Innocenti

Ecco il segreto dell’anatra-lepre:

come essere colpevoli

rimanendo innocenti.


OTTICA

Illeggibilità di questo mondo. Tutto è doppio.

P. CELAN

Possibile che in tutto questo tempo

abbia fissato il disegno dell’anatra

senza vedere la lepre?

Provavo a spiegare il concetto d’inganno

in termini morali,

mentre ero vittima di un paradosso visivo.

Mi accanivo sull’Etica,

quando il problema riguardava l’Ottica.

In realtà lo dimezzano

Esseri doppi popolano il mondo.

Sembra che lo raddoppino,

in realtà lo dimezzano

GUARDA DALL’ALTRA PARTE

Domanda: e cosa accade quando

un’anatra-lepre si guarda allo specchio?

Chi vede? O meglio,

visto che appare prima l’anatra,

vedrà spuntare il suo secondo profilo?

Sarà cosciente d’essere una creatura doppia?

Purtroppo no, poiché,

grazie a un apposito commutatore neurologico,

non c’è passaggio tra le due metà:

Jekyll e Iago esistono soltanto nelle fiabe.

Questa specie di mostri disconosce

la sua parte mostruosa,

senza che possa esistere agnizione.

La crudeltà dell’anatra appartiene alla lepre,

che infatti,, non a caso, guarda dall’altra parte.

LA QUIETA SUPERFICIE?

La Parola rimbalza sull’acqua,

arriva fino a dodici saltelli.

Complimenti! Ma cosa sa del buio

sottostante, la quieta superficie?

Soprattutto analizzando i testi del primo Magrelli e ragionandoci sopra criticamente, e esaminando forse il testo di Magrelli più noto [tratto da ORA SERRATA RETINAE (Feltrinelli 1980)]:

Io abito il mio cervello

Come un tranquillo possidente le sue terre.

Per tutto il giorno il mio lavoro

È nel farle fruttare,

Il mio frutto nel farle lavorare.

E prima di dormire

Mi affaccio a guardarle

Con il pudore dell’uomo

Per la sua immagine.

Il mio cervello abita in me

Come un tranquillo possidente le sue terre.

– la giusta lettura è, concordo, il raffreddamento di ogni scarto emotivo o anche solo umano grazie al governo e alla sorveglianza logica del cervello che strenuamente si adopera per tacitare il ribollire dei sentimenti o anche solo delle reazioni a ciò che circonda questo albergo del super-io nel mondo.

In questo testo è evidente un andamento circolare, proprio una chiusura del cerchio, che riafferma la reciproca proprietà tra l’io e il cervello, e l’azione di sostegno dell’uno a favore dell’altro. Un’idea di tranquillità, sorta di latifondismo intellettuale, non incrinata ma compiaciuta in quello specchiarsi che è il risultato di un affacciarsi. Questo tema come abbiamo visto nei passaggi riportati prima è stato un tema ricorrente lungo la produzione di Magrelli fin qui, con uno sviluppo sorprendente, come abbiamo visto. E la linea di sviluppo è consistita proprio nello sconfessa mento dello starsene asserragliato e nell’aver dato corda proprio al microscopico ma già presente desiderio di andare a cercare il proprio sé fuori da sé e affrontare il mondo per finire a tornare in se stesso.

Come?

Con le armi della scrittura e con la forza della cultura, radicata nella tradizione letteraria sconfinata che emerge ovunque: nel tessuto dei propri versi e negli exerga in cui il poeta inscena un colloquio fraterno con i classici e con i fratelli poeti e filosofi, soprattutto i francesi (Magrelli è docente di letteratura francese, e ha insegnato a lungo all’Università di Cassino: abbiamo Cassino in comune).

Dunque questo esercizio della ragione, questa attivazione automatica del cervello, spargerebbe gelo e controllo su tutto: questo velo iperrazionalistico provvederebbe, a quanto pare, a tenere a bada la paura. Può darsi che questa sia la condizione dell’uomo selvatico, mai abbastanza corretta dal progredire e lo svilupparsi della civiltà, o anche solo dal passare del tempo, da una evoluzione inesorabile.

Da tutta la produzione poetica di Valerio Magrelli (ora riunita nel volume Einaudi LE CAVIE – Poesie 1980–2018), più che un continuativo e accorto raggelamento della paura, mi pare emerga una posizione, razionalistica, certo, rispetto alla ribollente, torno a dire, materia del vivere. Ma nel ferreo e ironico, a volte amaro, esercizio logico (l’uso dell’istituto del sillogismo, ad esempio, o della spiazzante evidenza numerica dei dati che incidono sulle nostre vite, nella tagliente accortezza chirurgica con cui Magrelli solleva gli strati e i tessuti con maestria autoptica), mi pare ci sia una formula di interpretazione. All’ironia contribuiscono l’arguzia e il gioco linguistico, e la pesca miracolosa di strumenti e materiali dalle fonti più varie, non per freddo calcolo stilistico, ma per ampiezza di sguardo e visione civile. L’ironia perciò non è una forma gelida di scherno, e non è uno schermo cioè una lieve corazza di difesa, è semmai un modo di leggere il mondo e pensarlo, Mi pare che l’atteggiamento di Valerio Magrelli sia di distacco e di esercizio critico ma non di cinismo. Magrelli è un uomo avveduto, un intellettuale di grande sapienza: nella sua posizione di poeta, mi pare abbia l’approccio di Myskyn, il principe dostoevskijano. Come Myskyn, il poeta ha una capacità smagata – fanciullesca? – di conoscere il mondo, di intuire e sondare la verità: il poeta, una volta che la conosce, non può più prescindere dalla verità, ormai ha ‘visto’, ormai ‘sa’, e non può che tallonarla.

SORVEGLIARLA! Basta leggere IL SANGUE AMARO (Einaudi 2014) e IL COMMISSARIO MAGRELLI (Einaudi 2018) – ma tanto ora è tutto nel volume unico LE CAVIE – per vedere il poeta Magrelli oramai sulle tracce dei crimini contro l’umanità e la giustizia, tuttavia divertito e disgustato insieme dalla casistica di ingiurie comminate ai danni dell’umanità: il commissario Magrelli annota, non senza effetti emetici, una serie di casi scritti come soggetti di puntata di una serie poliziesca. Il dettato, anche in IL SANGUE AMARO, è sempre sorvegliato e arguto, intento a documentare:

L’INCESSANTE BRUSIO UNIVERSALE

L’incessante brusio universale, ho letto,

e subito capito cosa significasse.

Perché lo sento sempre, il cicaleccio

talamo-corticale,

un cinguettio da voliera,

e gridano, gridano, gridano,

milioni di sinapsi,

in attesa del cibo che gli porto,

che gli devo portare.

Aspettano i pensieri, i miei pensieri,

e gli si azzuffano intorno

quando lascio la gabbia

in un frullare di impulsi elettrostatici.

[da IL SANGUE AMARO (OTOBIOGRAFIA) – Einaudi 2014]

Chiudo dicendo che il titolo del volume unico, CAVIE, gioca su due significati: l’umanità come cavia dell’esistenza rispetto ai cui effetti, tolta di mezzo la reazione emetica apertamente indicata, sempre l’uomo-poeta conserva uno sguardo stupito ma non instupidito; e i testi come cavie, esperimenti di indagine, condotta con criteri scientifici, classificatorii, anatomopatologici, col bisturi in mano e il vetrino pronto per un’analisi spietata.

Nella breve introduzione a CAVIE [“quarant’anni di poesia alla ricerca di un passaggio tra sperimentazione e comunicazione”], lo stesso Magrelli si autoanalizza e segnala i due fatti di fondo avvenuti nell’arco dell’intera produzione poetica: “la pratica della prosa [all’interno della produzione in versi, e poi come opere separate, ndr] e l’impiego della strofa”. Personalmente vorrei riconoscergli la lunga pratica della poesia come funzione del pensiero e della fisiologia esistenziale, e indicare i passaggi (da lui stesso identificati) dalla meditazione alla tecnologia e alla patologia, e poi a una poesia di tono civile, per una “autentica ortopedia civica”.

NEL CIRCUITO SANGUIGNO

È come nel sistema circolatorio:

il sangue è sempre lo stesso,

ma prima va, poi viene.

Noi lo chiamiamo odio, ma è solo sofferenza,

la vena che riporta

il dono delle arterie alla partenza.

[da IL SANGUE AMARO (sezione finale con lo stesso titolo – Einaudi 2014]

XXXV.

Il patrigno del medico,

amante del dentista,

elimina l’ostetrica,

sua nuora,

per diventare erede

di otto cliniche.

L’occhiuto commissario, tuttavia,

trova tracce di pentotal

sui leggins della vittima

risolvendo la trama


LXV.

Il nipote dell’hacker,

ospite del subacqueo,

soffoca il pony express,

suo lontano parente,

per diventare erede

di un impianto sportivo.

L’arguto commissario, tuttavia,

trova tracce di cookies

nelle app della vittima

risolvendo la trama.

[un paio di gustosi CASI tratti da IL COMMISSARIO MAGRELLI – Einaudi, 2018]

-Il cinismo della vita guardato senza infingimenti e sintetizzato con arguzia = versi civici.

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