Avevo già deciso che quanto prima in questa mini rassegna online di poeti e poesia vi avrei fatto conoscere Margherita Rimi, e l’arrivo proprio in questi giorni di un prezioso pacchetto col dono della sua raccolta più recente, Le Voci Dei Bambini (Mursia 2019), mi spinge a farlo subito, e con grande felicità.
Non vorrei ingannarvi lettori e lettrici, il testo in questione e l’autrice non c’entrano con una illusione di poesia come gioco, e con un ipotetico tono infantile dell’assunto e del dettato.
Al contrario. Con questo libro e con questa voce plurale siamo in una zona profonda e densa – in un altrove, direbbero i bravi commentatori, che è a due passi, dietro l’angolo, sotto i nostri occhi, nelle nostre orecchie, da cui non ci è possibile distogliere attenzione e pensiero.
IL DIO DEI BAMBINI
Dicono che esiste un Dio dei bambini
Sono sicura che esiste.
Il Dio dei bambini
che non cancella le loro parole
che non dice che sono bugie
[…]
Dio dei bambini se esisti ti racconto una storia
[…]
Di quello che ho visto
posso farti un disegno
Di quello che hanno fatto i grandi …
Questo è l’antefatto della raccolta, il suo proemio.
Qui l’adulto tecnico e amico, la stessa Rimi, neuropsichiatra infantile specializzata nel trattare bambini abusati o difficili, con disturbi psichici o dell’apprendimento, rivolge l’invocazione a un Dio assente e chissà se esistente: lo fa perché raccoglie su di sé il compito di non tradirli più, di ascoltarli il più possibile, e condivide con loro, in tutta evidenza, la dolente ricostruzione dei loro traumi, dei loro abbandoni, dei tradimenti che hanno subito, trovando un terreno comune, disegnare storie, e scambiando un patrimonio linguistico, una koinè dialettica in cui la dignità del fanciullo sia di nuovo riconosciuta e possa essere ancora ricondotta a una attendibilità, magra compensazione di innocenze per sempre brutalizzate.
Il libro di cui vi sto parlando, ripeto Le Voci Dei Bambini (Mursia 2019) di Margherita Rimi, è diviso in sezioni: è così vero che il racconto, la storia ricostruita, assume senso attraverso il disegno, ingenuo e veritiero, e le sezioni portano il nome dei colori – BIANCO, NERO, BLU, ROSSO, VERDE.
BIANCO
Facciamo un disegno
tutto vero se vuoi
o tutto inventato
o tutto cosìcosì
****
Ora io poi tu
dobbiamo diventare un racconto
facciamo la rincorsa
dobbiamo diventare grandi
***
Siamo arrivati qui:
se trovi la paura non trovi la parola
Una paura per dirla tutta deve avere un nome
Proviamo a chi gli mette il nome
Se c’è un nome
io posso già chiamare
Se c’è un nome
insieme
Possiamo. Raccontare
Le sezioni esplorano le diverse esperienze che hanno violato i bambini e li hanno isolati: bambini abusati, bambini nella guerra, bambini schiavi, le spose bambine, il turismo sessuale. Questa raccolta non solo riporta il racconto in diretta di esperienze estreme ma adotta la difficoltà di parola come strumento della sofferente espressione di simili realtà.
Il miracolo che avviene non sta solo nella rarefazione del linguaggio, in cui già Margherita Rimi si era cimentata trovando un arco espressivo e una scrittura testimoniale in grado di liberare una gamma infinita di campionature (come già ho avuto modo di dire altrove), ma, come la Rimi ha già dimostrato nei suoi testi precedenti, ancor più in questo testo avviene uno scambio, emerge e si instaura un terreno comune il cui la poeta–medico dialoga con i suoi bambini sintonizzandosi sulla lingua spietata e franca dell’infanzia. Per esempio:
[…] altoalto, troppo alto (il sole), oppure
[…] vicinovicino, troppo vicino (l’arcobaleno)
In Le Voci Dei Bambini interviene persino la freddezza del perito settore, c’è un grado ulteriore nello scivolamento della poesia dentro l’astuccio ben definito della sua funzione civile. È la stessa Margherita Rimi a dircelo in una raccolta di Contributi su poesia e infanzia intitolata Una lingua non basta (People&Humanities, Palermo 2018): «In passato mi chiedevo come mai il linguaggio scientifico emergesse solo in parte nei miei testi. […] Poi maturando la mia esperienza umana e professionale, si evolveva anche la mia esperienza poetico-linguistica. Lo scambio tra sapere medico-scientifico, psichiatrico e la poesia si è fatto più intenso, si è fatto dialogo e ricerca di verità, conoscenza, sentimento, senso di stare al mondo». La grandiosità di questo libro sta nel coro angelico delle voci che compongono questo canto mesto e sincero, il suo stridere con le voci adulte testimoniate senza risparmio, il suo trovare una corrispondenza amorosa, paziente e disponibile nella voce della poeta-medico. Spesso leggendo mi è parso di sentire destarsi certe canzoni ebraiche di bambini in così terribile antitesi con la loro eliminazione, e mi è parso di risentire pure il sommesso controcanto che scorre sotto il testo in primo piano di un racconto di George Steiner mai abbastanza letto (io l’ho letto decine di volte, e le voci di sottofondo ogni volta grattano ulteriori posizioni nel tentativo di guadagnarsi il primo piano), Dialogo delle Ceneri.
Non solo di poesia si tratta, ma di poesia alta.
Margherita Rimi, Le Voci Dei Bambini (Mursia 2019).