In autobus con mia madre e mio padre, io, sette anni, per rincuorarmi, canto dentro di me “chi sei tu non lo so ma nei miei sogni sempre ti avrò, sei come un’atmosfera che dona un bivido bu” brivido blu non riesco a dirlo. Odore di alcol, di disinfettante, lo sento dentro insieme alla canzone. Mia sorella è ricoverata alla Clinica Italia. Domani torneremo a trovarla.
Mattina di inverno, scuola elementare Umberto I. Ho paura, come ogni mattina, ma non lo dico. Prima di uscire bevo il caffellatte che mi dà mia madre. Pochi minuti e vado in bagno e lo rigetto. Porto a scuola con me il sentore aspro del latte e della scuola. Rifiutati. Una volta di più.
Mi hanno regalato un album da riempire di figurine. Bellissimo. Ansia di trovare le figurine che ancora non ho e di sentire aprendo la bustina il profumo che emana. È quello de “Il giro del mondo in 80 giorni”. Per sempre.
Mandarini, aghi di pino scaldati dal tepore di casa, piccoli dolci siciliani di mandorla, vapore di liquore Aurum dal bicchiere. Profumo di Natale.
Con mia madre andiamo alla scuola delle Pie Venerine. Aspettiamo nel chiostro. È mia sorella che esce da una nuvola di gigli e incenso, mescolati.
Percorriamo un viale e anche il tiglio ci accompagna nel ritorno a casa.
Viaggio in Egitto. Si sbarca a Port Said e poi al Cairo. Hotel Continental dominato dalla luce fredda. Tutto è blu. A tavola siamo serviti da nubiani, alti, serissimi. Un nubiano dormirà fuori dalla nostra porta, per terra. Dal pavimento, dal letto mi arriva un aria fredda, sconosciuta, estranea, come la luce. Appena verrà spenta respiro il desidero di essere da mia nonna, al sicuro, circondata dal profumo di bucato, di cucinato, di cassapanche che ho ancora qui con me nella mia casa. Le apro e c’è mia nonna.
Giriamo per i meandri dell’Al Kalili Bazar. Nell’aria spezie, pellame, tabacco aromatizzato alla frutta, bottigliette aperte di essenze che evaporano al caldo, sudori e polvere, afrori di un altro popolo.
Cammino per un vicolo romano, tardo pomeriggio, quasi sera, d’estate. Dalle mura dei palazzetti, dai sanpietrini sale la calura del giorno trascorso. Scia di profumo intenso di una signora che passa, sterco lasciato dal cavallo del carabiniere che va verso Fontana di Trevi. Sono di nuovo all’Al Kalili Bazar. In un attimo.
Il mio primo ragazzo. Usa il Proraso. Sa di buono, di pulito, ma la sua anima è sporca e sporcherà anche la mia.
Gli chiedo un appuntamento 45 anni dopo in una sala del Grand Hotel. Accetta, forse pensa a un revival. Arrivo per prima, appositamente, e chiedo un caffè americano lungo, non bollente. La tazza è sul tavolo. Io sono pronta, mi sono preparata, ho tutto chiaro in testa. Arriva si siede. Parlo. Parola, dopo parola, ognuna feroce, per ferire. Mi guarda immobile. Non parla per tutto il tempo. Ho finito. Mi alzo prendo la tazza di caffè e gliela verso addosso. Lo lascio impietrito. Esco dalla sala in una nuvola di caffè americano. Corretto. Di vendetta.
Mia madre è in dialisi. Tre volte a settimana. Le si sono aperte delle ulcere alle gambe che non si chiudono ed emanano un odore forte di infetto. “Non senti che puzza?” “No, mamma, non si sente nulla”. Mia madre non c’è più.
Vado a cena da Cristina. La mamma è diabetica. A tavola mi siedo accanto a lei e mi arriva quell’afrore tremendo. Mi sforzo di mangiare. Non importa ho di nuovo mia madre vicino a me.
Mio padre va in bagno e chiude la porta. Poco dopo esce. Passano pochi minuti, devo andarci anch’io. La finestra è chiusa e non c’è nessun odore. Non ne lascia mai. Non mi è mai venuto in mente di dirglielo. Forse gli avrebbe fatto piacere. Di sicuro mi avrebbe risposto con un sorriso ironico “gli inglesi sono persone discrete. In tutto”.
Un uomo nudo accanto a me sul letto. Ha 20 anni più di me. “La tua pancia sa di pane raffermo” dico. “Non è un complimento” risponde. “Colpa dei miei recettori olfattivi”.
Non era amore, non era passione. Odore di abitudine.
Lavoro in ufficio con Maria Venturini. Ha la mia età, 60 anni. Rigida, sorride raramente. L’addolcisce solo Mitzuko. Lo porta da quando era giovane. Deve esserle entrato nelle ossa.
“Hai visto Maria?”chiede una giovane collega.
“Segui Mitzuko” rispondo. “Come?” “Mitzuko. Di Guerlain.” specifico. Scuote la testa e va via. Anche il profumo può dividere una generazione.
“Il giardino della casa al Circeo è delimitato da siepi di gelsomini. Quel profumo è inebriante, non mi stanco mai di respirarlo”
“Non si chiamano gelsomini ma rincosperma” rispondo. Il mio compagno ride birichino a quel nome botanico bizzarro e alludente.
Una settimana dopo pianto sul mio terrazzo due piante fiorite di rincosperma. Sono per lui. Segno di amore.
Scambio di case. Noi a Londra in una villetta di Hampstead e le due proprietarie nel nostro appartamento a Roma. La loro libreria ha due ripiani pieni di gialli di Agatha Christie, la mia passione di quel tempo. Li annuso, hanno un odore di intrighi e omicidi della vecchia campagna inglese.
Amo il mio cane, razza canile comunale. I suoi occhi sanno cosa penso e il suo tartufo segue sempre il mio odore. Anch’io sento il suo, quello dei cuscinetti delle sue zampe. Sanno di formaggio e mi ispirano tenerezza.
È inverno e vado a trovare una mia amica ad Arezzo. Mi attende sulla porta di casa. “Hai fatto il lesso con il brodo?”è la mia prima domanda. Sorride perché sa che per me è profumo di casa.
Dopo aver respirato l’aria di tanti ospedali credevo che non avrei più potuto sopportarne l’odore. Mi sono dovuta operare all’anca e sono rimasta ricoverata per un mese. Mi hanno curato al meglio, protetta dalle suore che di notte venivano a vedere se stavo bene. Torno a casa e per giorni ho ricercato di notte quell’odore rassicurante.
Un’estate torrida. La odio. Un caldo soffocante che toglie ogni energia. Esco alle sette di sera e all’improvviso un lampo, un tuono e uno scroscio di pioggia benefica. Dura poco ma torno a casa allegra, rincuorata, piena di profumo di ozono che sale dal selciato caldo e bagnato. Anche l’estate finirà e tornerà la mia stagione preferita: l’autunno.
Mi prende il desiderio di provare a dipingere ad olio. Compro tela, pennelli, tubetti, olio di lino, trementina. Dopo qualche ora di pittura mi rendo conto che quel desiderio è falso. Cercavo l’odore di mio padre che dipingeva sempre e la nostra casa era impregnata dei quadri di una vita. La sua.