L’inconscio di ogni scrittore ha la sua storia, per così dire, archetipica: a causa della sua esperienza personale, tenderà a concentrare l’attenzione su certi dilemmi e a ignorarne altri e avrà un’idea del tutto personale di felicità e di bene.*
C’è una cosa, che io posiziono lassù da qualche parte, che è l’inconscio collettivo. E poi c’è qualcosa, che dovrebbe essere da qualche parte dentro di noi ma non saprei esattamente dove, che è il nostro inconscio. L’incontro fra inconscio personale e inconscio collettivo crea momenti di bellezza indescrivibile, come quando uno scrittore per seguire un suo tormento o una sua idea scrive le sue storie, ma sono storie che incontrano poi la storia di altre persone, del loro inconscio, delle loro esperienze, dei loro drammi e dei loro dilemmi. Quei momenti indescrivibili in cui ci si rispecchia in ciò che qualcun altro ha scritto sono ciò che fanno la letteratura; sono i momenti in cui un’esperienza personale assume le forme dell’universale, e quella particolare storia sta lì a dare voce a tutte le storie umane.
Nello scrivere non c’è un pensiero di felicità e di bene che vada bene per tutti, predefinito e da perseguire e dimostrare. Ogni scrittore, ma anche ogni persona che scrive, perlustra il mondo cercando le proprie risposte, le sole che possano andare bene alla propria vita. È da lì che si inizia, dal cercare le proprie risposte. Ed è li che si arriva, a trovare risposte che siano non più soltanto le proprie risposte.
*Brande Dorothea, Diventare scrittori, Sperling&Kupfer, Milano, 2008, pag. 28