Ma quando insegni a scrivere sai di essere al tempo stesso un maieuta e uno psicanalista. Solo che non sei tu a curare gli allievi. È la scrittura a curarli e spesso a guarirli dalle loro nevrosi e dai loro dolori. (…) Non si tratta di insegnargli la scrittura in generale. Ma si tratta di insegnargli la loro scrittura. Una diversa dall’altra.*
C’è chi insegna scrittura come dirigesse un negozio di abbigliamento, uno di quelli però della peggiore specie, dove interi saloni sono pieni di abiti tutti molto simili, tutti nelle stesse taglie striminzite, e le commesse stanno lì a cercare di convincerti che quella cosa che ti sei messo addosso e nella quale ti senti ridicolo ti sta invece di-vi-na-men-te. Insegnare scrittura non è questo, non è offrire un abito preconfezionato, qualcosa che si impiega cinque minuti a comprare ma che poi resterà per sempre chiuso nell’armadio. Se non finirà nella spazzatura.
Insegnare scrittura è mettersi accanto chi scrive, indicargli una possibile strada o un’alternativa fra più strade, e lasciare che sia poi lui, o lei, a trovare la propria. È mostrare tessuti e lasciare scegliere quello che più piace, è aiutare a disegnare il modello e a impugnare le forbici e poi lasciare tagliare e cucire. Sbagliare anche, di quegli sbagli necessari che occorre pagare con la fatica e il tempo, di quegli sbagli necessari a fare esperienza, a imparare tutti i segreti del mostrarsi e del lasciare intendere, dell’esibire e del nascondere.
Insegnare a scrivere è soprattutto insegnare che ognuno è ciò che è, e che la scrittura che potrà produrre sarà buona scrittura quando non avrà paura di rispecchiare ciò che veramente si è.
- Roberto Cotroneo, Il sogno di scrivere, Utet, Novara, 2014, pag. 30