Tempo vene che sale chi disciende,
e tempo da parlare e da taciere,
e tempo d’ascoltare a chi imprende,
e tempo da minaccie non temere.
[…]
Re Enzo di Sardegna
Porto Pisano, Luglio 1241
Tutto era calmo, normale e risaputo, come il sereno tagliente di quel primo mattino d’inizio estate che accompagnava una buona brezza di terra. Leonardo il Fi’ Bonacci aveva quasi l’impressione di scorgere la linea cristallina dell’orizzonte, là dove l’aria si fonde finalmente al mare.
Intento a combattere i limiti di una severa cecità senile, Leonardo aveva preso l’abitudine di ridisegnare mentalmente i tratti salienti dell’ambiente circostante, così s’era ritrovato a indugiare sui dettagli della lunga torre a base quadrata che troneggiava sul Porto Pisano: aveva perfino la sensazione di avvertirne il fresco dell’ombra sulle spalle. Partendo dal basso la ripercorreva col pensiero risalendola piano per piano, ricostruiva i posti di vedetta disposti su ogni lato quindi s’arrampicava fino al grande coppo di ferro sistemato all’apice, là dove di notte veniva acceso il fuoco di segnalazione: “l’Inferno Pisano” lo chiamavano i naviganti e ormai anche i pisani stessi, incluso l’operaio addetto alla sua cura. Leonardo si compiaceva al pensiero che nella sua mente la torre si disegnasse più netta e regolare di quella reale, senz’altro più prossima all’idea di chi l’aveva concepita; assorto in queste fantasticherie, non s’era accorto che intanto Re Enzo l’aveva raggiunto al castello di prua:
«Magister, siete proprio sicuro di voler partire? Avreste ancora modo di rinunciare…»
Basandosi sulla direzione della voce, il Magister Leonardo Bigollo aveva percepito che il giovane Re gl’era ruotato rapidamente attorno fino a pararglisi davanti; nonostante la confidenza col ragazzo di cui qualche anno addietro era stato precettore filosofico, di fronte al manifestarsi della presenza regale Leonardo aveva accennato ad un breve inchino prima di prendere a sua volta la parola:
«Signore, a paragone del vostro il mio parere è ben poca cosa, tuttavia – come ben sapete – vostro padre desidera ricevermi nelle Puglie. Ritengo sia saggio non perdere altro tempo, davvero non so quanto ancora Dio vorrà concedermene.»
Leonardo aveva pronunciato queste parole con grande lentezza, ponderandole una per una e senza mai distogliere gli occhi giallastri dal punto fisso che costituiva il suo orizzonte immaginario.
<< Vi prego di accomodarvi sul sedile che vi ho fatto preparare accanto al trono; ho dato disposizioni all’equipaggio, ai nobili, ai chierici, ai militari, ai mercanti e perfino ai prigionieri affinché nessuno abbia a disturbarci durante il viaggio.>>
Per togliersi d’imbarazzo Leonardo aveva accennato ad un sorriso, quindi s’era fatto docilmente guidare dalle braccia gentili del re, mantenendo comunque il bastone teso in avanti in modo da avvertire per tempo ogni eventuale ostacolo.
Re Enzo s’era quindi sporto dal castello di prua facendo un cenno d’assenso all’ammiraglio: dalla cima di ogni albero delle 21 galee s’erano quindi udite le note basse, lunghe e reiterate dei suonatori di corno. Il fruscio che era seguito stava a significare che i 34 remi di ciascuna galea s’erano levati in aria più o meno all’unisono e ora aspettavano disciplinatamente di riabbassarsi a seconda dell’ordine di uscita che l’ammiraglio Buzzacarini aveva prestabilito: per prima la sua stessa galea mentre quella di Re Enzo si sarebbe allineata in ottava posizione. Tutte le imbarcazioni battevano la bandiera con l’aquila imperiale e il gonfalone di sangue ed erano assai simili tra di loro. Lo stesso Leonardo, in certi appunti elaborati prima di perdere la vista e successivamente confidati al Buzzacarini, s’era espresso in materia:
« Nella battaglia ritengo utile attribuire numeri sequenziali alle galee – altrimenti identiche – nonché disporre le pari e le dispari in due distinte spirali, conchiglie che s’avvolgono ruotando in sensi opposti, incrociandosi e prendendo nella morsa il vascello avverso. »
A mo’ di esempio aveva quindi vergato un precisissimo portolano centrato sulla Meloria con due schieramenti di navi disposte in spirali a loro volta racchiuse in quadrati il cui lato non era che la somma dei due precedenti.
In effetti ad inizio maggio i consigli strategici del Magister Leonardo Bigollo s’erano rivelati essenziali nella battaglia del Giglio, in cui i Pisani avevano riportato una vittoria schiacciante contro le flotte Genovesi e Veneziane fedeli a Gregorio IX.
«Magister, non vi nascondo il turbamento che mi genera questo nostro nuovo incontro: non sono in molti a rifiorire dopo l’estrema unzione… due anni or sono nel Giudicato di Torres era giunta voce della vostra gravissima malattia, così avevo dato disposizione che mio padre fosse immediatamente avvertito.»
«Si vede che non era ancora arrivato il mio momento, Signore; in quei giorni più volte vostro padre ha voluto onorare la mia modesta dimora con la sua presenza: la mia meravigliosa vita suggellata dal conforto di sua grazia l’imperatore, cosa avrei potuto chiedere di meglio in punto di morte? Eppure, giorno dopo giorno, sentivo che il morbo si stava lentamente riallontanando dal mio corpo, portandosi seco gli occhi ma lasciandomi – come amplificate – tutte le immagini della memoria e anche altre tutt’ora in costruzione.»
«Mio padre si rallegra che abbiate tratto beneficio da quella lunga convalescenza e ritiene che un soggiorno in Capitanata possa ulteriormente giovare alla vostra salute, tuttavia non voglio nascondervi le insidie di questo viaggio; dopo il trionfo del Giglio potrebbe sembrare che Pisa e l’Impero abbiano ben poco da temere, eppure è proprio questo il punto: per quanto tempo ancora Gregorio IX e i suoi alleati potranno sopportare l’umiliazione? Oltre a ridistribuire i prigionieri nelle galere del Regno dobbiamo piazzare il grano sui mercati della Cabilia, là dove ci sono i prezzi migliori. Arriveremo a Brindisi non prima della fine di luglio e dovremo stare molto attenti: in qualsiasi momento c’è da attendersi un’imboscata.»
Nei primi giorni – invece – il viaggio era proseguito senza intoppi, a parte il mare piuttosto agitato e gli spruzzi abbondanti che spesso arrivavano fino al castello di prua schiaffeggiando l’imperturbabile Leonardo; quest’ultimo proprio non ne voleva sapere di scendere sotto coperta, per cui bisognava recapitargli ricambi e viveri che il vecchio matematico in gran parte ignorava.
Il rumore dei marosi non favoriva certo la conversazione per cui il Re aveva temporaneamente abbandonato la sua postazione per poter disporre l’affidamento dei numerosi prigionieri nei porti d’attracco del Regno di Sicilia.
Re Enzo s’era ripresentato al castello di prua ben dopo la sosta al Giudicato di Torres e la flotta Pisana – a vele ammainate – stava già puntando verso la Cabilia, percorrendo un tratto di mare insolitamente calmo.
«Magister, non avete toccato cibo…»
Leonardo aveva accennato ad un inchino quindi s’era aiutato col bastone per risalire.
«Signore, a me per vivere serve talmente poco…»
«Faremo scalo a Bugìa, ci vorranno due giorni per scaricare tutto il grano, quindi ripartiremo facendo rotta verso Palermo»
A queste parole Leonardo s’era come illuminato. Il Re aveva quindi ripreso:
«davvero mi sorprendete, Magister, un santo non potrebbe ambire neanche alla metà della pace con Dio che vedo dipinta sul vostro volto.»
«Volete sapere quello che vedo?»
«Vi prego, Magister, ve ne sarei molto grato.»
«Vedo la trasparente armonia dell’Algebra e delle sequenze notevoli che attraversano tutta la mia vita fin dal periodo di Bugìa; vedo Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī e tutti i saggi Arabi e Indiani che m’han preceduto, la cui conoscenza cerco inutilmente di propagare nel nostro mondo cruento ma assai meno colto ed evoluto – e certamente non parlo della corte illuminata di vostro padre.»
«m’è stato riferito che sul mercato di Firenze l’ottusità arriva a tal punto che si preparano leggi per proibire l’utilizzo delle dieci cifre… e ditemi, che cos’altro vedete, Magister?»
«Vedo un mare accecante solcato da ombre di triremi e cataratte, così come non se ne vedono più dalle nostre parti; mio padre mi tiene la mano sulla spalla, io sono e da allora sarò per sempre il figlio del Bonacci. Abbiamo una barca piccola ma veloce, avvicinandoci alla riva scopriamo coste che aprono ad altre coste uguali a quelle di prima e che a loro volta si riproducono, come se non si potesse mai arrivare alla fine.»
«Adesso ricordo che mi avevate già parlato di quelle coste; ditemi Magister, voi non avete alcuna intenzione di arrivare fino alle Puglie, non è vero?»
Sul volto sereno di Leonardo s’erano quindi disegnati rivoli di lacrime che il vecchio non s’era dato alcuna pena di dissimulare; a poco a poco, producendo uno sforzo immane ma facendo chiaro segno al Re di non aiutarlo, Leonardo era riuscito ad inginocchiarsi, quindi, rovesciando il lembo della sua tunica, aveva rivelato una lunga sacca cucita e dalla stessa aveva tratto una pergamena che ora offriva al Re, in ginocchio e chinando il capo:
«mio Signore, quando arriverete in Capitanata vi prego di recare in dono questa pergamena a vostro padre, come segno di stima, gratitudine e smisurata devozione.»
Re Enzo – a sua volta – aveva allungato le mani verso Leonardo per aiutarlo a rialzarsi, quindi se l’era abbracciato cedendo anche lui alla commozione, sicuro che da lì nessuno avrebbe potuto vederli. La grande pergamena riportava la scritta “CASTELLO DELLE MURGIE, AD ETERNA GLORIA DI FEDERICO II, IMPERATORE DEL SACRO ROMANO IMPERO E RE DI SICILIA”. Secondo il progetto di Leonardo il Fi’ Bonacci la pianta ottagonale del castello prevedeva torri altrettanto ottagonali su ciascuno dei vertici e ognuna di queste riproduceva localmente l’intera costruzione, così come – di continuo – sembravano riprodursi le coste frastagliate di Bugìa, come se non si potesse mai veramente arrivare alla fine.