N-Evergreen

Non si può dire che fosse un lavoro semplice il suo.

“Sarò franco. Abbiamo proprio bisogno di uno come lei”, sostenne squadrandolo.

“Uno come me”? Era seduto su quella sedia in ecopelle da meno di cinque minuti ed era già sudato come se fosse appena uscito da un bagno turco. Sua madre lo aveva spinto a calci fuori di casa poco prima dicendogli che lo zio Cesare aveva messo una buona parola per lui con quel suo amico. “Non rovinare tutto come al tuo solito. E stai dritto con le spalle, Dio santo!”.

Si raddrizzò sulla sedia. Deglutì rumorosamente in attesa di una delucidazione. Come poteva un laureato in lettere essere utile all’interno di una società di smaltimento rifiuti? Sperava solo di non finire di nuovo a staccare gomme secche dalle scrivanie come in quello studio legale di Piazza Mazzini.

“Sì, proprio uno con le sue caratteristiche” ribadì il capo del personale osservandolo ancora più attentamente.

“Beh, ad esser sincero non credevo il mio percorso formativo…”

 “No, infatti” lo interruppe secco. “Mi riferisco alla sua statura. Mi lasci indovinare… 1.50?”

“1.55!” disse Melchiorre aggrottando la fronte. “Ma vede, è da molto che non misuro la mia altezza quindi…”

“Sì, certo, ma ho l’impressione che lei abbia superato da un po’ l’età dello sviluppo” sghignazzò sotto i baffi da tricheco.

All’improvviso non lo trovò affatto simpatico. Quella sua bocca esageratamente grande gli parve fatta appositamente per sfornare frasi a sproposito mentre gli occhi stretti e scuri diventarono un segno inconfutabile della sua scarsa intelligenza. Melchiorre era stanco di sentirsi prendere per il tallone d’Achille.

“Legga attentamente il contratto e firmi”.

Così aveva avuto inizio la sua avventura alla “N-EVERGREEN”, società privata di smaltimento rifiuti di Latina.

Non lasciarono molto spazio alle perplessità e allo sgomento di Melchiorre il giorno in cui lo portarono davanti al suo nuovo “ufficio”. Lo invitarono ad indossare la tuta 100% bio che puzzava di misto funghi e lo aiutarono ad entrare nel secchione della spazzatura. Gli ricordarono che il suo contratto lo obbligava ad emettere almeno centocinquanta multe al mese. Lo spronarono a non avere nessuna pietà.

“E stai attento alle belle signorine! Quelle diventano tutte occhi languidi e tette quando si cerca di multarle” dissero alzando i tacchi e lasciandolo lì da solo con la paura di contrarre tifo, scabbia e lebbra in un solo giorno.

Non si può dire che fosse un lavoro semplice il suo. Pur essendo tutt’altro che un gigante, a forza di star appostato dentro al cassonetto in posizioni da contorsionista, a Melchiorre doleva la schiena e si addormentavano le gambe. Le prime volte in cui aveva dovuto rincorrere con uno scatto i violatori erano state un vero disastro. Quelli, tra lo spavento del vederselo sbucare dal secchione con penna e taccuino e la paura di mettere mano al portafoglio, scappavano come maratoneti professionisti lasciandolo lì, a bocca asciutta e con gli arti anchilosati.

Poi c’era il problema tanfo. Quell’odore acre che era costretto ad inalare per otto ore al giorno e che sembrava salirgli dalle narici fino al cervello per poi correre giù in picchiata ad agguantare lo stomaco. Gli si attaccava addosso come una guaina e non bastava di certo una doccia per toglierselo via. Ci volle del tempo prima che i conati svanissero insieme ad ogni sua riluttanza ma dopo ben cinque mesi per Melchiorre quello era diventato un impiego come un altro. Prendeva il suo zaino pieno di libri, fumetti, torcia, snack e andava a lavorare fischiettando. Nel cassonetto riusciva persino a gustare con un certo appetito il pranzo preparato da sua madre. I topi non erano un problema: solo i più avventurosi e affamati si spingevano oltre il perimetro del secchione per rovistare meglio al suo interno. 

Vinse l’impaccio del multare e con alcuni trasgressori recidivi strinse una sorta di amicizia. L’unico vero intoppo era lui: il Sig. Mariano. Esponente massimo dei violatori novantenni detentori del titolo di trasgressori più incalliti. Infilavano nei loro sacchetti scarti di formaggini, tubetti di kukident strizzati fino all’orlo, pannoloni zuppi e poi li facevano roteare in aria prima di lanciarli verso il secchione da più lontano possibile, per eludere il multatore in servizio.

Sia chiaro: per tutti la nuova imposizione della raccolta differenziata era un incubo ma per gli anziani era qualcosa di più. Era una roba da giovani, da ambientalisti sinistroidi. Per quelli tra loro dall’animo complottista era addirittura una trovata di quei politici ladroni che volevano farli rimbecillire totalmente ed offuscare le loro menti di fronte a quella serie sconfinata di regole e secchi della spazzatura colorati. Il Sig. Mariano era il loro capobanda. Era una legenda. Nessuno dei colleghi di Melchiorre era mai riuscito a sanzionarlo. Era un mistero come riuscisse a produrre in media tre o quattro sacchetti al giorno di spazzatura impropriamente differenziata pur vivendo da solo da anni.  Li gettava con astuzia in tutti i secchioni di Latina, seguendo un suo schema inafferrabile, imprevedibile, riuscendo così a farla sempre franca. Campione assoluto per venti anni consecutivi di bocce nonché fondatore del circolo anziani “Più bocce per tutti”, faceva rotolare con eleganza i suoi sacchetti nauseabondi color arancione shocking senza che il multatore di turno se ne accorgesse. Li conosceva uno ad uno. Li studiava per prevedere le loro mosse e fargliela sotto il naso. Melchiorre non si era mai definito un ambizioso ma di certo gli facevano gola quei mille euro di bonus che la N-Evergreen aveva fissato sulla testa del Sig. Mariano come una taglia. Forse questo era il motivo che lo aveva spinto a fare un buco a mo’ di vedetta nella plastica dura del cassonetto. Sperava di avvistarlo in tempo per balzare fuori mentre si avvicinava di soppiatto con quel suo corpo gracile e scattante ma ogni volta finiva con il vecchietto che lo salutava da lontano con il dito medio sollevato e già libero dal suo pattume puzzolente, mentre lui era riuscito a malapena a mettersi in piedi sull’ammasso di spazzatura.

Una notte, vuoi la carenza di ossigeno, vuoi i turni massacranti, vuoi che quel giorno la spazzatura fosse particolarmente soffice, Melchiorre si addormentò. Sognava il mare e sognava quella bella biondina che non riusciva proprio a capire che gli scontrini non andassero riciclati insieme alla carta!

Non si accorse che il suo turno fosse finito da un bel pezzo e tanto meno dell’arrivo del camion della spazzatura, pronto a tritare qualunque cosa fosse contenuta nel secchio. Compreso lui.

Il netturbino si accostò al secchione, ne sollevò svogliatamente il coperchio per verificare che non ci fossero multatori all’interno e non accorgendosi di Melchiorre, perfettamente mimetizzato con i sacchi della spazzatura, tornò sul suo camion e premette il pulsante per avviare l’ennesimo aggancio della serata. Il secchione cominciò a sollevarsi lentamente e in quel fragoroso cullare Melchiorre si svegliò. Si agitò e cercò di precipitarsi con la rapidità di un ratto fuori da quel cubo lercio ma era tardi. Già vedeva la montagna di rifiuti su in cui sarebbe finito e le tagliole pronte a sminuzzarlo come semplice organico.

Sul cigolìo dei meccanismi incancreniti del camion si sentì una voce esile ma decisa esclamare: “Fermo, coglione!”

Il netturbino si vide colpire lo sportello della vettura dal piede di un vecchietto smilzo, in jeans e t-shirt dei Deep Purple, che teneva in mano due sacchetti della spazzatura: Era il Sig. Mariano.

“Guarda che dentro al secchione c’è ancora uno di quei multatori fessi, mica vorrai riciclare pure lui!” disse Mariano divertito dalla sua stessa battuta e dall’ironia della situazione.

Il netturbino, riemerso di colpo dal torpore della monotonia, spinse con forza un bottone e il secchione da cui si sporgeva confuso Melchiorre dondolò qualche istante a mezz’aria prima di toccare nuovamente terra.

Una volta uscito da quel cubicolo Melchiorre venne colpito alla testa dai sacchetti del Sig. Mariano che cominciò immediatamente a correre agile come un’antilope preoccupato dalla insolita vicinanza. Non aveva mai avuto un multatore a meno di quindici metri di distanza. Senza farsi troppe domande Melchiorre si fiondò all’inseguimento dell’anziano con uno sprint che meravigliò anche sé stesso. Stavolta con sorpresa del vecchietto (e anche sua), lo raggiunse e tirò fuori dalla tasca un plico di multe.  “Paga con contanti o bancomat”?

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