Napoli, 1986
Lara aveva sognato di partire. Da sola.
Mariammì glielo aveva sentito dire una mattina, e questa cosa le era parsa subito strana.
Perché a quel tempo la bambina avrà avuto non più di 10 anni.
“Uggesù, e che brutto sogno, Larè – le aveva detto, continuando a seguire con lo sguardo l’andamento ondivago del ferro da stiro sulla camicia – E gli altri dove stavano? Mamma, papà tuo, i fratelli tuoi, dove li avevi lasciati?”
“Loro stavano a casa. E mi aspettavano – aveva risposto lei mentre tuffava e rituffava la sua fetta biscottata nella tazza del latte – Io ero come Remì, mi portavo dietro gli animali e facevo il giro del mondo! Poi, quando mi ero scocciata, tornavo a casa”.
Allora Maria, detta Mariammì, s’interrompeva per un momento e la guadava: “Ma chi te lo fa fare, piccere’! Statti a casa tua, senti a me, che sei nata bene, tu, e da grande non dovrai faticare come a me!”
Maria Saggese era nata a Napoli, aveva 22 anni ed era terremotata da quando ne aveva 16. Da qualche mese abitava con la famiglia Silenti.
Aiutava la signora Giovanna con la gestione della casa e dei suoi tre figli.
Voleva mettere da parte i soldi per sposarsi e poi fare il viaggio di nozze sulla crociera che si vinceva in tv.
“Ma quelli non ti rispondono neanche se chiami 100 volte – si arrabbiava – Quello secondo me è tutto un imbroglio, e passano solo le telefonate dei parenti loro!”
Capitava spesso, la mattina, nel breve tempo della colazione, che Maria, già indaffarata a ripulire il fornello o a lavare una pentola, ascoltasse le conversazioni tra Lara e Fabrizio, di soli 3 anni più grande.
La bambina cercava di raccontare qualcosa, il fratello le lanciava pezzi morsicati di biscotto nella tazza, mentre Irene, la più piccola, guardava la scena in silenzio, portando alla bocca piccoli sorsi di latte con un cucchiaino.
Intanto la signora Giovanna entrava e usciva dalla stanza, ora allacciandosi una collana, ora abbottonandosi una camicia, reggendo il telefono portatile tra la guancia e la spalla, parlando di date, orari e appuntamenti.
Maria Saggese pensava che quella bambina fosse assai particolare. Vivace. Ma non nel senso cattivo, per dire che un bambino è maleducato o troppo agitato. No. Lei era vivace di testa.
Oltre ad ascoltare i racconti dei suoi sogni notturni o delle cose che imparava a scuola, Mariammì, come la chiamavano Lara e i suoi fratelli, la vedeva spesso scrivere su certi quaderni e ridere da sola, o parlare davanti allo specchio imitando sua madre quando parlava al telefono o la “signora” del telegiornale.
A preoccuparla non poco, però, erano le volte in cui Lara dichiarava spavalda che un giorno o l’altro sarebbe scappata di casa per andare a vivere da sola. Non che l’avrebbe fatto davvero, se ne rendeva conto.
Eppure intuiva che quella dichiarazione così sfrontata doveva essere più di un semplice gioco infantile.
Tra i tanti regali ricevuti alla prima comunione, c’era una piccola valigetta rosa, che per la forma sembrava una di quelle borse piene di soldi che si vedono nei film.
Lara aveva preso l’abitudine di riempirla come se dovesse davvero partire per un viaggio; poi la mostrava a Maria dicendo: “Lo vedi? È perfetta! C’entra proprio tutto!”
Maria notava che questo tutto consisteva in 5 oggetti: l’orologio al quarzo Casio, la tuta della scuola con lo stemma del cuore sanguinante di Gesù, lo spazzolino da denti, il walkman con un paio di musicassette e una copia del suo giornaletto preferito, il Corriere dei Piccoli.
“E brava – commentava ironica – E mò dove pensi di andare, signorine’?”
Accadeva poi, di tanto in tanto, che la bambina volesse mettere in scena questa fuga così spesso annunciata.
E così Maria doveva assistere impotente alla ‘solita scena madre’, come diceva la signora Giovanna, che esplodeva quasi sempre durante la cena, all’improvviso, per un litigio con Irene, un rimprovero della mamma, o un dispetto di Fabrizio.
“Bastaaaa, io vi odio tutti! – urlava Lara – Visto che mi trattate male tutti quanti in questa casa, vi faccio vedere io! Domani me ne vado. Scappo di casa, ecco qua!”
Correva a chiudersi in camera sua, dove l’attendeva la valigetta rosa già pronta e richiusa, sistemata ai piedi del letto.
Maria faceva per andarle dietro, ma la signora Giovanna la fermava con un gesto seccato.
“Lasciala perdere, Marì, sta recitando. Vuole attirare l’attenzione – le spiegava – La verità è che mia figlia passa troppo tempo davanti alla televisione, vede troppi cartoni animati di vagabondi, monelli di strada. Ma che esempio può avere una bambina da una Pippi Calzelunghe? Alla fine questi bambini non capiscono neanche più di trovarsi nel mondo reale!”
“Ma quella secondo me non dorme, fa finta – tentava di suggerire allora Mariammì – Secondo me sta con l’orecchio appizzato che aspetta che qualcuno la va a consolare”.
La signora Giovanna, però, non si muoveva dalla tavola.
Dopo un po’ chiedeva a Maria di sparecchiare, dava ai bambini il permesso di andare a vedere i cartoni e a poco a poco in casa si sentiva solo il suono della tv accesa dal salotto.
Poi, quando i bambini erano già a letto, rincasava il signor Aurelio, che lavorava allo studio fino a tardi.
La mattina dopo era come se la sceneggiata della sera prima non fosse avvenuta.
“Chi ha svuotato la mia valigia?”
Mariammì accorreva nella stanza, dove trovava Lara, appena sveglia, con la sua valigetta aperta sul letto. Vuota. Ogni oggetto rimesso al suo posto.
“Tua mamma, mentre dormivi”.
Lara andava in cucina, salutava la mamma e i fratelli, e della scenata della sera prima, o della valigetta svuotata, nessuno faceva parola.
Maria non sapeva interpretare la reazione della bambina.
Non le pareva arrabbiata, né delusa, mentre andava a vestirsi e poi a preparare la cartella e la merenda per la scuola.
“E tutti i salmi finiscono in gloria!” Sospirava Maria, ripensando al trambusto della sera prima, alle urla, alle porte sbattute.
A casa sua, se qualcuno faceva una scena del genere, doveva per forza accadere qualcos’altro, dopo.
Sua madre le avrebbe dato uno schiaffo per quelle urla, ma poi forse le avrebbe portato la cena a letto.
La signora Giovanna, invece, si limitava a svuotare in silenzio la valigetta della figlia, senza tornare mai sull’argomento.
Non una punizione. Non una parola, né buona né cattiva.
Forse, pensava Maria, voleva far capire alla bambina che non era ancora nell’età di decidere di andar via di casa da sola.
Oppure il suo era un tacito rimprovero, un modo di dirle “cosa pensavi di fare?”
Per la ragazza si trattava di un modo di comunicare incomprensibile, e che per lei sarebbe stato impossibile, abituata com’era a una convivenza ravvicinata nel container dove aveva abitato negli ultimi anni.
Per lei quel gesto significava soltanto ignorare, fingere, cancellare.
Qualunque cosa volesse fare o dimostrare, quella bambina non aveva ottenuto che silenzio.
Maria s’infilava la giacca e già con un piede fuori alla porta gridava: “Scendiamo, bambini, dai che il pulmino vi lascia qua!”
“Mariammì…”
“Dimmi, Larè” le rispondeva, leggendole negli occhi una tristezza nuova.
“La prossima volta giuro che scappo di casa, stavolta veramente. Poi vedrete se non lo faccio”.