GREGORY CORSO

Leggendolo si sente vibrare la poesia di chi parla in faccia al potere

Beatnik italiano di New York salvato (e tribolato) dalla poesia.

Se non c’è mai stata una casa dove andare
c’è sempre stata una casa dove non andare
Ricordo bene come bambino scappato
dormivo nella sotterranea
e si fermava sempre
alla stazione della casa da cui scappavo
Era il dolore più amaro ah lo era

Come sarebbe se io
corressi da ogni uomo che incontro
e con un gran sorriso felice dicessi:
“Non è tutto magnifico?!”
O corressi in un ristorante affollato e gridassi:
“Bon appétit!”

Quando le donne di Germania alla fine della guerra
sostavano fra le macerie chiedendosi dei loro uomini
e i vecchi cercavano nel pietrisco le loro case
non videro la svastica delle molte gambe
sgusciare come una blatta sotto le macerie
incinta di pace?
Sembra che ai bambini tedeschi non fu risparmiato
quindici anni dopo, cioè oggi,
il dolore di quelle macerie.
Ci sono altre cose scritte sui muri
Può Merde offendere più che
E scritte come U S GO HOME
ALGERIA FRANCESE o RICORDA L’UNGHERIA
sono davvero peggio di MERDE?
E La Grecia era un Paese stupendo
ma naturalmente io non ero stupendo in quel Paese
perché l’uomo è costretto a soffrire in un posto felice
quando è stato felice fin troppo felice
in un posto insopportabile.

[da PENSIERI EUROPEI – 1959]

Ogni volta che vado al Cimitero Acattolico di Roma, all’ombra della Piramide Cestia, non manco di andarlo a trovare. Mi piace molto salire sulla collinetta seguendo le strette piste tra i settori e arrivare quasi al muro di cinta: estremo margine perimetrale dell’area più recente di questo giardino dove riposano i non cattolici quasi sempre stranieri che hanno risieduto a Roma o in Italia. Tra questi, loro due: Gregory Corso appunto, e Percy Bysshe Shelley, il grande romantico cantore del Vento dell’ Ovest, l’aria del cambiamento che lui stesso voleva incarnare. La posizione della tomba di Gregory Corso significativamente è nel cerchio di lapidi appena sotto la cerchia più alta in corrispondenza del piccolo monumento marmoreo che conserva i resti e simboleggia lo spirito di Shelley: è stato Corso a volerlo, ha chiesto di essere messo vicino al suo Maestro per continuare a nutrirsi del suo spirito indomito, però un po’ più sotto perché non riteneva di essere all’altezza di stargli accanto.

Come Dario Bellezza e Amelia Rosselli (che a un certo punto non solo lo tradusse ma lo doppiò anche, pare ne esista una registrazione), e insieme a Allen Ginsberg e William Burroughs (e a molti altri poeti, italiani e non), Gregory Corso prese parte a quella kermesse irripetibile e irripetuta che fu il Festival Internazionale di Poesia di Castelporziano nel 1979, una sagra in cui ci fu pure lo sprofon-damento dell’improvvisato palco destinato ai poeti declamanti, peraltro invaso da una parte del pubblico che cominciava ad avvalersi di ogni occasione per uscire allo scoperto come gente comune nel pieno diritto di essere parte attiva in certe situazioni culturali fino a poco prima subite soltanto. Dopotutto era questo lo spirito di Corso e dei poeti Beat. Tutti loro, prorompenti e dirompenti, non solo nello stile, ma nella sostanziale provocazione, incalzante rispetto al “sistema”, con la propria prassi culturale, fin dagli anni Cinquanta negli Stati Uniti, puntavano a smantellare un eventuale edificio letterario appannaggio di pochi, cioè escludente, e a farne invece un organismo inclusivo in cui ogni persona comune potesse intervenire soprattutto per esprimersi in chiave civile.

I ran up six flights of stairs

(Mi sono fatto di corsa sei rampe di scale)

to my small furnished room

(fino alla mia stanzetta ammobiliata)

opened the window

(ho aperto la finestra)

and began throwing out

(e ho cominciato a buttare di sotto )

those things most important in life

(tutta quella roba che è fondamentale nella vita)

First to go, Truth, squealing like a fink:

(La prima a andare giù starnazzando fu la Verità:)

“Don’t! I’ll tell awful things about you!”

(“Non farlo! Dirò cose terribili su di te!”

“Oh yeah? Well, I’ve nothing to hide … OUT!”

(“Ah sì? Bè, non ho niente da nascondere io… FUORI!”)

Then went God, glowering & whimpering in amazement:

(Poi fu la volta di Dio, torvo e piagnucolante di sorpresa:)

“It’s not my fault! I’m not the cause of it all!” “OUT!”

(“Non è mia la colpa! Non sono io la causa di tutto!”-“FUORI”!)

Then Love, cooing bribes: “You’ll never know impotency!

(Poi l’Amore, che provava a corrompermi: “Non conoscerai mai impotenza!”)

All the girls on Vogue covers, all yours!”

(Tutte le ragazze-copertina di Vogue saranno tue!”)

I pushed her fat ass out and screamed:

(Ho spinto il suo culo grasso fuori e ho gridato:)

“You always end up a bummer!”

(“Finisci sempre per fare schifo!”)

I picked up Faith Hope Charity

(Poi ho preso insieme Fede Speranza e Carità)

all three clinging together:

(l’una aggrappata all’altra:)

“Without us you’ll surely die!”

(“Senza di noi muori sicuro!”

“With you I’m going nuts! Goodbye!”

(“Con voi tre divento matto! Addio!”)

Then Beauty … ah, Beauty—

(Poi la Bellezza … ah, la Bellezza —)

As I led her to the window

(Mentre la guidavo verso la finestra)

I told her: “You I loved best in life

(Le dicevo., “È te che ho amato di più in vita mia)

… but you’re a killer; Beauty kills!”

(…ma sei un’assassina: la Bellezza uccide!”)

Not really meaning to drop her

(Non avendo serie intenzioni di lasciarla cadere giù)

I immediately ran downstairs

(immediatamente sono còrso di sotto)

getting there just in time to catch her

(arrivando in fondo alle scale in tempo per afferrarla)

“You saved me!” she cried

(“Mi hai salvata!, ella gridò)

I put her down and told her: “Move on.”

(La misi a terra e le dissi, “Ora però vai!”)

Went back up those six flights

(Poi mi rifeci le sei rampe di scale)

went to the money

(andai a cercare I soldi)

there was no money to throw out.

(non c’era denaro da buttare giù)

The only thing left in the room was Death

(L’unica cosa rimasta nella stanza era la Morte)

hiding beneath the kitchen sink:

(nascosta nel lavandino di cucina:)

“I’m not real!” It cried

(“Non sono reale!”, ella gridò)

“I’m just a rumor spread by life … ”

(Sono solo una chiacchiera messa in giro dalla Vita)

Laughing I threw it out, kitchen sink and all

(Ridendo la buttai fuori, col lavandino e tutto)

and suddenly realized Humor

(e all’improvviso capii che l’Umorismo)

was all that was left—

(era tutto ciò che mi restava —

All I could do with Humor was to say:

(Tutto ciò che potei fare con l’Umorismo fu dirgli:)

“Out the window with the window!”

(“Fuori dalla finestra con tutta la finestra!”)

[traduzione mia, da “The Whole Mess … Almost” (Disastro Totale, o Quasi), in “Herald of the Autochtonic Spirit”(Araldo dello Spirito Autoctono), 1973 / 1975 / 1981 – ora in “MindField, New and Selected Poems“, 1980, poi pubblicato in Italia da Newton-Compton con la traduzione di Massimo Bacigalupo]

HO 25 ANNI

Con un amore un delirio per Shelley
Chatterton   Rimbaud
e l’affamato guaito della mia gioventù
si è propagato da orecchio a orecchio:
IO ODIO I VECCHI SIGNORPOETI!
Specialmente i vecchi signorpoeti che ritrattano
che consultano altri vecchi signorpoeti
che esprimono la loro gioventù in bisbigli,
dicendo: – Queste cose le ho fatte allora
ma è acqua passata
è acqua passata –
Oh vorrei tranquillizzare i vecchi
dirgli: – Sono vostro amico
ciò che eravate una volta, grazie a me
lo sarete ancora –
Poi di notte nella sicurezza delle loro case
strappare le loro lingue apologetiche
e rubare le loro poesie.

Gregory Corso, che proprio Allen Ginsberg aiutò all’inizio a pubblicare mettendolo in contatto con Ferlinghetti e la sua libreria City Lights a San Francisco (suo primo editore), era un ibrido vivente: italiano di ascendenze calabresi nato a New York, ribelle e giovane delinquente messo in prigione a Clinton a 17 anni per rapina. Proprio in quel conclamato inferno Corso conobbe chi lo mise in contatto con la letteratura schiudendogli il paradiso della poesia, soprattutto: ne uscì, come disse lui stesso, “a 20 anni, innamorato di Chatterton Marlowe e Shelley”. La sua irriducibilità non venne mai meno. La sua natura indomabile di straniero e apolide errante, la sua instabilità radicale come cittadino del mondo perennemente senza casa ma con tre mogli e una figlia che poi lo accolse a Minneapolis dove non è morto solo come pareva gli fosse riservato dal destino: mai, MAI, tutto questo è stato tradito dal poeta sdentato, alcolizzato, seccante come uomo, ma carismatico e magnetico come poeta, appunto.

Sempre contro ma potentemente rispettoso almeno quanto potentemente dissacratorio. Notevole.

Il segno più alto della sua inclinazione era un rispetto sacro per chi ne era degno almeno quanto era distruttivo verso tutto ciò che era figlio del conformismo e della riduzione delle libertà civili al netto di un libertarismo inguaribile. Ecco come Gregory Corso si esprime nel pugno di versi che leggiamo sulla sua lapide al Cimitero Acattolico (l’urna con le ceneri del poeta furono portate a Roma da Minneapolis da sua figlia Sheri e che, alla tumulazione, a due passi dalla tomba di Shelley, e a pochi in più da quella di John Keats, assistettero, pare, ben 200 persone):

Spir’t                          Lo Spirito

is Life                         è Vita

It flows thru              Esso scorre attraverso

the death of me        la morte della mia persona

endlessly                    incessantemente

like a river                 come un fiume

unafraid                     che non ha paura

of becoming              di diventare

the sea                       mare

Nella poesia che segue, “Matrimonio”, mi pare che emerga proprio la sensibilità delicata di Gregory Corso che mentre spaccherebbe tutto, e in fondo qui deride l’istituto borghese del matrimonio come contratto che prevede tutta una serie di dettagli e clausole ben delineate e definite (quindi tiene un atteggiamento dissidente, di chiara dissociazione), però poi sente che le persone, non altrettanto forti nella sconfessione né ribelli quanto lui verso la “lettera della legge”, e intrappolate invece nella deriva  dei sentimenti che sorregge quella istituzione sociale, sono anche meritevoli di comprensione e hanno poi diritto a quella micro forma di posticcia felicità – alla quale lui in prima persona non è disponibile (sotto sotto non riesce a negare un sentimento di compassione).

Devo sposarmi? Devo essere buono?
Far colpo vestito di velluto e cappuccio da Faust sulla ragazza che abita
accanto?
Portarla al cimitero invece che al cinema
dirle tutto sui lupi mannari vasche da bagno e clarinetti biforcuti
poi desiderarla e baciarla e tutti i preliminari
e lei che arriva solo fino a un certo punto e io capisco perché
e non mi arrabbio dicendo Devi sentire! È bello sentire!
Invece la prendo fra le braccia mi appoggio a una vecchia tomba contorta
e corteggio lei la notte intera le costellazioni nel cielo –

Quando mi presenta i suoi genitori
schiena diritta, capelli finalmente ravvivati,
strangolato da una cravatta,
devo sedere a ginocchia unite sul loro sofà da 3° grado
e non domandare Dov’è il bagno?
Come sentirmi se non come sono,
pensando spesso al sapone Flash Gordon –
O come deve essere orribile per un giovanotto
seduto davanti a una famiglia e la famiglia che pensa
Non l’abbiamo mai visto! Vuole la nostra Mary Lou!
Dopo il tè e i dolci fatti in casa mi chiedono Come ti guadagni la vita?
Devo dirglielo? Gli sarei simpatico dopo?
Direbbero Va bene sposatevi, perdiamo una figlia
ma guadagniamo un figlio –
E devo domandare allora Dov’è il bagno?

Dio, e il matrimonio! Tutta la famiglia e i suoi amici
e sol un pugno dei miei, tutti scrocconi e barbuti
che aspettano soltanto cibi e bevande –
E il prete! Mi guarda quasi mi masturbassi
nel chiedermi Vuoi questa donna come tua legittima sposa?
E io tremante che dire direi Torta Colla!
Bacio la sposa tutti quegli arrapati giù manate sulla schiena
È tutta tua, ragazzo! Ah-ah-ah!
E nei loro occhi si vede qualche oscena luna di miele in atto –
Poi tutto quell’assurdo riso e lattine che sbattono e scarpe
Cascate del Niagara! Orde di noi! Mariti! Mogli! Cioccolatini!
Tutti che affollano alberghi accoglienti
Tutti a fare la stessa cosa stanotte
L’impiegato indifferente che sa cosa sta per succedere
Gli idioti nella hall che lo sanno
Il fattorino dell’ascensore che lo sa fischiettando
Il portiere ammiccante che lo sa
Tutti lo sanno! Mi vien quasi voglia di non far niente!
Stare alzato tutta la notte! Fissare negli occhi quell’impiegato d’albergo!
Gridando: Io nego la luna di miele! Io nego la luna di miele!
correndo aggressivo in quegli appartamenti quasi eccitati
urlando Pancia Radio! Zappa gatto!
Oh vivrei a Niagara per sempre! in una buia
caverna sotto le Cascate mi siederei il pazzo
Lunatoredimiele
e escogitar modi per rompere matrimoni,
fustigatore di bigamia santo del divorzio –

Ma devo sposarmi essere buono
Che bello sarebbe tornare a casa da lei
e sedermi vicino al fuoco mentre lei in cucina
col grembiule giovane e bella vuole un mio figlio
e così felice per me da far bruciare il roast-beef
e viene a piangere da me e io mi alzo dalla grande sedia di padre
e dico Denti Natale! Cervelli radiosi! Mela sorda!
Dio che marito sarei! Si, devo sposarmi!
Tanto da fare! Per esempio entrare in casa di Mr. Jones a tarda notte e
coprirgli le mazze da golf di libri norvegesi
1920
O appendere una foto di Rimbaud alla falciatrice
o incollare francobolli di Tannu Tuva su tutto lo steccato di cinta
o quando viene la Signora Kindhead per la colletta del Fondo della Comunità
afferrarla e dirle. Ci sono presagi sinistri nel cielo!
E quando il sindaco viene a chiedermi il voto dirgli
Quando li farai smettere di uccider balene!
E quando viene il lattaio lasciargli un appunto nella bottiglia
Polvere di pinguino, portami polvere di pinguino, voglio polvere di
pinguino –

Eppure se dovessi sposarmi e fosse il Connecticut e la neve
e lei partorisse un bambino e io non potessi dormire, esausto,
in piedi la notte, il capo su una muta finestra, il passato alle spalle,
trovandomi tremante nella situazione più solita
consapevole di responsabilità non rametto sporco ne minestra di moneta
Romana
O cosa sarebbe!
Certo gli darei per capezzolo un Tacito di gomma
Per sonaglio un sacco di dischi rotti di Bach
Attaccherei Della Francesca intorno alla culla
Cucirei l’alfabeto greco sul suo bavaglino
E per il suo passeggero costruirei un Partenone senza tetto

No, non credo che sarei quel tipo di padre
niente campagna niente neve muta finestra
ma rovente puzzolente isterica New York City
sette piani di scale, scarafaggi e topi sui muri
una grassa moglie reichina che strilla da sulle
patate Trovati un posto!
E cinque bambini mocciosi innamorati di Batman
E i vicini sdentati e forforosi
come quelle masse stracciate del 18° secolo
tutti che vogliono entrare a guardare la TV
Il padrone vuole l’affitto
Drogheria Gas Blue Cross & Electric Knights of Columbus
Impossibile sdraiarsi a sognare neve del Telefono, parcheggio fantasma –
No! Non devo sposarmi non devo sposarmi mai!
Ma – e Se fossi sposato a una bella donna sofisticata
alta e pallida in un vestito nero elegante e lunghi guanti neri
con un bocchino in una mano e un bicchiere nell’altra
e vivessimo in una penthouse con un’enorme finestra
da cui vedere tutta New York e anche oltre nelle giornate serene
No, non riesco a immaginarmi sposato a quel piacevole sogno prigione –

Ma e l’amore? Dimentico l’amore
non che sia incapace di amore
è solo che l’amore per me è strano come portare scarpe –
non ho mai voluto sposare una ragazza che
somigliasse a mia madre
E Ingrid Bergman mi è sempre stata impossibile
E forse adesso c’è una ragazza ma è già sposata
E non mi piacciono gli uomini e…
ma ci deve essere qualcuno!
Perché se a 60 anni non sono sposato,
tutto solo in una camera ammobiliata con macchie di piscio nelle mutande
e tutti gli altri sposati! Tutto l’universo sposato all’infuori di me!
Ah, eppure so bene che se ci fosse una donna possibile come sono io possibile
allora il matrimonio sarebbe possibile –
Come LEI nel suo solitario fasto esotico aspetta l’amante egiziano
così aspetto io – privo di 2000 anni e del bagno della vita.

È probabile che questa versione sia di Fernanda Pivano, grande amica dei poeti Beat, e che di Gregory Corso diceva, È un vero birbante!, salvo considerare questo poemetto il suo più dolce.

Torna subito in mente qui il passaggio di Prufrock che lamenta, “For I have known them all already, known them all: / Have known the evenings, mornings, afternoons, / I have measured out my life with coffee spoons; /I know the voices dying with a dying fall / Beneath the music from a farther room.” Cioè sempre la solita noia. Non so però quanto Gregory Corso ambisse a somigliare a Eliot. Credo per niente.

Sono molti i punti in questo poemetto contro il matrimonio (direi un requiem del matrimonio borghese) su cui mi soffermerei volentieri, ma siccome ho il tarlo della letteratura mi limiterò a far notare che la fila di tre esclamazioni che capitano a un certo punto, “Denti Natale! Cervelli radiosi! Mela sorda!” fa pensare subito a “Rene mobile! Intestino cieco!”, l’esclamazione che tormenta la lenta, lucida agonia di Ivan Il’ič, il magistrato tolstojano. Conviene a questo punto abbandonarsi a una messe di versi, tratti da “MindField” (“Campo Mentale”, ma per assonanza anche “Campo Minato”) e tradotti, pure questi, da Massimo Bacigalupo nell’edizione italiana Newton Compton  (2007), appunto.

SUICIDIO A GREENWICH VILLAGE

Braccia spalancate
mani schiacciate sugli stipiti della finestra
Lei guarda giù
Pensa a Bartok, Van Gogh
E alle vignette del New Yorker
Cade

La portano via con un Daily News sulla faccia
E un negoziante getta acqua calda sul marciapiede


NELLA MANO FUGGEVOLE DEL TEMPO

Sui gradini del manicomio luminoso
odo la campana barbuta battere per il prato di bosco
l’estremo rintocco del mio mondo
salgo ed entro in una infuocata assemblea di cavalieri
questi ignari della mia presenza espongono piani di pergamena
e con dita inguainate fanno risalire il mio arrivo
su su fino a quando stavo sui neri gradini di Roma Nerone con la cetra
nelle mie braccia il filosofo lamentoso
l’estremo singulto della storia folle
Ora la mia presenza è nota
il mio arrivo segnato da macchie miniate
Le grandi vetrate del Paradiso si aprono
In polvere radiosa si disfano le tende del Passato
Arrivano in volo stormi di uccelli multicolori
Ali lievi lucenti oh la meraviglia della luce
Il Tempo mi prende per mano
nato il 26 marzo 1930 sono sospinto a 100 all’ora sul vasto mercato della scelta
cosa scegliere? cosa scegliere?
Oh – – – e lascio la mia camera arancione del mito
nessuna possibilità di mettere sotto chiave i miei giocattoli di Zeus
Scelgo la camera di Bleecker Street
Una madre bambina mi ingozza con un pallido seno milanese
Poppo mi divincolo grido oh madre olimpia
strano questo seno per me
Nevi
Decennio di asfalto ghiacciato cavalli condannati
Sogni deboli   Corridoi scuri della Scuola Pubblica 42   Tetti   Piccioni con colli di topo
Sospinto a 100 all’ora per queste strade mafiose fin troppo reali
profondamente depongo le mie ali d’Ermes

Oh Tempo sii misericordioso
gettami sotto la tua umanità di automobili
dammi in pasto a giganteschi grattacieli grigi
riversa il mio cuore nei tuoi ponti
io rinuncio alla mia lira d’orfica futilità

E per tale tradimento salgo questi luminosi pazzi gradini
ed entro in questa stanza di luce paradisiaca
effimero
Il tempo
un cane lungo lunghissimo dopo aver rincorso la sua coda orbitante
viene ad afferrarmi la mano
e mi guida nella vita condizionale


CIAO

È disastroso essere un cervo ferito.
Sono il più ferito, lupi incalzano,
e ho anche i miei difetti.
La mia carne è artigliata dall’Inevitabile Uncino!
Da bambino vedevo molte cose che non volevo essere.
Sono la persona che non volevo essere?
La persona-che-parla-da-sola?
La persona-presa-in-giro-dai-vicini?
Sono colui che, sui gradini di un museo, dorme coricato sul fianco?
Porto l’abito di un fallito?
Sono lo svitato?
Nella grandiosa serenata delle cose
sono il brano più cancellato?


SUL PONT NEUF

Mi lascio il paradiso alle spalle
il mio paradiso interamente sperperato
Ciò che muore muore in bellezza
Ciò che muore in bellezza muore in me –
Solo in questa cella monastica
Passo monete di mano in mano –
Con il cancello sbagliato aperto
Tengo un occhio diabolico sulla Montagna Rossa
– È una sera calda
spiove da mezzogiorno
Stasera piango che non c’è amorevolezza
Niente amore! – Niente amore e amore!
Grida di amore! Grida di disamore!
Bestemmie dei disamorati!
Armonie degli amati!
Vorrei una corda intorno al collo
Una fredda scossa di musica –
Oh che idiozia rang-a-tang, ora insensata e bagnata,
sotto uno dei cavalli degli uomini illustri di Francia
sto mettendo a fuoco?

Chiudo semplicemente dicendo che Gregory Corso, forse, tra tutti i poeti della Beat Generation, è stato il più Battuto&Beato ma anche decisamente il più BATTENTE, il più martellante per formule e ritmo jazz variante e multiforme del dettato. Purtroppo non è quasi più reperibile, lo è con difficoltà anche in rete: le sue raccolte sono oramai introvabili. Peccato. Leggendolo si sente vibrare la poesia di chi parla in faccia al potere e ha trovato proprio nel comporre versi il momento e lo spazio in cui esercitare senza freni la propria libertà, Gregory Corso è stato un grande trasgressivo, un vero loser.

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